giovedì 31 maggio 2012

CRASH OF RHINOS – DISTAL


Genere : Emocore : 
E' per me un grande onore presentarvi il post d'esordio di Flaneur, amico di vecchia data, nonchè grande conoscitore di orizzonti musicali.
Magari vi sarà capitato di buttare un occhio al box “Killers” che campeggia un poco più in basso sulla destra di questa pagina. Registro poco appariscente dei collaboratori che contribuiscono al mantenimento di questo blog.
Lì in mezzo compaio pure io, compreso in quel sestetto che ricorda  la lista dei componenti della band contenuta nel booklet di un cd. Provo ad immaginare l'indiscusso frontman Blackswan  armato della memorabile maple-neck Telecaster Esquire  di zio Bruce mentre picchia giù duro accompagnato da un manipolo di performer di indubbio valore. L' immagine che ne traggo suscita l'applauso spontaneo di chi, come il sottoscritto, è stato fino ad oggi semplice (e fortunato) spettatore.
Io e il frontman ci conoscemmo suonando in bettole virtuali. Postacci dimenticati da Dio. Incrociando frequenze scattò una profonda empatia, al punto che quando Black decise di esprimersi in uno spazio consono modulando i suoi riff su questo blog, mi domandò se desideravo partecipare.
Fu come se Scott Kelly mi avesse telefonato per implorarmi di suonare con i Neurosis:  la cosa mi lusingò al punto da farmi aderire all'invito con entusiasmo adolescenziale.
Ecco perchè sto nel booklet del cd. Il box in basso a destra, al quale io l'occhio ce l'ho buttato un sacco di volte. Con un certo disagio, confesso,  constatando che quel nickname  - che indosso come una maglia lisa da un tempo piuttosto lungo e che ha scandito molte mie frequentazioni online – giace privo di voce a fare inutile sfoggio di sé, come certi soprammobili che l'oblio quotidiano abbandona su una credenza. Muti testimoni di eventi, generosi nell'unico compito a loro delegato : raccogliere polvere.
Successe che, proprio mentre accettavo la proposta di Black, un'afasia sghemba si andava conclamando, ponendosi come un macigno tra me e la tastiera. Il gesto dello scrivere, medicina salvifica e fragile consuetudine che per  lungo tempo mi aveva accompagnato, si palesava improvvisamente come inaccessibile.
Ora, a forza di scorrere quanto scritto dai tanti che frequentano queste pagine, il desiderio di tornare a picchiare sui tasti si è nuovamente, timidamente affacciato. Sperimento un lieve imbarazzo nell'esordire in questa  “cucina di parole” così ben frequentata e spero perdonerete il modesto sermone introduttivo che ha l'unico scopo di familiarizzare un minimo con  la popolazione indigena, gli odori e i sapori che dimorano in questi metri quadri.
Mi auguro che quanto riuscirò a produrre risulti di vostro gradimento. So che non riuscirò a sostenere il ritmo produttivo quotidiano dello chef  Blackswan:  spesso mi domando quali miracolose pozioni assuma per sottrarsi al morso del dio Crono che ti bracca costantemente come un terzino sulla fascia. Tenterò ugualmente di condividere qualche pensiero in transito tra testa e cuore del “botanico da marciapiede” che alberga nel sottoscritto.
Ora, come prevedevo, non mi sovviene alcun buon excipit per chiudere il discorso.
Beh, insomma, eccomi qui...



Avvertenza.
Consumo il mio esordio in questo spazio con una non-recensione. Il disco che vado a proporre – infatti – è la mia colonna sonora quotidiana da parecchi mesi. Ciò rivela un feticismo da personalità borderline, So che dovrei discuterne con uno specialista...
Perdonate quindi l'enfasi e quel certo piglio drammatico con i quali ne argomento.  Semplicemente non riesco a parlarne che così, perché – come detto – questa non è una recensione. Una dichiarazione di amore, piuttosto.




Spero conveniate con me che Crash Of Rhinos è un gran bel nome per una band.
Evoca la scia di polvere sollevata dalla carica di un branco di perissodattili  e restituisce una seduzione cinetica  che è già un notevole presagio.
Il detto “nomen omen” sembra fatto su misura per questi cinque ragazzi di Derby – Inghilterra -  che danno vita ai Crash Of Rhinos ed esordiscono a inizio 2011 con un album ammaliante, “Distal”, per ricordarci che il termine “emo” non è solo etichetta utile a posers adolescenti in jeans skinny-fit   , ma elisione di “emocore”, biforcazione cruciale posta a metà degli anni '80 sul tortuoso cammino del punk-hardcore e spinta propulsiva capace di regalare nuova linfa creativa a un canone musicale i cui limiti intrinsechi si rivelavano lacci soffocanti.

