sabato 24 dicembre 2011

GALLOWS - GREY BRITAIN


Apre il disco un cupo arrangiamento d'archi ed uno sciabordio d' acque che fa pensare al Tamigi avvolto nella nebbia. Lo chiude una partitura orchestrale su cui grava un'arresa malinconia.Tra l'incipit e il finale, vibrano undici brani di brutale punk metal-core che tracciano le coordinate sociali di un Regno Unito logorato dalla cieca frenesia capitalistica, oppresso dalla dilagante povertà di una classe operaia frustrata dalla disoccupazione, mortificato dalla globalizzazione dell'ignoranza e dalle sempre più striscianti pulsioni xenofobe. "Grey Britain " porta a compimento quanto di buono i Gallows avevano già dimostrato con il precedente, autoprodotto," Orchestra Of The Wolves ", i cui contenuti di ultra violenza sonora, sono qui riproposti in una versione leggermente sgrezzata ed arricchiti semmai da una maggiore consapevolezza e da una struttura meno lineare, e perciò più suggestiva, delle canzoni. Nonostante il clima barricadero e le continue aggressioni sonore, nel disco si respira un'aria cinerea e presbiteriana, che promana dalle tinte fosche di testi che raccontano il medioevo etico di un'Inghilterra, in cui le speranze e gli afflati vitali sono quasi totalmente resettati. Povertà, lavoro minorile, criminalità urbana e tossicodipendenza convivono sotto l'egida di una Chiesa cinica e indifferente: il Regno Unito come specchio del mondo, come cartina di tornasole di un depauperamento morale che sgomenta, e di cui la religione si fa complice e manutengola. La veemenza degli assalti all'arma bianca dei Gallows è la perfetta, e necessaria, colonna sonora dell'imbarbarimento dei tempi. Se mi si passa un ardito paragone letterario, i Gallows riscrivono, a modo loro, il grande romanzo sociale e anti-romantico di Charles Dickens, e lo fanno tramite una ritmica selvaggia, riff sferraglianti e la voce urlata e graffiante di Franck Carter, narratore metropolitano e aggressiva incarnazione ( anche da un punto di vista fisico)  del sottoproletariato urbano in rivolta. Il risultato è un lotto di canzoni compatto e rabbioso, che talvolta però rallenta la propria corsa, come nella sorprendente apertura melodica (di smithiana memoria) della superba " The Vulture ( Acts 1 & 2 )" . I versi finali di " Crucifucks" (" Great Britain is fucking dead, so get up folks in your lives, let’s fucking start again") rappresentano l'epitafio di un'epoca ed un monito per il futuro, chiudono il disco resuscitando una flebile speranza, ed evaporano tra ansimi e note di pianoforte, lasciandoci uno stordente senso di oppressione. Nel genere, un capolavoro, in assoluto, quasi.
 
 
Blackswan, sabato 24/12/2011

4 commenti:

giacy.nta ha detto...

Rabbioso. Suggestivo e geniale il riferimento a Dickens.

Colgo l'occasione per salutarti e farti tantissimi auguri.

Galadriel ha detto...

Buon Natale e un felice anno nuovo che ti possa portare tutto quello che desiderei. Un abbraccio virtuale da Galadriel e Legolas del peccato veniale. Buon proseguimento.

Arianna Marangonzin ha detto...

Tanti baci e tanti auguri!!!

Blackswan ha detto...

Tanti auguri di un felce Natale,care amiche :)

@ Giacy.nta :perchè non riesco quasi mai a mettere i commenti sul tuo blog ? Uff :(