giovedì 17 ottobre 2013

GARLAND JEFFREYS - TRUTH SERUM





Come ritrovare un vecchio amico, tornare in un luogo che ci lega a tanti ricordi, assaggiare nuovamente un sapore della nostra infanzia. Sensazioni che ci pervadono con il loro carico di nostalgia, che ci fanno sentire per un attimo ancora giovani, per poi aprire inevitabilmente il confronto tra ciò che eravamo e ciò che siamo. Gli anni che scorrono, le nostre sembianze e i nostri gusti che cambiano, la musica gloriosa delle scorribande liceali che ritorna e che oggi ci appare antica e nel contempo nuovissima. Ascoltare il nuovo disco di Garland Jeffreys apre a tutte queste riflessioni, è come mettersi davanti a uno specchio per cercare di capire se, quanto e come siamo cambiati. Se, soprattutto, queste canzoni sono ancora nostre, ci rappresentano di nuovo, o le ascoltiamo solo perchè ci rammentano quanto intensi e coraggiosi fossero quei tempi andati. Ci attende dietro l'angolo il timore che all'entusiasmo del fan subentri la delusione, una scaletta sciapa da disco frusto e superato, magari una lacrimuccia malinconica, ma nulla più di questo. Invece, il tempo talvolta è clemente o semplicemente si volta dall'altra parte per non guardare chi merita rispetto. Così, il nostro amico di Brooklyn, che ha settant'anni suonati e suona il suo rock contaminato da più di quaranta, nonostante le rughe, torna a raccontarsi con lo stesso spirito che animava le note di American Boy & Girl o che ci faceva godere come matti con quel Rock'n'Roll Adult, che resta una delle reliquie più preziose della nostra discografia. Truth Serum (co-prodotto da James Maddock) non è un capolavoro, sia ben inteso : se lo affermassimo, saremmo esattamente come quegli innamorati che a cagione di una stolida passione confondono pezzi di rame con oro che luccica. Eppure, dal momento che l'amore, quello vero, nasce dalla consapevolezza, dal considerare i difetti come parte di un tutto che ci ammalia, possiamo dire, con l'obiettività di cui siamo capaci, che Garland ci ha regalato un'altra ottima prova. Fatta di belle canzoni, certo, ma anche (e forse soprattutto) di sincerità, di una cura artigianale nel ritagliare e cucire quei suoni che paiono ancora figli della medesima passione di quando lui di anni ne aveva quaranta e noi invece eravamo solo adolescenti. Possiamo dire allora che il reggae di Dragons To Slay mette in fila tutti gli indie hipster multietnici da sushi bar, che il blues della title track è sangue che scorre nella pece, che la ballata in quota Stones di It's What I Am non smetteremmo mai di ascoltarla per quanto ci ricorda Wild Horses o che Ship Of Gold è insieme scorbutica e dolce e per questo irresistibile. Poi ci sono i difetti, è inevitabile, e sono gli stessi che vediamo in noi quando ci guardiamo allo specchio. Un pò disillusi, un pò stanchi, forse azzoppati, ma sempre cavalli di razza, esattamente come Garland. Che ci fa sentire, almeno nell'anima, come fossimo ancora "wild in the streets". E non è poco.

VOTO : 7,5





Blackswan, giovedì 17/10/2013

3 commenti:

Arte e design ha detto...

Sì, fa molto prime serate estive.
Birretta, moscerini, erba alta...

Der Graf von Mailand ha detto...

Bel post black! Si é vero noi pugili le abbiamo date e soprattuto le abbiamo prese ma siamo sempre in piedi o almeno cerchiamo di starci e non smetteremo mai di commuoverci davanti a dischi e persone come il >Jeffreys magari giá sentito ma ancora e sempre col cuore in mano.

monty ha detto...

Garland Jeffreys! Quanti ricordi...