“Distal” travalica la definizione accademica del genere e dilaga dopo ripetuti ascolti rivelando una ricchezza compositiva rara e una ispirazione superiore. La sezione strumentale sorprende per la presenza di due bassi, le cui armonizzazioni sono robuste fondamenta alle chitarre, il tutto suonato con tecnica mirabolante e passione sinceramente fuori dal comune.
Il cantato, mai temperato, scontorna  ad arte fuori dal segno tracciato dalla melodia, sembra non  starci dentro oscillando sull'orlo dello scream. Divampa nel frequente utilizzo delle “gang vocals”. perchè il testo mica può entrare in punta di piedi in questa ruvida materia sonora. Necessita di un eroismo non comune per farsi spazio a spintoni, conquistare visibilità. Allora cinque voci sono meglio di una – è la regola – nel dare vita a questa sorta di “coro trionfante” nel quale convivono, sovrapponendosi, gioia e disperazione.
Incastonato in una sezione ritmica ansiosa e calibrata al punto giusto per contenere le sterzate melodiche che segnano ognuna delle sette tracce che ne compongono la tracklist. “Distal” si propone  - privo ritocchi cosmetici  da  hit-parade - per quello che è : quaranta minuti  di musica “larger than life”.


L'opener “Big sea”  è il manifesto di quanto aspetta chi si sintonizza sulla frequenza di questa band. La batteria impone spazi stretti costringendo  bassi e  chitarre a un sovraffollamento che è già progetto di evasione risolutiva. Non appena pare di aver capito come funziona, la canzone sbanda e rallenta, si inerpica in un arpeggio che concede ossigeno e metri quadri vitali alla combo, per poi riassestarsi nel ritmo serrato e condurci verso un “outro” esteso e malinconico.
“Stiltwalker” parte velocissima, sotto la pressione dello scatto il pavimento  sonoro collassa giusto nel tinello sporco degli At The Drive In e costringe ad inginocchiarsi commossi di fronte alla perizia tecnica con la quale i cinque affrontano il cimento.
Accusato il colpo è vitale rifiatare. Allora ecco “Wide Awake”, misurata nel suo mostrarsi balsamo lenitivo, tregua e “Lifewood” che – malandrina – illude con l'inaspettata promessa dell'arpeggio iniziale per poi dilatarsi e esplodere  lasciandoti orfano non appena si esaurisce nei suoi tre minuti e mezzo e ti verrebbe voglia di riascoltarla immediatamente, ma “Gold On Red” ammicca già quale stele monumentale e rimbalza adrenalinicamente in tutte le direzioni, così “widescreen” da  mozzare il fiato.
“Closure”  è un tripudio di contrappunti ritmici: riff angolari si incastrano nel tessuto musicale ricamando un ordito  spiazzante per il segno e la precisa capacità evocativa. Poi, è un attimo,  siamo ai saluti finali : “Asleep”. Architettata alla perfezione per lasciare dentro una nostalgia sottile, come certo congedi che desidereresti procrastinare all'infinito. Sfuma nella nebbia ipnotica di arpeggio e voci, osmoticamente efficace nel trasmettere questa inaspettata dolcezza da intemperie nordica che è già rimpianto.

“Distal” mutua gli stessi mobili chiaroscuri di un cielo albionico,  sapientemente in bilico tra  lampi di luce selvaggia e malinconiche penombre. Arriva dritto al cuore lasciando un segno languido di attonita meraviglia.
Attraverso le finestre di questo edificio sonoro, si può scorgere un preciso frammento di mondo nel quale compiere un' incursione, terminato l'ascolto, appare quasi necessario.
E' sufficiente dirigersi alla porta, uscire. Cercare qualche amico, un buon pub. Una birra ristoratrice, carburante nobile per le parole. Il resto verrà da sé sul filo teso dell'ebbrezza alcolica, procrastinando il commiato, le pacche sulla spalla, l' abbraccio accorato. Quasi che si trattasse dell'ultima volta che ci si vede, immaginando che domani sia la fine del mondo e l'urgenza consueta non abbia ragione di essere. Non questa notte, almeno.


