lunedì 30 luglio 2012

DAL MONDO DEL LAVORO

Ecco due notiziole estive di quelle che ti fanno venire voglia di andare a vivere altrove.
In Giamaica, a Los Angeles, anche su Urano, ma via di qui.
La prima riguarda Matteo Armellini,  lo sfortunato operaio morto durante il montaggio del palco di Laura Pausini.
L'Inail eroga alla famiglia un assegno di € 1936,80 a titolo di anticipazione spese funerarie, ma i vertici dell'Istituto precisano fin d'ora che la somma complessiva non sarà di molto superiore.
Il poco tempo trascorso dall'assunzione e il modesto livello della paga non permettono di erogare di più.
Non permettono, capite?
Ed infatti si è subito attivata la solidarietà privata, cui pare si sia aggregata la stessa Pausini, per raccogliere fondi per la famiglia.
Che è un bel gesto, per carità, ma che non muta i termini scandalosi della questione di fondo, e cioè che in Italia nel terzo millennio la vita di un uomo di 32 anni che muore mentre lavora vale, per qualcuno, meno di 2000 Euro.
E pensare che il povero Matteo, in fondo, era pure un privilegiato.
Era italiano, lavorava nel suo paese, era pur sempre assunto ed era relativamente giovane, perchè 32 anni sono pochi in un luogo in cui gente di 40 anni è costretta a rimanere con i genitori perchè non c'è denaro e non c'è lavoro.
E tuttavia resta il dato, stridente nella sua fredda dimensione numerica: un lavoratore morto = 1936 Euro.
Se poco può fare l'Inail, poco potrà anche l'Inps, essendo la base la medesima e cioè la situazione dei contributi versati.
C'è da sperare che la società per cui Matteo lavorava avesse almeno stipulato privatamente una polizza in favore delle famiglie dei suoi uomini, altrimenti si tratterebbe di una morte senza controvalore economico, come quando capita di buttare via un vuoto a perdere.
Ma per i suoi cari, per i genitori, per la sua compagna se ne aveva una, Matteo non era un vuoto a perdere.
Era una persona, con una sacrosanta aspettativa di vita di almeno altri quarant'anni, e questo prescinde dal suo reddito e dalla sua situazione contributiva.
Se mai si arriverà a stornare denaro dalla irragionevole condizione di privilegio del ceto politico e dei manager pubblici delle mie balle, bene sarebbe destinarne almeno un po' a situazioni come queste.
La seconda notizia riguarda invece l'ennesima top performance di Sergio Marchionne.
L'iperliberista che detta le sue condizioni per non chiudere gli stabilimenti, e per continuare a produrre in Italia, perchè l'intrapresa è padrona ed il profitto è sacro, si è improvvisamente accorto che Volkswagen pratica una politica di sconti tale da mettere la Fiat fuori mercato.
E si accorge che VW ci riesce perchè quello che sconta in Europa lo recupera abbondantemente in Asia, dove il lavoro costa meno e dove lei (VW, ovviamente) è arrivata per prima molto tempo fa e vende ora un casino di auto.
E allora, dice Sergione, se continua così diventa un bagno di sangue, ed è inutile mettere in cantiere nuovi modelli, intervenga l'Europa per dio!
Al che i vertici di VW, per la verità molto composti, limitano la loro replica alla richiesta di dimissioni di Marchionne dalla carica di presidente dell'ACEA, l'associazione europea dei costruttori di auto, per evidente sopravvenuta incompatibilità.
Sergio, io non ti voglio male come persona, magari dal vivo sei pure simpatico, però stavolta l'hai fatta fuori dal vaso.
In Cina ci potresti andare anche tu, ma se ci vai i cinesi non comprano le tue macchine.
Il gruppo VW (che comprende anche Audi, Skoda, Seat, Porsche e Lamborghini) è forte anche sulle vetture medio-grandi e grandi, che tu non produci.
Una Fiat grande non esiste, la povera Alfa viaggia ancora oggi sulla 166 che è un'auto di vent'anni fa e per Lancia non hai trovato di meglio che prendere una Chrisler, già orrenda di suo, e metterle su il marchio Lancia.
Le VW piccole  e medio-piccole, a parità di prezzo, sono migliori delle Fiat.
Ma soprattutto, gli operai tedeschi sono pagati meglio dei  loro colleghi italiani.
E com'è questo prodigio, Sergio?
Forse c'entra qualcosa il fatto che in Germania, anzichè smantellare lo stato sociale ed i sindacati, si cerca di remare tutti insieme nella stessa direzione?
Magari c'entra il fatto che in Germania i rappresentanti del sindacato sono coinvolti nella gestione dell'azienda, senza che la proprietà se ne senta defraudata?
E sarà per questo che così facendo si riesce a fare ricerca, qualità ed innovazione, mentre il giudice del lavoro rimane quasi inoperoso rispetto al nostro delirante livello di contenzioso e un lavoratore può coltivare una ragionevole speranza nel futuro suo e della sua famiglia?
Pensaci Sergione, tra un giro in barca e una sgomma col ferrarino.
E se dopo averci pensato resterai convinto che invece la colpa di tutto sia sempre della Fiom-Cgil, beh, pazienza, l'imprenditore sei tu, no?

JO NESBO - LO SPETTRO


Sono passati tre anni da quando Harry Hole è andato via. Via da Oslo, via dalla Centrale di polizia, via dalla donna che ha amato e ferito troppo, e troppe volte. Ma dai suoi fantasmi no, da quelli non è riuscito a fuggire: l'hanno inseguito a Hong Kong e ora lo reclamano, e Harry non può non rispondere, non può non tornare. Oleg, il figlio di Rakel, il ragazzo che lui ha cresciuto come fosse anche figlio suo, è in carcere. Accusa: l'omicidio di Gusto Hanssen, il suo migliore amico. Movente: secondo gli investigatori, un regolamento di conti nel mondo della droga. Ma Harry non ci crede. Oleg, il suo Oleg, il bambino che lo teneva per mano e lo chiamava papà, può essere diventato un tossicodipendente, ma non un assassino. E a lui non resta che correre a casa, correre contro il tempo, in cerca di una verità diversa da quella già decretata. Una verità che si nasconde tanto nelle maglie dei sentimenti piú profondi che legano le persone, quanto nei quartieri dello spaccio, con l'ombra misteriosa di un nemico inafferrabile che lo vuole morto.

