mercoledì 2 ottobre 2013

HANNI EL KHATIB - HEAD IN THE DIRT



Provate a fare un breve ricerca sul web per vedere quali e quante siano le collaborazioni a cui ha dato vita Dan Auerbach, , e rimarrete esterrefatti. Solo tra il 2012 e il 2013, il leader dei Black Keys ha prodotto una decina di dischi, tutti peraltro balzati all’onore delle cronache musicale. Tra questi artisti, oltre a Bombino, Valerie June, Dr. John, Hacienda e Michael Kiwanuka, spicca per bravura anche Hanni El Khatib, giovane rocker proveniente dalla California, ma di origini evidentemente esotiche (padre palestinese e madre indonesiana). Il ragazzo, nel 2011, ci era piaciuto assai con Will The Guns Come Out, esordio fulminante di ruvido garage rock e ballate da marciapiede. Un disco, quello, molto ingenuo, molto imperfetto, molto scarno, molto corto, ma decisamente irrorato di sanguigno trasporto e urgenza espressiva. Oggi, grazie ai buoni uffici di Auerbach, che quando veste i panni del produttore appare indiscutibilmente dotato del famoso tocco di re Mida, Hanni El Khatib torna sulle scene con un lavoro che da una bella passata di spugna sullo sporco che impregnava le canzoni degli inizi e propone invece un filotto di brani vestiti di un casual finto grezzo (e molto piacione), che aumenterà notevolmente l’appeal del giovane songwriter americano. La formula, anche se ripulita nell’anima, è quella degli esordi: rock, garage, una spruzzata di blues e qualche ammiccamento brit pop che, non si sa mai, potrà venire utile per lanciare il disco sull’altra sponda dell’oceano. Il risultato, se cancelliamo dalle orecchie lo sgangherato entusiasmo di due anni fa, è indubbiamente piacevole. D’altra parte, Auerbach (qui, coautore di quasi tutti i brani), con El Camino, ha dato vita a una notevole sterzata nella carriera artistica dei Black Keys, ottenendo un successo prima nemmeno immaginato. Così, a immagine e somiglianza di quel suono, sta plasmando forma e contenuti di chiunque decida di mettere nelle sue capaci mani la produzione di un disco (il medesimo percorso di El Kathib lo ha fatto Bombino). Fatte queste premesse, Head In The Dirt risulta essere senz’altro un buon disco, e tra i suoi solchi si trovano parecchie canzoni che bucano le cuffie e ti si piazzano in testa grazie a riff energici e ritornelli appiccicosi. L’immagine stracciona e molto rocker della copertina (non vi torna alla mente Copperhead Road di Steve Earl?) è però replicata solo in parte. Prevale piuttosto la lungimirante visione di chi sa creare un prodotto commerciale di qualità che sicuramente non dispiacerà a quanti amano apparire intenditori di un certo tipo di rock, senza però complicarsi eccessivamente la vita. Il primo disco era decisamente meglio, questo però venderà. Ascoltate un po’ voi.

VOTO : 6,5





Blackswan, 02/10/2013

4 commenti:

Badit ha detto...

Ecco,il voto è giusto
ciao grande Black

Nella Crosiglia ha detto...

Il disco venderà può darsi..Mi ricorda molto la tecnica musicale dei
Black Keys che non rientrano proprio nelle mie corde...
Vedremo...
Enjoy the music grande Blacky!

Ernest ha detto...

ero all'oscuro
grazie

Blackswan ha detto...

@ Badit : ciao rRagassuolo ! ;)

@ Nella : Peccato ! I Black Keys sono un grande gruppo.

@ Ernest : :)