Il disco è diponibile in offerta libera – anche a zero money – sul bandcamp del gruppo qui.
A questo punto non concedergli un chance di ascolto sarebbe come una avemaria in bocca a un saraceno...



 FLANEUR,  giovedì 31/05/2012

mercoledì 30 maggio 2012

ABBIGLIAMENTO ESTIVO PER L'UFFICIO

Si è aperta ufficialmente la bella stagione, e cioè tre mesi di merda caratterizzati da zanzare ( la fottutissima zanzare tigre che veste i colori della juventus e caca il cazzo anche di giorno ), caldo porco, sudore a fontanella e notti insonni. In attesa di rivedere la bianca neve natalizia e godere di temperature più consone ai miei cromosomi di stirpe celtica, mi consolo pensando che il cazzismo che dilaga in me trova tuttavia una bellssima espressione estetica. E' arrivato infatti il momento di togliere dalla naftalina le  Rock T-Shirt, cavalli di battaglia del mio guardaroba estivo, a cui fanno buona compagnia la maglietta con la foto della Curva Nord e quella di mouriniana memoria su cui campeggia il memento: TITULI 3 ( Olè ! ). C'era un tempo, ero giovane e non abbastanza pirla, in cui credevo che il lavoro e la carriera avessero un senso : arrivavo in ufficio in tenuta pinguinesca e portavo giacca e cravatta sempre, con temperature da giungla tropicale e conseguenze a dir poco imbarazzanti ( avete presente di che colore diventa una camicia azzurra dopo mezz'ora di metropolitana nel mese di luglio ? ). Oggi, che le circostanze della vita mi hanno aperto gli occhi e considero le dodici ore di lavoro come una sorta di regime di semilibertà, mi vesto un pò come cazzo mi pare. O meglio, mi vesto nello stesso modo in cui mi vesto nella vita reale : jeans sdruciti, scarpe del tennis ( possibilmente ad un livello di puteolenza pestilenziale ) e Rock T-Shirt. Oggi, ad esempio, ne indosso una storica dei Violent Femmes, color verde pisello leghista. A parte l'inconveniente di dover spiegare ai colleghi che me lo chiedono chi cazzo siano i Violent Femmes ( da queste parti la cosa più punk che ascoltano è un live acustico di Laura Pausini ), mi sento molto fico e soddisfatto. Nè i miei capi hanno mai osato dirmi alcunchè rispetto al mio abbigliamento un filo bohemiennes, perchè se mai dovessero avere atteggiamenti ostativi, inizierebbero concentrandosi sulla zazzera cespugliforme o sulla barba incolta come un canneto al vento. Il che sarebbe troppo sbattimento anche per chi è nato al solo scopo di cagare il cazzo al prossimo. Tornando al mio guardaroba estivo, posso vantare un numero di magliette davvero cospicuo, che non perdo l'occasione di implementare comprandone di nuove ad ogni concerto. Insomma ne possiedo di ogni tipo e adatte alle più disparate occasioni. Ecco qualche esemplare:




Questa di Johnny Cash, ad esempio, è la più bella in assoluto. Mi piace pensare che l'uomo in nero abbia visto l'inferno con i propri occhi e abbia sfanculato così la morte. Perfetta per serate trasgressive ( torneo di briscola o non-stop di Trivial Pursuit ), derby visti con amici milanisti ( basta mostrare la maglietta e non c'è bisogno di esultare ) o per il casual friday aziendale ( giornata in cui nessuno si formalizza troppo davanti a un bel dito medio ).




Nonostante sia un pò zotico nei modi, mi riconosco tuttavia anche un certo stile. Pertanto, per gli appuntamenti più formali ( riunioni, cene aziendali, abboccamenti con l'ufficio del personale ) vado sul classico e opto per una delle due magliette dei Ramones. Sobrie, discrete, vintage ma senza spocchia, sono le preferite da chi ama vedermi vestito elegante ma con una punta di nonchalance.




Nell'eventualità di occasioni estreme ( ogni tipo di cerimonia, compresi corsi o congressi ), la scelta cade sul serissimo total black di questa maglietta dei Marlene Kuntz. Rigorosa, austera, quasi presbiteriana, è perfetta per fugaci apparizioni in chiesa durante i battesimi, e per contrite deambulazioni al seguito del feretro del caro estinto. Reperto di un concerto vissuto in prima fila al Carroponte di Sesto, è una delle preferite del lotto e ideale nel caso qualche stronzo fissi un seminario o un corso di formazione quando la temperatura va ben oltre i 25 gradi. 




