sabato 23 novembre 2013

DISCOGRAFIE : RUFUS WAINWRIGHT







Genere: Pop, Baroque Pop, Pop-Opera

Periodo d’attività : 1993 – ancora in attività

La carriera di Rufus Wainwright è caratterizzata da una produzione di livello altissimo, tanto che per connotare le opere che compongono la sua discografia spesso ricorre l’aggettivo “capolavoro”. Eppure, l’artista newyorkese non ha mai ottenuto il successo planetario che si meriterebbe, giungendo a un picco di notorietà solo con Release The Stars (2007), con cui vinse un disco d’oro in Canada e in Inghilterra. Ciò a dimostrazione del fatto che quando il pop è figlio di coerenza espressiva e non si prostituisce alle charts, può assumere le sembianze e i contenuti dell’opera d’arte, destinata a un pubblico adulto o quantomeno capace di comprenderne i riferimenti colti, le sfumature e la complessità di certi passaggi compositivi. Wainwright, nonostante una vena melodica quasi istintiva, resta un artista difficile perché ha avuto una formazione culturale varia e stratificata, e ha recepito nel proprio bagaglio culturale una ricchezza di generi che sono confluiti nelle sue canzoni, ove convivono all’interno di una scrittura intensa, audace e non convenzionale. Figlio di Loudon Wainwrigth III, considerato uno dei padri della canzone d’autore americana, e della folksinger Kate McGarrigle (una delle due metà delle McGarrigle Sisters), Rufus inizia prestissimo a suonare il pianoforte, intraprende gli studi classici (poi interrotti) e a tredici anni prova l’ebbrezza dei grandi palcoscenici, andando in tour con la madre, la zia e la sorella Martha (anch’essa musicista), sotto il nome di McGarrigle Sisters & Family. Nonostante il giovane Wainwright respiri folk fin dalla più tenera età, le sue vere passioni sono altre : da un lato la canzone classica americana (Cole Porter, George Gershwin, Irving Berlin), e dall’altro l’opera lirica, con una particolare attenzione a Giacomo Puccini. Nel 1997, Rufus ha già pronto il materiale per un primo album solista e inzia così a far circolare i propri demos, come quasiasi altro giovane in cerca di lavoro fa col proprio curriculum. Lo nota subito Lenny Waronker, dirigente della DreamWorks, che in men che non si dica lo scrittura, affidandolo alle sapienti cure di tre produttori, tra cui il geniale Van Dyke Parks (Beach Boys). 
L’album d’esordio, intitolato semplicemente Rufus Wainwright (1998, Voto: 10)  è così bello che Rufus si affranca immediatamente dallo scomodo appellativo di “figlio d’arte”. Sembra impossibile che una scaletta di canzoni tutte memorabili esca dalla penna di un giovane, poco più che venticinquenne. Wainwright attinge dalla musica classica, dal pop, dal folk e soprattutto dalla grande canzone americana, e crea uno zibaldone musicale in cui mette a nudo una personalità forte e strutturata che convive con una sensibilità poetica, dai toni talvolta melodrammatici. Un inizio che nessuno si sarebbe mai aspettato e che fa letteralmente impazzire la critica specializzata. Rufus omaggia Verdi (Barcelona), commuove ricordando l’attore River Phoenix (Matinee Idol), racconta l’amore per la madre (Beauty Mark) e tributa il proprio affetto alle eroine del bel canto che gli hanno tenuto compagnia negli anni della crescita (Damned Ladies). A quanti credono che si sia trattato di un evento estemporaneo, di un album di una bellezza irripitebile, Rufus risponde con un secondo disco, Poses (2001, Voto: 9) che mette tutti d’accordo : è nata una stella. Registrato in sei mesi, durante la permanenza al mitico Chelsea Hotel di New York, Poses è più scarno e sofferto del predecessore. 