Tutti gli amanti del thriller sanno che Jo Nesbo è una sicurezza, non tradisce mai. Norvegese, eppure lontanissimo per prosa e ispirazione al tanto decantato filone del thriller nordico, è talmente bravo che lo stesso James Ellroy lo ha designato duo delfino. Non è un caso, quindi, che Nesbo e il suo Harry Hole siano entrati da tempo nel cuore degli appassionati del genere grazie soprattutto alla prosa asciutta ed essenziale del romanziere e alla sua indubbia capacità di gestire l’intreccio narrativo con un dinamismo che ha pochi eguali ( Don Winslow ? ). Ne Lo Spettro, ad esempio, la trama si sviluppa a incastro, tramite due diverse prospettive, quella narrativa vera e propria, e quella in soggettiva di Gusto, giovane e bellissimo tossicodipendente, a cui hanno appena sparato a morte, e sul cui omicidio Hole si trova a indagare per salvare dalla galera Oleg, il figlio della sua ex-compagna. Un escamotage, questo che consente a Nesbo di ricostruire l’antefatto della vicenda senza perdersi in lunghi ed estenuanti flash back, mantenendo così altissima la tensione per tutto il corso del racconto. Tra scene fortemente pulp ( il tentato sgozzamento di Hole ), poliziotti corrotti, narcotrafficanti, misera umanità di tossici e spacciatori, mafia russa, giochi sporchi fra politica e criminalità organizzata, i colpi di scena si susseguono senza soluzione di continuità fino all’ultima pagina, che regala al lettore un finale aperto, inaspettato e plausibilissimo ( il plausibile è di solito l’elemento che fa la differenza fra un buon romanzo e una ciofeca ). Nonostante l’adrenalinico intreccio noir ( mai Nesbo è stato così ossessivamente noir ) carpisca inesorabilmente l’attenzione del lettore, al centro del romanzo si staglia però in tutta la sua complessità caratteriale la tormentata figura di Harry Hole. Poliziotto incorruttibile, ma uomo fragilissimo, sconfitto dalla vita e dagli abusi alcolici, vittima dei propri malinconici fantasmi, Hole porta sulle spalle il peso di tutti i peccati del mondo. Come un Gesù Cristo senza speranza di resurrezione, scenderà nel profondo degli inferi, rinuncerà all’amore, combatterà fino allo stremo delle forze, per la nostra salvezza. Perché nel deserto etico di un’umanità succube dei propri vizi, siano essi il potere, la droga o il denaro, si apra almeno un spiraglio di luce, quella speranza di salvezza chiamata legalità. Un romanzo che è quasi un obbligo portare sotto l’ombrellone.

venerdì 27 luglio 2012

MY SHARONA – THE KNACK

Quando il 14 febbraio del 2010 , all’età di cinquantotto anni, Doug Fieger muore, di lui ormai non si ricorda quasi più nessuno. Doug da tempo non frequentava i giri che contano e i mass media si erano completamente dimenticati di lui. Non era una star di prima grandezza, né un attore famoso o un romanziere da best sellers, e la notizia della sua morte venne relegata in un trafiletto  della pagina degli spettacoli di Repubblica. Succede quando da troppo tempo non fai cose memorabili. Eppure Doug meritava un ricordo migliore, perché lui, una paginetta di storia, l’aveva comunque scritta. Era un bravo musicista, non eccelso, ma nel 1979 visse una stagione di infuocato rock’n’roll come leader dei The Knack. Li ricordate i The Knack, vero ? Incisero qualche album , ma il loro successo è legato indissolubilmente a una sola hit, My Sharona, che nei mesi estivi alla fine degli anni settanta, arrivò in testa alle classifiche di mezzo mondo, hit parade italiana inclusa. Il riff della canzone, in verità, l’aveva composto  il chitarrista del gruppo, Berton Averre, molti anni prima di iniziare la sua militanza nei The Knack.




Quando Doug gli chiese se avesse qualche canzone nel cassetto da inserire nella scaletta dell’album d’esordio, Get The Knack, Berton si ricordò di quel vecchio bozzetto e lo fece ascoltare al cantante. Fieger si innamorò immediatamente del brano e mentre lo ascoltava, a cagione di quei tortuosi percorsi che talvolta la nostra memoria imbocca per riportare in vita un ricordo, Doug continuò  a ripensare a una ragazza, una vecchia fiamma del liceo, che gli fece letteralmente perdere la testa. Quella ragazza si chiamava Sharona Alperin, e, per la cronaca, è tuttora vivente ed è una nota agente immobiliare di Los Angeles. Sharona non si limitò però a essere solo la musa ispiratrice del testo ( che Fieger compose in quindici minuti ), ma si prestò anche come modella per la copertina del singolo, nella quale compare in tutto il suo ruvido splendore, tenendo sotto braccio la custodia di Get The Knack.
Chiamatelo rock, chiamatelo ( più correttamente ) power pop, chiamatelo come volete, ciò che conta è che My Sharona resta una canzona semplicemente perfetta, una di quelle che anche fra cent’anni continueranno a farci battere il cuore all’impazzata. Inizio di sola batteria, drumming in 4/4 selvaggio e pesissimo, basso a sostegno dopo sei secondi, chitarra ritmica e solista che entrano quasi all’unisono, la voce singhiozzante di Fieger che scimmiotta lo swing del grande Elvis, crescendo e ritornello con tanto di coretti. E mentre la ritmica incalza, la chitarra di Averre scalpita, tende i garretti, fa vibrare le corde con doppie pennate ( sentitelo in cuffia ), fino a quando non parte, dopo un rapido ponte, in un assolo velocissimo, quasi ansiogeno, eppure privo di sbavature, in un climax surriscaldato ma sempre sotto controllo. Ricordo che da ragazzino ero letteralmente impazzito per la canzone dei Knack. Mi alzavo la domenica prestissimo, e mi sintonizzavo su una delle prime tv private che trasmettevano video musicali. Il video di My Sharona, ovviamente, non era un granchè ( eravamo davvero in una fase germinale per quanto riguarda la musica in video ), eppure mi teneva incollato allo schermo,con la  bocca aperta e l’ orecchio tesissimo.


Sull’onda dell’entusiasmo suscitato dal singolo, comprai anche l’album, che a parte quella canzone, conteneva poche altre cose di valore. Non erano dei geni i The Knack, e in seguito cercarono di ripetersi, ma senza alcuna fortuna : un’altra My Sharona non sarebbe più arrivata. Quando Fieger morì, fui uno dei pochi a ricordarmi della sua faccia da schiaffi e del suo sorriso sghembo. Uscii nella fredda mattinata invernale con Get The Knack a palla nell’ipod, guardai in alto, verso il cielo grigio e denso di nuvole, e una lacrima solitaria mi inumidì gli occhi  mentre promisi a Doug che prima o poi avrei scritto di lui. Ho impiegato più di due anni e mezzo a mantenere la promessa, e solo oggi gli restituisco ciò che mi donò con la sua My Sharona. Grazie di cuore, Doug.