Utile quanto mai durante gli abboccamenti con avvocati e controparti, questo splendido esemplare di maglietta System Of A Down la dice lunga sullo stato perennemente incazzato del mio umore aziendale e ha il merito di ricondurre tutti, ma proprio tutti, a più miti propositi. Perchè se è facile alzare la voce contro una giacca e una cravatta parlanti, viene un pò più diffilcile fare gli sboroni con un metallaro dal brusco cipiglio ( e la mano che cerca di afferrarti non tranquillizza affatto ). 

Blackswan, mercoledì 30/05/2012

martedì 29 maggio 2012

Avevo in animo di pubblicare un post, ma dopo i fatti di oggi non ha senso.
Mi limito a mandare un affettuoso abbraccio agli amici dell'Emilia Romagna, della Lombardia e del Veneto e a tutti coloro che in queste ore stanno soffrendo a causa del terremoto.



Blackswan, martedì 29/05/2012

domenica 27 maggio 2012

PAUL BUCHANAN – MID AIR



Genere : Pop
 
Quando nel 1983 esce A Walk Across The Rooftops, primo album in studio dei Blue Nile, appare subito chiaro di essere al cospetto di una band in grado di lasciare un segno decisivo nella storia della musica. Eppure Paul Buchanan, leader e cantante del gruppo, è uno che ama lasciar decantare le cose, si defila invece di cavalcare il successo. Poco incline alle luci della ribalta, fa dell’understatement il suo stile di vita artistica : si rifiuta di tenere concerti, non rilascia interviste, non compare sulle riviste specializzate. Centellina i dischi, oltretutto. L’album successivo, dal laconico titolo di Hats, esce sei anni dopo, nel 1989, folgorando nuovamente pubblico e critica con suggestioni sonore grondanti di notturna malinconia. Sarà così anche per i successivi due album, l’ennesimo capolavoro Peace At Last, datato 1996, e High del 2004, ultimo capitolo della più dilatata discografia che la storia ricordi. Paul Buchanan, anche lontano dai Blue Nile, mantiene comunque il medesimo approcio artistico da eremita del pop: sparisce dalle scene e di lui non si sa più nulla. Poi, come un fulmine a ciel sereno, ricompare. Esce infatti in questi giorni Mid Air, primo album solista del cantante scozzese dopo otto anni di silenzio.Otto anni sono un’eternità, sono un lasso di tempo così lungo da rendere fallace o incongrua ogni aspettativa.Saranno ancora i Blue Nile ? O sarà qualcosa di completamente diverso ? Mi sono posto queste domande più volte prima di inserire il cd nel lettore. Probabilmente perché Hats è stato, e resta , uno dei dischi più importanti della mia vita, e perchè quelle canzoni, così struggenti e decisive, hanno lasciato nel mio cuore ferite ancora oggi non rimarginate.





Per Buchanan quindi provo riconoscenza, eppure egoisticamente da lui voglio, pretendo, anche dopo tanto tempo, le medesime suggestioni. Quando parte la title track il mio cuore si ferma. Penso subito a Let’s Go Out Tonight e mi si stringe la gola. Poi, sfilano una a una, ripetutamente, tutte le altre tredici canzoni del disco. Le note si muovono con lentezza, scorrono come frames di una malinconia che non strugge ma consola, come immagini di un risveglio accarezzato dal morbido calore del primo sole mattutino. I languori si avviluppano alla tastiera di un piano suonato con la calma di chi cerca di svelare la melodia senza fretta, come quando si sorseggia un buon vino del quale si vuol cogliere anche il più recondito profumo. La voce arresa di Buchanan accarezza le orecchie con sussurri, bisbigli, esitazioni, culla i fremiti di una feroce nostalgia perché non esplodano, ma restino sottotraccia, sensazioni buone da consumare come pane caldo appena sfornato. Minimali nella forma e intimiste nella sostanza, le canzoni di Mid Air declinano un lirismo che sembrava perduto, sono l’avamposto di resistenza poetica alla inconcludente frenesia del mondo, perle di consapevole e disillusa rassegnazione di un’arte che svela la sua fragile bellezza innanzi allo strapotere protervo della macchina. Ed è bello fermarsi e lasciarsi sommergere dall’acqua purificatrice di una musica che restituisce, integra e cristallina, la gioia dei nostri pensieri più profondi, dei nostri ricordi più dolci, di quel nitore malinconico che le convulsioni della vita rendono grigio e triste. Capita poche volte, ma quando succede è bello poterlo scrivere. Perchè Mid Air è un disco magnifico, che potrebbe anche definirsi epocale se solo parlasse la stessa lingua per tutti. Invece veste abiti diversi per ogni vissuto, parla di noi, di ciascuno di noi, nella segreta penombra del confessionale. Lo teniamo stretto al cuore con protettivo affetto, gelosi di  qualcosa che riguarda solo il nostro passato, come fosse un deliquio privato, un segreto taciuto, una scheggia di eternità spirituale che infrange la finitezza dei corpi, un gioiello tanto prezioso da nascondere agli altrui sguardi, celandolo nello scrigno profondo dell’anima.Per una volta sola, da tanto tempo a questa parte, posso usare una parola senza temere di esagerare : capolavoro. E giuro, è una sensazione bellissima.

