martedì 19 luglio 2011

L'IMBARAZZO DI OBAMA

Forse sono troppo naiv, troppo ingenuo, ma non riesco a spiegarmi come il presidente degli Stati Uniti D'America possa sentirsi in imbarazzo per incontrare  il Dalai Lama. 

Un paio di giorni fa Obama ha (finalmente!) incontrato il capo spirituale Tibetano, dopo averlo snobbato nel 2009, fresco di elezione. L'amministrazione del caro Barack pero' ci ha tenuto molto a precisare come l'incontro sia stato di carattere esclusivamente privato (per questo nella Map Room e  non nello Studio Ovale) al fine di placare le ire non occultate di Pechino, che ha immediatamente risposto a Washingthon con un lapidario "relazioni danneggiate".  Non sono un politico, ergo disconosco la pratica dell'ars virtuosa della diplomazia, ma di fronte ad uno Stato ipocrita e dittatoriale come quello Cinese, non riuscirei mai nascondere o cammuffare il disappunto. Invece gli Stati Uniti non possono. La Cina cresce da anni a ritmi ben superiori all'8%, e' il primo fornitore degli Stati Uniti  e soprattutto detiene oltre il 25% del debito pubblico americano. In soldoni, tiene l'America per  le palle, quelle piu' delicate e dolorose, quelle finanziarie. Il che, visto da un altro angolo, significa pure che la Cina non ha alcun interesse a che il dollaro si svaluti o ad iniziare davvero una guerra fredda con gli USA. Pero' si che si puo' permettere (e di fatto se lo permettono con parecchia disinvoltura) di fare la voce grossa, di "sgridare" gli Stati Uniti, di minacciarli piu' o meno apertamente, di abbiare un po'. Can che abbaia non morde, alla fine non mordera', pero intanto abbaia...ed in faccia al presidente USA.

Mentre gli States, fieri paladini della democrazia mondiale, guerreggiano a destra e manca contro il nemico con turbante e scimitarra e bombe, fanno finta di non vedere gli eccidi che avvengono al di la' dell'Himalaya e della Grande Muraglia, senza neanche cercare di farsi rispettare, di alzare un po' la testa, o  la voce,  se Hu Juntao o chi per lui, li riprende pubblicamente per interferire sulle questioni interne cinesi. Perche' il Tibet e' considerato da Pechino un affare interno, sul quale nessuno Stato estero puo' permettersi di intromettersi. Pechino non interviene mai su questioni interne di altri Stati. Ma non per sincero sostegno al principio di autoderminazione dei popoli, bensi, solo ed unicamente, per legittimare il proprio sonoro "fatevi i cazzi vostri" quando si tratta di questionare le loro ambigue e drammatiche situazioni, dal Tibet alle minoranze religiose, dai diritti umani alle liberta civili. 

Per questo anche Obama  incontra il Dalai Lama solo perche' pressato internamente dal Congresso. Dopo l'incontro si parla solo di generiche preoccupazioni sulla questione del Tibet, ma non viene presa alcuna determinata posizione contro il governo Cinese e le inumane repressioni in atto in quella regione. Fosse Bush, nessuna meraviglia, ma Obama, devo dire, delude alquanto. Certo la questione e' delicata,  i milardi in gioco del debito pubblico americano da vertigini, e la relazione tra quelli che sono oggi i due paesi piu' potenti del mondo parecchio complessa. 

La verita' sembra quindi molto semplice: in questo nuovo secolo e nuovo ordine globale di capitalismo avanzato, everything has a price, anche le questioni morali e, ancor piu' grave,  i diritti umani.

Come nel secolo scorso, o forse come sempre, in fondo e tristemente.

2 commenti:

Ezzelino da Romano ha detto...

Come sempre e più che mai.
Almeno, nei tempi andati ogni tanto c'era qualcosa che si aggiungeva al denaro come motivazione.
Che so, una donna, un affronto personale, un tradimento.
Oggi no, it's only business.
In effetti pensare ad Obama che è costretto a giustificare il suo incontro con il Dalai Lama a casa sua, spiegando che è un incontro privato e che perciò si svolge nello studio ovale, risulta imbarazzante.
Se i cinesi fossero più spiritosi, direbbero che il Dalai Lama viene trattato alla stregua di una Monica Lewinsky (altra frequentatrice del medesimo studio).
Ma temo siano troppo permalosi.
Però, a ben pensarci, una forma di giustizia in questo c'è.
Gli States, da un lato baluardo di democrazia, ma dall'altro guerrafondai e padroni del mondo con le armi e con i soldi.
Una parte del loro potere viene oggi azzerata da un nuovo soggetto che è diventato più ricco di loro.
Se uno va in giro dando schiaffi a tutti perchè è il più grosso, che cosa deve aspettarsi che succeda quando arriva uno più grosso di lui?

Offhegoes ha detto...

In generale concordo, nel senso che la "sfida" con Cina e un po' tutte le potenze asiatiche ridimensionano parecchio il ruolo internazionale degli States. E forse per l'ego a stelle e strisce e' un giusto contrappasso. Ma non posso dimenticare che il gigante Cinese si regge fondamentalmente su una dittatura che ha posto in essere un capitalismo industriale spietato (con collaborazioni compiaciute e complici, ovviamente, delle grandi holding mondiali e statunitensi in particolare). Dittatura sulla cui tolleranza ed apertura abbiamo imparato a Tiananmen e Lhasa. Bene che la Cina cresca e bene che si sviluppi. Molto bene per il popolo cinese che sicuramente sta beneficiando in generale della crescita. Ma anche la crescita democratico civile sarebbe essenziale ed auspicabile e spero che il popolo se ne renda conto. Molti teorizzano che senza il regime lo sviluppo cosi ordinato in un paese da 1.2 milardi di persone non sarebbe stato possibile. Ma credo piu' al rispetto dei diritti umani che alla crescita economica "sostenibile". Peraltro i cinesi dovranno pure iniziare a preoccuparsi delle conseguenze drammatiche che questo modello sta gia' portando.