Blackswan, venerdì 17 / 07 / 2012



mercoledì 25 luglio 2012

SERJ TANKIAN – HARAKIRI

Genere : Alt Metal

A Serj Tankian si può perdonare tutto, anche di averci propinato nel 2010 l’insulsa versione sinfonica del suo primo album solista Elect The Dead o di aver partorito con l’ultimo Harakiri una delle copertine più brutte della storia e dell’universo. Il resto della sua carriera però è da applausi, a partire dall’impegno civile profuso per la causa armena e dall’ attivismo politico della sua Axis Of Justice, organizzazione non – profit di matrice dichiaratamente comunista sempre in prima linea nella lotta contro le disuguaglianze sociali. Ah, giusto, dimenticavo solo i System Of A Down, una delle band a cui il metal  deve essere riconoscente per quel momento di nuova e intensissima creatività che infiammò la prima metà degli anni zero , e che furono così originali da mischiare in un magma urticante nu e metalcore, pop e folklore armeno, rock e ballate caratterizzate da struggente malinconia. Tutti ingredienti che compaiono in questo nuovo album dell’incontenibile Tankian, i cui testi si fanno ancora più impegnati da un punto di vista sociale e politico ( con particolare attenzione alla causa ecologista ) e il metal sempre più variegato, cangiante e multiforme. Qui c’è un po’ tutto quello che c’era nel primo album di Tankian ( ma l’ispirazione è superiore ) e nei dischi dei Sistem Of A Down, e qualche ulteriore colpo di scena. Come ad esempio quando  nelle due interessanti ballate centrali ( Deafening Silence e Forget Me Knot ) il metal si veste di elettronica e di sfumate concessioni al dub. Il resto è una Cornucopia (come titola il primo brano del disco ) di suggestioni che non deluderanno i vecchi fans e che sapranno conquistare, considerato l’elevato contenuto melodico delle composizioni, anche l’attenzione di coloro che proprio metallari non sono.
VOTO : 7


Blackswan, mercoledì 25/07/2012

martedì 24 luglio 2012

PATTI LIVE !

Parto dalla fine, quando Patti,dopo un’ora e quarantacinque di concerto, esce di nuovo, acclamatissima,a regalarci due bis. Pensi a un chiusura morbida, che forse la vecchietta non ce la fa più. Non è facile tenere il palco così a lungo quando hai superato gli anta ( intendo i sessanta, nello specifico ).Invece, la sacerdotessa sembra addirittura incazzata, ha il piglio di una pasdaran del rock duro. Batteria, basso e tre chitarre.’Sti cazzi, pensi, chissà adesso che fa. Parte Banga, title track dell’ultimo album e un po’ sei deluso. Pensavi a un classico. Perché i classici si fanno sempre ai bis. Invece, Patti  se ne fotte e si cimenta sul suo ultimo lavoro. Tanta rabbia,davvero, non te l’aspettavi, e pensi che se finisse così andrebbe bene lo stesso. Invece la sacerdotessa è indemoniata, urla, si fa minacciosa,e con la sei corde a tracolla, arringa la folla e decide di farne un’altra. Rock’n’Roll Nigger a cento all’ora, in una versione fragorosa che miscela metal e noise allo stato puro. Dodici, tredici minuti da lasciarti allibito e senza fiato. Quando il brano finisce, Patti imbraccia la chitarra e inizia a spezzarne le corde: sembra Hendrix che cerca una strada nuova per un suono libero. Libertà, appunto. E’ questa la sensazione provata dopo aver assistito al live act della Smith,un artista che può permettersi tutto, che se ne fotte delle mode, dei desiderata del pubblico, di confondere le attese. Patti inizia piano, in punta di plettro, con una band che la asseconda in tutto, che la segue nelle sue divagazioni soul (This Is The Girl dedicata a Amy Winehouse nel primo anniversario della morte ), nello struggente folk di Beneath The Southern Cross, nei deliri psichedelici e vagamente post rock di Constantine’s Dream, nell’epicità di memorabilia quali Pissing In The River. Poi lo show ha un’improvvisa accelerata nel finale, come se la bestia del rock avesse trovato finalmente la strada della libertà: Because The Night e Gloria. Intense, tesissime, chiassose, l’anticipazione del finale incandescente di cui si raccontava poco sopra. Mentre esci dalla cornice preziosa di Villa Arconati, ti resta in bocca la sensazione buona di aver ascoltato un rock che, a dispetto del tempo che passa, sembra sempre indossare l’ abito nuovo, un vestito classico ma con una punta di stravagante originalità. Merito anche di Lanny Kaye, pigmaglione artistico ed eccelso chitarrista, a cui Patti, e tutti noi, dovremmo erigere un monumento.



Blackswan, martedì 24/07/2012

lunedì 23 luglio 2012

ROCKET FROM THE CRYPT - SCREAM, DRACULA, SCREAM !


Nel 1995 il punk era già morto da un bel pò.O quantomeno, era deceduto il punk nella sua accezione primigenia, quella cioè che lo legava indissolubilmente al biennio ‘76-‘77, ai sobborghi londinesi, al CBGB di Manhattan, alle spille da balia, ai lucchetti usati come collane e alle improbabili acconciature.Sono anni invece in cui, spopola il punk politically correct dei Green Day e degli Offspring, rabbia annacquata dal pop, una strizzatina d’occhio alla classifica e un successo commerciale che talvolta assume sembianze mastodontiche ( gli Offspring, per intenderci, hanno venduto nella loro storia circa 40 milioni di dischi ).
Tra le band che affollano la scena del punk revival, una menzione a parte meritano i californiani Rocket From The Crypt , che con il loro Scream, Dracula,Scream!, debuttano con una major ( la Interscope ) dopo tre dischi ( bellissimi,peraltro ) persi nel sottobosco indie.Il loro quarto album, pur con qualche maggiore concessione al pop, è una bella fiammata old style: il marcio è marcio davvero, la rabbia non è slavata, il furore a tratti è incontrollato, le chitarre letteralmente rombano dalle casse in un’apoteosi di decibel. Non solo, però. L'invenzione consiste nell’abbinare alla ruvida potenza di riff hardcore il sapore Rhythm & Blues di una sezione di fiati Stax. La miscela che ne scaturisce è un originalissimo impasto sonoro, nel quale il tempo si fa ondivago e passato e presente creano un trampolino di lancio verso il futuro di un genere ormai esangue. 

L'iniziale  Middle è è ustionante come metallo incandescente; Born in '69  è un inno giovanilistico e punk che sfreccia a cento all’ora citando i Clash;  On The Rope  procede attraverso  aperture emo, ma non cede mai il passo allo zucchero, grazie a un cocktail di ottoni e sferraglianti chitarre che gronda sudore; Young Rivers ha un tiro pazzesco, come se un singolo di Martha and The Vandellas venisse abraso da carta vetrata hardcore.E c'è pure spazio per un paio di delicate perle pop  ( Ball Lightening e la ballata dal sapore sixties Misbeaten ) che sembrano rubate dal repertorio dei Drifters.
Impossibile non ballare, saltare e pogare, mentre Dracula grida. Impossibile non restare a bocca aperta d'innanzi a una tromba che indossa i jeans strappati del punk.Così come è impossibile provare ancora nostalgia per il 1977, quando dalle casse dello stereo escono le note poderose di un disco capace di miscelare, come in una molotov di chiassosa energia, idee, fascino, originalità e sacro furore.
Scream, Dracula,Scream ! è e resterà uno degli album più divertenti della storia della musica. Nei secoli dei secoli, amen.