VOTO :10



Blackswan, domenica 27/05/2012

sabato 26 maggio 2012

SAREBBE COME…


Sarebbe come se la strega cattiva di Biancaneve diventasse Presidente del Consorzio Produttori Mele del Trentino Alto Adige.
Sarebbe come se Barbablù fosse nominato Ministro delle Pari Opportunità.
Sarebbe come se il tuo migliore amico si chiamasse Jago.
Sarebbe come se mettessero un prete a dirigere un asilo nido.
Sarebbe come vedere Moggi pregare sulla tomba di De Coubertin.
Sarebbe come se D’Alema dicesse qualcosa di sinistra.
Sarebbe come se Bersani dicesse qualcosa.
Sarebbe come se al Trota venisse rilasciato un attestato di frequenza dall’Accademia della Crusca.
Sarebbe come non farsi una canna dopo aver sentito parlare Giovanardi.
Sarebbe come dare a Moccia il Nobel per la Letteratura.
Sarebbe come affidare a Dell’Utri la direzione della Procura Antimafia di Palermo.
Sarebbe come se capitan Zanetti vestisse la maglia del Milan.
Sarebbe come se Putin prendesse la tessera di Amnesty International.
Sarebbe come se a Ligresti venisse affidata la cura del verde di Milano.
Sarebbe come se La Russa organizzasse un dj set raggamuffin al Leoncavallo.
Sarebbe come se Formigoni aprisse un atelier di moda.
Sarebbe come se Sallusti vincesse il Pulitzer.
Sarebbe come passare quindici giorni di ferie a Mogadiscio.
Sarebbe come camminare per Scampia con un Rolex al polso.
Sarebbe come se Berlusconi diventasse Presidente della Repubblica.




 Blackswan, sabato 26/05/2012

venerdì 25 maggio 2012

L'OPPORTUNISTA...