Blackswan, lunedì 23/07/2012 

sabato 21 luglio 2012

LOVE WILL TEAR US APART - JOY DIVISION


La più bella canzone d’amore di sempre è una canzone che parla di un amore finito. Sembra un controsenso, ma non è così. Perchè è il dolore che genera l’arte, non la gioia, sono gli amori infelici che si ricordano in eterno, mentre quelli che filano lisci imboccano presto la strada dell’abitudine e si vestono inevitabilmente di grigio. Lo sapeva bene Ian Curtis, il cui amore per Deborah era immenso ma claudicante, azzoppato da quell’artrite feroce che si chiama male di vivere. Un morbo che ti rallenta il passo, ti prosciuga le forze, ti trasforma in un riflesso deforme ogni volta che il grande specchio della vita trasfigura nel dolore il tuo fragile volto. E’ dura l’esistenza quando sei sensibile, quando non riesci ad afferrare i giorni che ti scorrono a fianco frenetici, quando l’epilessia ti afferra la gola, ti trascina nel baratro,verso l’ignoto buio, quando lo senti che l’ “inferno sono gli altri “ e sai, esattamente, che Sartre aveva ragione.  Non è la speranza a tenerti in vita, perchè non c’è futuro nella solitudine più nera. Ti aggrappi all’arte, ai cinerei presagi della tua musica, alle visioni che ti portano lontano, verso territori che altri esploreranno senza comprendere mai davvero la natura dei tuoi sogni e dei tuoi peggiori incubi. Ti aggrappi a Deborah, a quell’amore adolescenziale a cui hai tenuto la mano in tutti questi anni e che lentamente è cresciuto, diventando un sentimento ingestibile, incontrollabile, ingombrante. E’ troppo, troppo difficile per chi non ha futuro misurarsi con la paternità, con le manine piccole di tua figlia che chiedono amore, che cercano sorrisi e abbracci, mentre il tuo cuore maledetto è un pozzo di sangue e gronda lacrime e convulsioni. Ci provi. Anche se sai che ne uscirai sconfitto, ci provi egualmente. Ma il peso che sei costretto a portare ti schianta a terra e quell’amore sincero e totalizzante che un tempo leniva le ferite, ora non è altro che l’ennesima maschera da portare, un rituale feroce che ti disarma il braccio, che deforma la realtà, che ti inchioda al destino della tua indeterminatezza. Te ne vai e sbatti la porta. Trabocchi di risentimento, tradisci, trasformi il tuo astio e la tua insoddisfazione in una musica di lacerante bellezza: “ Scorre aridissimo il nostro rispetto. Eppure c’è ancora questa attrazione che abbiamo mantenuto nelle nostre vite…E ho un sapore in bocca, mentre mi attanaglia la disperazione per qualcosa di tanto bello che proprio non può più funzionare.  Ma l’amore, l’amore ci farà a pezzi di nuovo.“ 

Quante volte il rock ti ha salvato la vita, Ian ? Quante ? Ora, invece, la musica ha perso i suoi colori, nella testa ti rimbombano il silenzio e quelle urla maledette non ti lasciano mai in pace, nemmeno quando provi a dormire. E’ finita, lo sai. Il tuo testamento sarà anche la tua canzone più bella, il tuo ultimo legame con il mondo sarà una corda stretta intorno a ciò che non hai mai voluto.Ti aspetta un ultimo viaggio, Ian, per un luogo lontano, che non conosci. Non ci saranno più incubi e l’amore smetterà di farti a pezzi. Riposa, Ian, ora riposa.


Ian Curtis morì suicida il 18 maggio del 1980, impiccandosi a una rastrelliera nella cucina della propria casa, situata al numero 77 di Barton Street a Macclesfield. Lasciò la moglie Deborah, dalla quale si era ormai separato, e la figlioletta Nathalie. Aveva solo 23 anni.

Sulla sua lapide è inciso il suo verso più famoso “ Love Will Tear Us Apart “, l’amore ci farà a pezzi.



 Blackswan, sabato 21/07/2012

giovedì 19 luglio 2012

DUE POST AL PREZZO DI UNO

Aggiungo al post già pubblicato da Ezzelino il mio,perchè se lo facessi domani non avrebbe più senso. Scusate per la macedonia

COMPAGNA NICOLE, LOTTA INSIEME A NOI

In questi giorni c'è una domanda che mi si affaccia alla mente, e riguarda la consigliera regionale Nicole Minetti, già igienista dentale del Cavaliere, gia probabilmente zoccola del medesimo e dei suoi sodali, certamente mezzana di altre mignottelle in cerca di favori e denaro in quel di Arcore.
In un paese normale una così può stare in Consiglio Regionale in Lombardia a 12 000 euri al mese?
Certamente no, ma questo l'abbiamo detto tutti appena abbiamo saputo della sua esistenza.
E ricorderete che Berlusconi precisava che no, non era vero, la ragazza merita ed è brava, è di madrelingua inglese, e mille altre fregnacce del genere, mentre il marmo della reggia si crepava inesorabilmente ed il farsesco dominio del nano si sgretolava in una sorta di orgia da tardo impero romano.
Ora, dopo l'inevitabile appoggio esterno a Monti, l'uomo medita di ricandidarsi, e se non lo facesse poco cambierebbe perchè finchè è vivo e paga il centrodestra è comunque roba sua.
Per ricandidarsi occorre darsi una ripulita ed una mano di bianco, ed allora uno pensa: beh, c'è l'imbarazzo della scelta.
Scajola, che acquista case e non lo sa, Verdini, che traffica bilanci e mazzette anche quando va al cesso, Cosentino sospettato di collusione con la camorra.
Volendo volare più alto anche Formigoni e Dell'Utri, perchè no.
E invece chi è la prima vittima del repulisti?
Nicole Minetti.
Alla quale nelle ultime 96 ore tutti, dico tutti gli esponenti del centrodestra hanno detto di andarsene.
Al che uno si chiede: questa non sa fare nulla, smista puttane verso Arcore, è lì dov'è e non sa nemmeno lei perchè, tutto vero, ma cosa avrà mai fatto di così grave negli ultimi quattro giorni che non avesse fatto già prima?
E soprattutto, il problema non è di oggi ma consiste nel fatto stesso che sia entrata in Consiglio Regionale, cioè è un problema di fondo, o a monte, come si diceva un tempo.
E allora quelli che l'hanno messa lì sono legittimati a chiederne le dimissioni?
Per me no.
E la conferma viene da una dei suoi, l'orrenda Daniela Santanchè, la quale è stata tra le prime a fare lo spelling della farsa dichiarando ai giornali che "il tempo delle Minetti (al plurale, ndr) è fi-ni-to".
Il tempo delle Minetti?
Ma perchè lei invece, questo vuoto pneumatico rivestito di pelle tirata dal bisturi, a che titolo fa politica?
L?hanno votata, sì, ma nelle circoscrizioni blindate del Cavaliere verrebbe eletto anche un orango.
O Ombretta Colli, che Giorgio Gaber mi perdoni, che dice che la Minetti "non è adatta alla politica".
Lei, che difendendo Formigoni nella trasmissione di Gad Lerner è riuscita a dire una frase come "D'altra parte alzi la mano chi non ha mai fatto una vacanza in barca", beccandosi fischi dall'intero studio ed il rimbrotto del mite Gad.
Lei invece è adatta alla politica?
No, io a tutto questo delirio mi ribello e dico che la compagna Nicole ha tutto il sacrosanto diritto di rimanere in Consiglio, dove, ricordiamocene, si viene eletti nelle liste della propria coalizione ma poi si esercita un mandato nell'interesse dell'intero corpo elettorale.
E lo stesso vale anche se non si viene eletti ma cooptati.
E comunque prima di lei voglio che venga dimissionato Renzo Bossi, che oltre ad essere ladro viene pure da una famiglia di ladri, e che è più tonto della Nicole e sicuramente meno bello..
Questa ragazza ha diritto a maturare la sua pensione da ex consigliera come l'hanno maturata altre decine e decine di incapaci nullafacenti prima di lei.
Se gli altri si dimettono e restituiscono il maltolto, allora poi si potrà pretendere lo stesso anche da lei.
Dopo, non prima, non c'è ragione per cui debba essere lei la capofila.
La compagna Nicole è la Maria Maddalena dei giorni nostri, ed è comodo lapidarla per dimenticarsi dei propri peccati.
Così, in verità vi dico, chi è senza peccato scagli la prima pietra, ma verso di lei non sarò certamente io.
Hasta companera Nicole siempre!

EZZELINO, giovedì 19/07/2012 

COSA NASCONDE, PRESIDENTE ?
 
Sono vent'anni esatti che ci negano la verità.Vent'anni di depistaggi, di omertà, di insabbiamenti. Nonostante ciò, non avremmo alcuna incertezza a scrivere, nero su bianco, che sappiamo chi è stato a uccidere Paolo Borsellino e perchè. Comunque, non è questo il punto e non credo lo sia mai stato, tanto è ovvio chi siano i mandanti e chi gli esecutori della strage. Lo sgomento nasce piuttosto dalla consapevolezza che in Italia, dopo così tanto tempo da quel barbaro assassinio, il vestito di etica e di legalità indossato da una certa classe politica sia sempre il medesimo, mentre si perpetuano, coperte dal silenzio degli organi di stampa e con il benestare delle Istituzioni, le connivenze eversive fra Stato e mafia. A ricordarcelo, alla vigilia dell'odierna commemorazione, è stato Giorgio Napolitano, presunto Presidente della Repubblica, golpista tecnocrate, cavalier servente di Nicola Mancino, accusatore dei PM di Palermo che indagano, tra mille difficoltà, sulla ( non presunta, ma certa ) trattativa fra Stato e mafia ( per fermare la quale, Borsellino ci rimise la vita ). Sollevare il conflitto di attribuzione con la procura palermitana, in un momento poi così delicato della nostra storia, costituisce un inquietante legame con il passato, esplicita per l'ennesima volta come la magistatura sia lasciata sola nella ricerca della verità, e che lo Stato, nello specifico rappresentato dalla sua più alta carica, non abbia interesse ( o nella peggiore delle interpretazioni, sia d'ostacolo a ) che la giustizia faccia il suo corso e individui le responsabilità penali. Pur non avendo le competenze di un costituzionalista, l'inizativa promossa da Napolitano mi pare speciosa per svariati motivi. In mancanza di una norma specifica in materia di intercettazioni indirette in cui è coinvolto il Presidente della Repubblica ( esiste un vero e proprio vuoto legislativo in materia ) l'interpretazione estensiva dell'art.90 della Costituzione appare una forzatura, soprattutto se letta in nesso logico ( non giuridico ) con quanto avvenne per Berlusconi durante il processo Ruby. Così come, l'invito a distruggere le bobine delle due telefonate perchè penalmente irrilevanti, appare in contrasto con il dettato del codice di procedura penale, che rimette al Gip, sentite le parti, la decisione in merito ( non è detto infatti che telefonate non penalmente rilevanti per il PM lo siano anche per la difesa o la parte civile ). Peraltro, l'odierna richiesta del Quirinale evidenzia una macroscopica contraddizione con un noto precedente. In passato, infatti, Napolitano fu intercettato al telefono mentre chiedeva lumi a Bertolaso ( poi indagato ) a proposito delle vittime del terremoto che devastò la città de L'aquila. Siccome quelle intercettazioni ( indirette e penalmente irrilevanti ) mostravano il volto buono del Presidente della Repubblica, a nessuno venne in mente di sollevare conflitti di attribuzione: non furono distrutte, furono messe agli atti e pubblicate col plauso di tutte le istituzioni. Quindi, viene da domandarsi, per quale motivo quelle intercettazioni indirette andavano bene e queste no? Sorge il sospetto che le registrazioni delle due telefonate fra Mancino e Napolitano contengano molto più di quanto ci vogliano far credere ( Presidente, cosa cerca di nascondere agli italiani ? ). Ancor più disgustoso è il fatto che il conflitto di attibuzione venga proposto in questi giorni dolorosi, in cui si commemora la figura di Borsellino e di tutti coloro che si sono immolati a difesa dello Stato nella lotta contro la criminalità organizzata. Schierarsi contro la Procura di Palermo, se da un lato mortifica gli sforzi e le speranze di quanti credono e lottano per un Paese migliore, dall'altro è un inequivocabile ammiccamento ai poteri mafiosi, come a dire che se le cose si mettono male, ci pensa lo Stato a fermare lo Stato ( bastava ascoltare le parole di Dell'Utri che ieri, fuori dal tribunale di Palermo, si faceva beffe di Borsellino e Ingroia, per comprendere il senso di quanto appena affermato ).
 