Miei cari ho messo i puntini a questo titolo , perchè si riferisce a me e sinceramente non mi sento tale , anche se in qualche circostanza mio malgrado lo sono stata.In questo raccontino di vita vissuta , sinceramente non volevo esserlo , anzi dovevo solo essere più che riconoscente a chi mi aveva dato questa opportunità. E invece ..i casi della vita...Forse lo sapete , ma forse no , ho avuto subito una folgorazione per Tom Waits, appena ascoltata la sua canzone " Ol'54" ero già completamente sua, immerrsa in quel fascino strano e morboso che non conoscevo. Freneticamente incominciai a leggere tutto o quasi ciò che lo riguardava , ma alla fine capii che proprio nessuno riuscirà mai a conoscere veramente una persona così. Noi siamo abituati a associarlo, al bourbon e al fumo suo grande alleato nei primi anni di carriera, nelle fumose bettole dell'underground newyorkese, lui venuto dalla piccola Pomona, irrequieto fin da bambino, sballottato da una parte all'altra degli USA per sua propria volontà. La sua culla è sempre stata la strada, gli avventurieri di passaggio, le prostitute che lo accompagnavano con una certa abitudine.Ma era la vita che aveva scelto, finchè non pensò di cantare pure lui come tanti, il diventare famoso gli poteva essere utile. Quella sua voce era la cornice giusta negli ambienti giusti, nulla di più allettante che le sue ballate on the road, tra un bicchiere e l'altro piene di fumo e di polvere. Ma attirava , coinvolgeva , questo suo strano modo, ti buttava in mezzo alla mischia, ti faceva conoscere luoghi per te proibiti. E si sa che il proibito alletta sempre. Eppure della sua vera interiorità si sa meno. Si identifica con le sue canzoni ( in parte è vero), ma pochi conoscono la sua vera natura . Un irlandese importato, timido, introverso, introspettivo e soprattutto noncurante degli altri. Non che non desideri la riuscita dei suoi album e piacere ai fans , questo mai, ma il suo successo è solo basato su scelte personali libere da mode , critiche , condizionamenti. Banditi i giornalisti o affini, è impossibile intervistarlo. Quando presenta un nuovo disco, fa tutto da solo , come una recita di una pellicola comica. Filma in una stanza che ci può sembrare piena e invece non la è, le domande e le risposte che meccanicamente si autofa' con estremo piacere  e divertimento per se stesso e per chi lo conosce. Abbiamo avuto il merito di Benigni che l'ha fatto arrivare in Italia. Ricordo due date memorabili per due diversi motivi. Il premio Tenco  a cui aveva partecipato, un miracolo  del cielo e il concerto di Firenze del 1999, a luglio con un caldo terribile , come solo la bellissima città ci può regalare.Mi misi in contatto allora con uno straordinario Fans club dedicato a lui e tutt'ora esistente per chi ne ha il prurito di andarsi a iscrivere. Comunque fatelo , ne vale la pena.! Il club è" Blue Valentine" e nacque proprio nel 1998, magistralmente diretto da Kira e Ceccoz che setacciano il mondo per portarvi notizie inedite. Mi iscrissi e conobbi Kira via e.mail. La nostra corrispondenza fu subito di amorosi sensi, a parte i gusti musicali, tutto coincideva, l'anticonformismo, le idee sulla vita , in breve ancor oggi pur vivendo molto lontana da me , posso dire che è diventata la mia più cara amica, malgrado il tiro barbino involontario che le ho combinato.Mi misi d'accordo con Kira per il concerto di Firenze, prima di tutto per Tom, ma anche per conoscere questi miei benfattori. Ci incontrammo e l'emozione fu plateale, persone mai viste che si incontrano come si conoscessero da secoli. I casi della vita! Che meraviglia. Assistemmo tremanti dall'emozione ad uno dei concerti migliori della storia, con un Waits in stato di grazia , una platea ricca di attori e con cantanti famosi, un pubblico brillante e partecipe, la prima performance del figlio Casey alla batteria , l'adorata moglie in platea( bellissima e sempre giovane...)e noi inondati di coriandoli multicolori che uscivano dalle tasche dell'orco di Pomona, il nostro Rain Dog, all'apice della sua performance. 

Eravamo talmente caricati dal tutto che usciti fuori non volevamo che la nostra serata finisse e tutti furono d'accordo di cercare l'albergo del nostro amato. Qualcuno sapeva dove poteva essere , ma cammina che ti cammina io ricordo di aver fatto quasi tutta Firenze al passo! Ma quando la fortuna bussa , le devi sempre aprire e infatti...Stavo parlando con Kira che mi aveva fatto leggere e vedere un libro sull'hobby di Tom di disegnare macchie di benzina e olio, cadute a caso dalle auto vecchie che adora riaggiustare, quando ci venne incontro un quartetto abbastanza sospetto. Voi non ci crederete, ma in mezzo si era incarnato il nostro Tommasino, vestito di nero con le sue solite due taglie in meno, diafano come un morto , con quegli occhietti indecifrabili che non potrò mai spiegarvi e un soriso sornione. Noi due donne ce ne accorgemmo per ultime, perchè eravamo prese tra una macchia e l'altra, ma quando si presentò davanti a noi sorridendo beffardo, io avevo in mano il suo libro di disegni e il ghigno diventò un compiacimento sul viso del Grande che subito mi fece domande su come ero venuta a conoscenza di tutto questo. Infatti in Italia il volume era sconosciuto, ma la mia Kiretta l'aveva importato dall'America.... Io trovai scuse plausibili non sapendo i precedenti e gentilmente mi chiese se volessi una dedica. Cosa potevo fare ? Certo potevo dire il nome della legittima proprietaria del libercolo, ma sul momento dissi il mio e così Kiretta  adorata , possiede una dedica che appartiene a lei , ma a mio nome. Ahahaha..., non la prese subito bene..ma poi incominciammo a ridere e a essere così felici della sorte, che tutto ci sembrò incantato.Quell'adorato uomo che negava le interviste era stato con noi.....non capiterà mai più! 