 
 
 
Ma se Napolitano, con la scusa di difendere le proprie prerogative, si pone al di sopra della legge e squalifica le istituzioni, la classe politica di cui è espressione ( con l'eccezione del solo Di Pietro ) si rende complice dell'abuso.L'ignavo Bersani, già prono innanzi al governo Monti, è incapace di parole di sinistra e di civiltà, Vendola tace, Casini, i cui figli prediletti sono Cuffaro, Cesa e Romano, leva gli scudi. Con somma gioia e sorpresa di Berlusconi e la sua corte dei miracoli ( quelli cioè che beneficiarono della trattativa fra Stato e mafia ), a cui non par vero, una volta tanto, di vestire gratuitamente i panni dei corazzieri. In questo quadro disarmante di degrado etico e assenza sostanziale di legalità, si staglia sullo sfondo la figura luminosa di Borsellino, il cui sacrificio, nonostante tutto, resta una delle bandiere più belle della nostra società civile. Un bandiera che avremmo voluto sventolare con uno sguardo di speranza rivolto al futuro e che invece, dopo vent'anni, siamo costretti a stendere per l'ennesima volta, come vessillo funebre, sul corpo martoriato della nostra fragile democrazia.
 
BLACKSWAN, giovedì 19/07/2012

mercoledì 18 luglio 2012

PEOPLE HAVE THE POWER


Miei cari , non mi sono ancora ripresa dal Festival " Collisioni" fatto in quel di Barolo, e riparo in Killerania per cercare uno sprazzo di vitalità che il caldo insopportabile, la ressa impensabile di folla, gli avvenimenti seguiti in maniera caotica, hanno prodotto in me e mi hanno letteralmente messo quasi k.o.!!! In tutta onestà posso dirvi , non mancate un altr'anno a questo appuntamento , ma sperate in cuor vostro che le mille manifestazioni cultural-musicali , si riducano solo ( almeno) a cento.Ci avevano informati come previsioni metereologiche , nuvolo e pioggia, e sappiamo quanto il Piemonte in questo caso può essere traditore , anche perchè alla partenza in Liguria il cielo non era sereno e quindi... maglie, kway e più ne ha più ne metta. Arrivati in questo meraviglioso borgo medievale., si sono spalancate ai miei occhi tutto lo splendore delle Langhe, un verde brillante che accecava, un turgore di vitigni, colline che si stagliavano nell'azzurro cobalto del cielo e una temperatura di 43 gradi all'ombra...L'auto deve essere parcheggiata fuori città e un po' di footing non fa mai male, ma il pensiero di che cosa mi aspettava , un po' di apprensione me la dava. Non so quante migliaia di persone si sono affollate in questo luogo, so con certezza che il camminare era simile alla sfilata di un corteo funebre dove i passi sono cadenzati e non puoi certo andare di gran carriera. Le varie manifestazioni vengono eseguite in diverse piazze che prendono il nome dai colori, ma credetemi....  dopo un'oretta buona non distingui il giallo dal rosso, il verde dal blu. Neanche le gustose prelibatezze della cucina piemontese ti aiutano a riprenderti. E' una sensazione momentanea che ti assale e poi scompare , pronta per inseguire un cantante , uno scrittore , un comico, e tutto ciò che è arte nel senso più ampio del termine. Il mio venerdì fu un venerdì di sangue perchè avevo due grossi calibri da affrontare  : Capossela e Patti Smith. Tralascio i vari scrittori , comici , e altri cantanti presenti , perchè non mi basterebbero dieci pagine per descrivervi il tutto. Sopraffatta già da una giornata bestiale, da caraffe di vino che ti offrono lungo la strada, da bomboloni alle mele che ti rendono persante come uno scoglio di Quarto ( nota località ligure...) , mi accingo dopo essermi buttata letteralmente a terra per prender fiato e fumare una mezza cicca in santa pace , ad affrontare i miei due cantanti. So che Capossela aveva grossi problemi orchestrali, mancava il mixer, il palco era troppo piccolo per il numero di persone presenti, tutto andava per il verso sbagliato e la sua esibizione fu veramente disastrosa, mentre il mio cuore si faceva piccolo piccolo, per la simpatia che nutro per questo personaggio .

Non ebbi il coraggio di fare l 'intervista anche se ero fortemente protetta dal gentil signore protagonista di " Centovetrine" Roberto Alpi che mi incitava ad andare , ma all'improvviso mi si spalancarono le porte del Paradiso. Rinunciai a Vinicio , ma alla Patti mai ... e dove la trovavo un'occasione così ghiotta?Credetemi si può certo avere simpatia per una persona e vederla stravolta , ma la Smith è veramente qualcosa di così speciale da sembrare non bella , ma meravigliosa, dove il tempo non esiste , ma solo l'affascinazione che raramente certe persone possiedono e che ti portano in un'altra atmosfera. La semplicità , l'educazione, la gentilezza di questa persona non ha aggettivi che la possano spiegare . Ti parla con la sua voce melodiosa e non vorresti finisse mai. Ti racconta dei suoi tascorsi quando desiderava scrivere poesie , lei impiegata in una libreria e si beava tra le canzoni di Dylan sognando di cantare con lui. Ma il carattere non è acqua. Nei momenti di libertà suonava già per diletto con un piccolo complesso e la voce di questa strana e insolita ragazza giunse a Bob. La andò a vedere , ne fu affascinato e le chiese di aprire i suoi concerti. Patti rifiutò, mentendo spudoratamente e  dicendosi non interessata alla poesia. O cantare insieme o nulla e come sempre , quando si crede  fortemente in una cosa , tutto questo avvenne.  Parla della sua amicizia con Neil Young, dell'amore per l'Italia,  per il desiderio di avere come fidanzato Giuseppe Verdi, ( stupitevi)  della predilezione per Guccini , per l'infatuazione a San Francesco , svela con grazia i suoi dolori , le sue perdite , senza rancore , con un pizzico di dolce fatalità. Ha ancora voglia di dare , di lavorare , di scrivere , di sentire la folla che la ama, la folla e la gente che deve amarsi l'un l'altra , che deve lottare per tutto sempre insieme, perchè abbiamo noi ,solo in questo modo, il potere. Sono letteralmente rapita, ho dato un breve via a tutto questo e il resto è arrivato sciolto e naturale , come il complimento sincero alla camicia bianca di un corrispondente che le ricorda la sua foto di "Horses" , la decisione di tagliare i suoi capelli quando sarà pronta per il pensionamento, ma dovrà prima trovare una casa vicino al mare, con la sola compagnia di un cane ( adora tutti gli animali) e di una capra. Il concerto deve avere inizio. Pensavo con terrore che la magia finisse. Ma era appena iniziata. Quella figura un po' spigolosa , sul palco si trasformava in qualcosa di impalpabile, leggero e sottile, che con movimenti perfetti e con un senso del ritmo straordinario, ti catturava come una maga. La sua personalità era arrivata dentro di noi in tutte le sue forme. Eravamo stregati dal movimento delle sue mani, dei suoi fianchi, di quel rock a volte prepotente che ti ordinava di muoverti , di agire , di vivere! Sinceramente io non mi sono ancora ripresa. Le magiche maglie di quella voce , di quella musica sono ancora con me. Non perdetela ragazzi , è una forma di droga che non vorreste mai abbandonare!



NELLA, mercoledì 18/07/2012

martedì 17 luglio 2012

EMERSON LAKE & PALMER - QUADRI DA UN'ESPOSIZIONE


Alzi la mano chi non ha visto almeno una volta Fantasia di Walt Disney, splendido film d'animazione musicale in cui i cartoni animati del grande fumettista americano erano commentati dall'Orchestra Sinfonica di Filadelfia alle prese con brani tratti dal repertorio di svariati autori classici. Tra i segmenti di cui era costituito il film ( otto in tutto ), il più famoso resta senz'altro quello di Topolino che, nei panni dell'apprendista stregone Yen Sid, ne combina una via l'altra al ritmo coloratissimo dell'omonimo brano del compositore francese Paul Dukas. E che dire della comica danza di struzzi, ippopotami, elefantesse e coccodrilli accompagnata dalle note de La Danza Delle Ore di Amilcare Ponchielli ? Memorabile,ricordate ? 

Eppure, tra tanti splendidi momenti, la mia fantasia di bambino ( vidi il film per la prima volta all'età di dieci anni ) rimase particolarmente suggestionata dall'ultimo episodio, Una Notte Sul Monte Calvo, storia di demoni, fantasmi e arpie che danzano nel cuore della notte fino a quando non sopraggiungono le prime luci dell'alba a interrompere il voluttuoso sabba. Mi ricordo che la vista di queste figure malvagie guidate dal demone Chernabog, se da un lato mi procurava una sorta di morbosa attrazione ( succede spesso che i bambini siano sedotti da situazioni macrabe o immagini orrorifiche ) dall'altro mi repelleva e inquietava non poco. Merito non solo dei bellissimi disegni di Disney, ma soprattutto del potente commento musicale di Modest Musorgskij, uno tra i più grandi compositori russi dell' 800 ( e primo amore classico della mia vita ). Rimasi così tanto affascinato da Musorgskij che, tornato a casa dopo il cinema, mi misi subito a spulciare nella discografia di mio padre fino a quando non trovai Quadri Da Un' Esposizione, forse l'opera più celebre del musicista di Pskov.



Fu amore a primo ascolto e, se ricordo bene, consumai così tanto il vinile, da dover chiedere all'incredulo genitore di comprarne un'altra copia ( sempre rigorosamente Deutsche Grammophon, marchiata dall'inconfondibile etichetta gialla ). La versione in mio possesso ( e quella più nota al grande pubblico ) era la rielaborazione orchestrale che della suite fece nel 1929 Maurice Ravel, mentre originariamente ( 1873 ) l'opera era stata concepita per solo pianoforte. A ispirare Musorgskij fu una mostra, allestita a Mosca e dedicata ai lavori del pittore e architetto russo Victor Alexandrovich Hartmann, morto improvvisamente l'anno precedente alla giovane età di 39 anni. Hartmann e Musorgskij oltre ad essere legati da una profonda amicizia, condividevano il medesimo progetto intellettuale: far rivivere la tradizione e la cultura russa, rifiutando ogni genere di influenza straniera. 

Modest Musorgskij
Musorgskij rimase talmente impressionato dalla forza visiva delle tele dell'amico, da volerne riprodurre le suggestioni in musica. Compose pertanto Quadri Da Un' Esposizione, dividendo la suite in sedici brani, i cui tempi venivano dettati da quelli che occorrevano per visitare la mostra : sei promenades ( cioè le passeggiate che separavano il visitatore dalle varie opere esposte e che sono caratterizzate da un medesimo tema conduttore ), e l'osservazione di dieci dei quadri dipinti da Hartmann. Se entrambe le versioni, sia quella orchestrale e che quella pianistica, hanno una forza evocativa quasi cinematografica, la seconda ha anche il merito di seguire, arditamente, la strada della sperimentazione: Musorgskij abbandona le modalità espressive romantiche, e si concentra su una tecnica pianistica, nello specifico di tipo percussivo e ricca di accordi dissonanti, che anticipa sonorità tipiche del Novecento. Quando qualche anno più tardi iniziai la mia avventura nel mondo del rock, tra i tanti gruppi progressive che affollavano la mia discoteca in erba, avevano un posto di riguardo gli ELP, supergruppo inglese composto da Keith Emerson ( Nice ), Greg Lake ( King Crimson ) e Carl Palmer ( Atomic Rooster). 



I tre ragazzi, che erano dotati di capacità tecniche mostruose, rappresentavano alla perfezione i canoni estetici pretenziosi e autoreferenziali del prog rock: composizioni studiate a tavolino, pulizia nei suoni, lunghe e ( spesso ) ampollose e magnieloquenti suite, arrangiamenti cervellotici, virtuosismi in produzione seriale e testi dagli intenti volutamente intellettualoidi. La musica degli ELP, molto più di quella di altre band, era oltretutto contaminata dalla musica classica, che faceva capolino nei loro dischi non solo come attitudine compositiva ma anche attraverso citazioni esplicite ( Emerson coi suoi Nice aveva riadattato già Bach e Rachmaninov ). E guarda caso, il loro disco più smaccatamente "classico " fu proprio una rilettura di Quadri Da Una Esposizione di Musorgskij, in chiave ovviamente rock e arricchita da qualche composizione originale del trio. L'album, registrato interamente dal vivo durante uno show tenutosi il 26 marzo del 1971 alla City Hall di Newcastle, è forse il miglior lavoro degli ELP sia per compattezza e organicità che per l'inusuale sensazione di presa diretta dell'esecuzione ( mai più così sbrigliata, a dire il vero ) che solo le performances live riescono a trasmettere. Certo, anche  per questo disco, si potranno utilizzare i consueti aggettivi con i quali si è soliti etichettare i dischi degli ELP come prodotti di geniali, ma freddissimi, esecutori: pomposo, pretenzioso, monumentale. Ma al di là del megalomane progetto, Pictures At An Exhibition ha avuto quantomeno il merito di avvicinare tanti rocker alla classica, rendendo popolare un linguaggio musicale altrimenti privilegio di una ristretta elite. L'esecuzione dei tre, peraltro, porta il virtuosismo tecnico a livelli qualitativi eccelsi : Emerson è un maestro a maneggiare tastiere e moog ( sono ancora lontani i tempi del divertissement da classifica di Honky Tonky Train Blues ), il drumming di Palmer abbina potenza e preziosismi, è compatto eppure variegatissimo, e Lake, seppur chiamato in causa come cantante solo in tre pezzi ( The Sage, The curse of Baba Yaga e The great gayes of Kiev ) accarezza le orecchie dell'ascoltatore col suo timbro cristallino e vagamente melodrammatico.