NELLA, venerdì 25/05/2012

giovedì 24 maggio 2012

LA CONTEA PIU' FRADICIA DEL MONDO - MATT BONDURANT

Questo romanzo è l’epopea di un mondo lontano - quello della Grande Depressione e del Proibizionismo - e di tre uomini coinvolti nel commercio clandestino di alcolici nella contea di Franklin, in Virginia: i fratelli Bondurant. Forrest, quello di mezzo, il leader del gruppo, è un uomo dalla fierezza indistruttibile; Howard, il più vecchio, è segnato dagli orrori visti e patiti al fronte durante la Prima guerra mondiale; Jack, il più giovane, è ossessionato dal denaro, dal lusso e dal desiderio di fuggire da una vita che gli sta stretta. Con loro, Maggie, Lucy e Bertha, donne silenziose, innamorate e tenaci.Quando qualche anno dopo, a caccia di nuove storie da raccontare, arriva nella zona Sherwood Anderson, l’alcol ha ripreso a circolare liberamente, ma la sua pro duzione illegale continua. Sarà proprio il celebrato autore di Winesburg, Ohio - allora in un momento di grande crisi professionale, deriso e tradito dagli scrittori che aveva aiutato a crescere: Hemingway e Faulkner - a ribattezzare il luogo «la contea più fradicia del mondo» e a mettersi sulle tracce dei Bondurant lungo le strade polverose del Profondo Sud, squarciando per primo il silenzio sulle loro gesta.


La Contea Più Fradicia Del Mondo è un libro dalle diverse anime. In primo luogo, infatti, è un romanzo storico, dal momento che Matt Bondurant ha ricostruito minuziosamente ( tramite testimonianze dirette, atti processuali e saggi ) i fatti e l'ambientazione di un periodo, quello a cavallo fra gli anni '20 e '30, e di un contesto di America rurale, nel quale imperversano i moonshiners, contrabbandieri e produttori illegali di whisky. Siamo nel cuore profondo della Virginia, e il mondo in cui si muovono i protagonisti ricorda da vicino quello della grande epopea western : la vita umana vale meno di un dollaro, le sparatorie e le scazzottate sono all'ordine del giorno, la legge si confonde con il crimine, l'alcol, fabbricato, venduto, tracannato, è il metronomo delle esistenze di tutti. Ma il romanzo di Bondurant si muove anche per altre strade : quella parallela, ma temporalmente fuori sincrono, in cui il protagonista è il grande scrittore americano Sherwood Anderson ( noto ai più come autore di racconti e per essere morto a causa di uno stuzzicadenti ingoiato accidentalmente ) che cerca notizie sui Bondurant per ricostruirne le gesta e scrivere un lungo articolo, e quella della gangster story, che riporta ai fasti cinematrografici de Gli Intoccabili. Pur non avendo il ritmo del thriller, La Contea Più Fradicia Del Mondo dispensa tuttavia parecchi colpi di scena, soprattutto nel livido finale della resa dei conti, e tiene il lettore incollato fino all'ultima pagina grazie alla gestione pressochè perfetta dell'interplay fra i vari personaggi, colti nella fragilità delle loro debolezze ( l'alcolismo di Howard, la viltà di Jack, il glaciale distacco di Forrest ) eppure ammantati da una aurea di epicità che li trasfigura in leggendarie icone. Sullo sfondo, la querelle letteraria fra Anderson e Hemingway e tre storie d'amore ombrose, malinconiche e disperate, che rendono varia e appassionante una lettura che richiama alla mente, con le dovute proporzioni,  il grande romanzo americano del '900 ( Steinbeck, Faulkner e lo stesso Anderson ). Imperdibile per chi ama il sapore torbato del whisky e le storie ruvide di quegli anni dominati dalla legge del più forte.
Dal libro è stato tratto il film Lawless, presentato nei giorni scorsi a Cannes, diretto da John Hillcoat ( The Road ) e sceneggiato da Nick Cave.



Blackswan, giovedì 24/05/2012