 


Blackswan, martedì 17/07/2012


lunedì 16 luglio 2012

PATTI SMITH - BANGA



Dite pure che è vecchia, che è superata, che il meglio lo ha regalato nella seconda metà degli anni '70, quando il suo punk-rock furoreggiava tra i solchi di capolavori come Horses e Radio Ethiopia. Dite un pò quello che vi pare, ma continuate ad ascoltare i suoi dischi. Perchè Patti Smith, la sacerdotessa dal volto spigoloso e dalla folta chioma selvaggia, è un'artista a tutto tondo, una delle poche rockstar al mondo che quando compongono musica producono realmente cultura. Non è facile per chi ha visto e vissuto così tanto, avere ancora fame di arte e di avventure. La Smith ha sessantasei anni e un passato talmente luminoso ( e tumultuoso ) che potrebbe godersi un meritato riposo, vestire i panni di quel mito che è e, senza muovere un dito, godere dell'ammirazione incondizionata dei suoi innumerevoli fans. Ma la curiosità e la tensione creativa, si sa, son brutte bestie da tenere a bada. Così nonna Patti, invece di dedicarsi all'uncinetto, scrive libri ( Just Kids ) e poesie, declama versi, dipinge, si cimenta meravigliosamente con la macchina fotografica, sta sulle barricate dell'impegno civile. Scrive musica, soprattutto, senza guardarsi indietro, ma cercando nuovi stimoli, nuove motivazioni, nuovi canoni espressivi. Banga, primo album di inediti da Trampin' del 2004, è lo specchio della creatività della Smith : in esso confluiscono ispiratissimi versi, una serie di ritratti fotografici decisamente suggestivi ( nell'edizione deluxe il booklet è un vero e proprio libro ), tanti tributi artistici ( Tarkovsky, Piero della Francesca, Maria Shneider ) e un ricordo toccante del disastro nucleare di Fukushima ( Fuji-San ).
Rispetto a Twelve, il disco di cover del 2007, tributo personalissimo ai grandi miti della musica rock ( recuperate quanto meno l'inusuale cover di Smells Like Teen Spirits dei Nirvana ),  il baricentro musicale si è spostato verso la ballata: le canzoni, orecchiabilissime, molto melodiche, hanno il passo lento e sono spesso suonate in punta di plettro. Eppure, non mancano momenti più incalzanti ( Banga, Fuji-San ), accenni di psichedelia ( Tarkovsky ) e lo spoken visionario, ieratico e in crescendo della monumentale Constantine's Dream, canzone ispirata da un quadro di Piero Della Francesca ed eseguita in condominio con gli aretini La Casa Del Vento. Patti non si dimentica poi di omaggiare gli amici di una vita e si cimenta quindi in una convincente cover di After The Gold Rush di Neil Young ( al quale è da sempre legatissima )  e in un brano ( Nine ), scritto appositamente per il compleanno di Johnny Deep e impreziosito da un bell'assolo di chitarra di Tom Verlaine. Ma le cose migliori del cd sono forse le due canzoni dedicate ad altrettante icone di sensualità, entrambe recentemente scomparse : la toccante Maria, scritta per  Maria Shneider, l'indimenticata protagonista di Ultimo Tango a Parigi, e soprattutto This Is The Girl, malinconica elegia funebre con accenti soul per ricordare la sfortunata e talentuosa Amy Winehouse. La special edition dell'album contiene un brano in più, Just Kids, che non aggiunge nè toglie alcunchè a un'opera già ricca di suggestioni culturali e formalmente ineccepibile ( la produzione curatissima veste le canzoni di un suono omogeneo e molto ben calibrato ). Banga non è solo un gradito ritorno di una delle artiste più amate di tutti i tempi, ma è soprattutto la conferma che Patti Smith resterà, anche per gli anni a venire, protagonista e punto di riferimento della scena rock internazionale che conta davvero.Con buona pace di tutti coloro che la davano per finita.

VOTO : 7,5 
Blackswan, lunedì 16/07/2012


domenica 15 luglio 2012

THE JIM JONES REVUE - THE JIM JONES REVUE


Lo dico a esclusivo vantaggio dei consumatori di cocaina: vale la pena spendere soldi per la droga da quando c’è in giro Mr. Jim Jones ? Volete una bella scarica di adrenalina? Non volete sentire la stanchezza?  Volete fiondarvi a destra e a manca, perdendo la dimensione del tempo e dello spazio ?.Lasciate perdere i righelli di polvere bianca, reinfilate la carta di credito nel portafoglio e utilizzate la banconota da venti per comprarvi questo cd. Il risparmio è assicurato ( una dose dura molto più a lungo di quella che solitamente pippate ) e gli effetti sono più o meno gli stessi. Perchè, ve lo assicuro, quando infilerete il cd nel lettore e alzerete a palla il volume dello stereo, viaggerete a una velocità così iperstellare che nemmeno Superman con un turbo nel culo.


Questa è musica che se la fai ascoltare a una casalinga in mezz'ora ti rassetta una casa di due piani,con fulmicotonica performance al battitappeto, e se finisce nell’ipod di un maratoneta c’è il serio rischio che si ritrovi al traguardo ben  prima che il giudice di gara abbia dato il via. Altro che droga, questo è doping emozionale: dieci canzoni monodose  che definire anfetaminiche sarebbe riduttivo assai. Immaginate il rock dei nostri nonni, quello di Jerry Lee Lewis ed Elvis Presley per intenderci, e fatelo suonare da un gruppo di punk imbizzarriti, per i quali un assolo di piano si può concepire solo a martellate, e avrete una vaga idea di cosa vi aspetta in questa mezz'ora d'ascolto. Ovviamente i ragazzi in questione non solo spingono il piede sull’acceleratore ma  si dimenticano anche di abbassare il volume degli amplificatori. Non è che si posa avere tutto nella vita : se possedete padiglioni auricolari particolarmente delicati, forse è meglio che continuiate a sniffare.Diversamente, godetevi questo marasma di rock incandescente che giungerà alle vostre orecchie direttamente dagli anni ’50 ma non prima di essere stato trasfigurato da uno sguaiato ruggito di furia punk. Suono saturo, distorsioni in produzione seriale e malevolo noise a ricordarci che da queste parti si aggirano anche i Jon Spencer Blues Explosion.

Parte il pianoforte di Princess & The Frog e in dieci secondi vi troverete a sgambettare in salotto in un vortice di acrobatico rock'n'roll, che anche la nonna, sbirciando dal tinello, quasi quasi lascia giù il lavoro all’uncinetto e viene a farsi quattro salti in libertà. Un bel dito medio in faccia all’artrite e alla protesi all’anca, che non è ancora tempo di morire. The Jim Jones Revue è una tirata unica di mezz'ora, divertente come da tempo la musica non riusciva a divertire, e che vi riporterà ai quegli anni in cui Jerry Lee Lewis dava fuoco al pianoforte di Little Richards e le ragazze si bagnavano per lo swing di bacino del Re. Mitico ed imperdibile.


Blackswan, domenica 15/07/2012