I toni sono ombrosi, gli arrangiamenti meno barocchi, la tensione in crescita esponenziale, l’eleganza fomale ineccepibile, e lo stile di Rufus, che trova qui l’ennesima conferma, diviene definitivamente un marchio di fabbrica. Il giovane artista vive un momento di forte dipendenza dalle droghe (Crystal Meth) e di questa tossicità non fa mistero alcuno, ne parla senza filtri fin dall’iniziale, orecchiabilissima, Cigarettes And Chocolate Milk, forse la sua canzone più nota e più amata dai fans. Tra i tanti brani notevoli che compongono la scaletta dell’album, questa volta Rufus omaggia il padre, dando nuova linfa vitale a One Man Guy, un vecchio successo di Loudon (esecuzione da brividi, con la sorela Martha ai cori). Passano due anni, ma il talento del songwriter newyorkese non sembra avere un minimo di cedimento. Want One (2003, Voto : 9) è l’ennesima prova che ci troviamo di fronte al miglior talento pop della sua generazione. Pur mantenendo il medesimo livello di ispirazione, Rufus cambia di nuovo : se Poses suonava più essenziale, Want One è invece il suo disco più “barocco “, strutturato su complessi e lussureggianti arrangiamenti in cui si sente come preponderante la passione dell’artista per la musica classica (in Oh What A World cita smaccatamente il Bolero di Ravel).  Se da un lato la forma musicale è complessa e richiede un bagaglio culturale non indifferente per cogliere tutti i riferimenti citati, sottotraccia non manca però quell’intimismo poetico che porta Rufus a raccontarsi senza pudori.  






E’ il caso, ad  esempio, della dolente Dinner At Eight in cui il cantautore racconta del difficile rapporto col padre Loudon. Nessuno degli album fin qui citati raggiunge il successo commerciale e anzi il grande pubblico snobba completamente Wainwright, troppo lontano per gusti e intensità dal pop danzereccio che fa sfracelli nel circuito mainstream. Eppure la critica continua ad apprezzare, tanto che qualcuno conia per la prima volta il termine di PopOpera. Want Two (2004, Voto: 8) è il disco gemello del predecessore, il suo seguito ideale, anche se la tensione si arresta su un gradino più basso e le composizioni si fanno un poco più convenzionali. Rufus però inanella un filotto di canzoni splendide, che cominciano ad avere anche un riscontro commerciale, e non smette di raccontarsi, svelando la propria anima sensibile e fragile e mettendo questa volta l’accento sulla propria omosessualità, come nella sarcastica Gay Messiah, ove preconizza l’avvento di un Gesù omosessuale. In scaletta ci sono anche l’inno pacifista Agnus Day, scritta contro la guerra in Iraq, una dedica a Mozart (Little Sister), il commovente omaggio alla storia dell’Arte di The Art Teacher, il ricordo dell’amico Jeff Buckley (Memphis Skyline), un duetto con Antony (Old Whore’s Diet), e finalmente un brano che vende (The One You Love). 






Il successo commerciale, come già accennato, arriva finalmente con il disco successivo, Release The Stars (2007, Voto: 7,5), che vince due dischi d’oro, in Canada e in Inghilterra, dove peraltro si piazza al secondo posto in classifica. Rufus è meno tormentato, ha un nuovo compagno e vive con serenità la propria omosessualità. Ha smesso i vizi e le dipendenze dalle droghe, è passato da (scapestrato) enfant prodige della scena pop, ad autore maturo e riflessivo. Release The Stars è un nuovo punto di partenza, il disco di un uomo che guarda ai sentimenti attraverso il viaggio e i luoghi della sua vita. Una geografia dell’anima che passa attraverso Berlino (Sanssouci e Tiergarten), ove l’album è stato in gran parte registrato, Parigi (Leaving For Paris) e Hollywood (la title track). Rufus non si dimentica però dell’impegno politico e sforna un singolo come Going To A Town, in cui attacca frontalmente la presidenza di Bush. Non è senso di onnipotenza, ma vero amore per i propri riferimenti musicali, quello che porta Wainwright a relizzare un ambizioso e audacissimo progetto : riprodurre in disco il leggendario concerto tenuto da Judy Garland alla Carnegie Hall nell’aprile del 1961. Esce così Rufus Does Judy At Carnegie Hall (2007, Voto: 7,5), in cui l’artista ripropone dal vivo l’esibizione della Garland, canzone per canzone, battuta per battuta. Sorretto da un’orchestra di 36 elementi diretta da Stephen Oremus, Wainwright se la cava egregiamente : faccia tosta, eclettismo e sensibilità femminile sono armi portentose che l’artista americano sa sfruttare a dovere anche in una situazione, come questa, ai limiti del paradossale. Meno interessante e avvincente è Milkwaukee At Last !!! (2009, Voto: 7),  il live che Wainwright pubblica due anni dopo l’uscita di Release The Stars e tratto dalla tournèe successiva alla pubblicazione di quell’album. Dieci canzoni formalmente impeccabili che dimostrano, se mai ce ne fosse bisogno, quale grande performer sia l’artista newyorkese. 

Quando meno te lo aspetti, arriva l’ennesimo capolavoro. Inaspettato perché all’opposto di tutto quello che Wainwright ha scritto fino ad oggi. Esce infatti un disco anomalo, difficilissimo, ombroso e intenso dal titolo All Days Are Nights: Songs For Lulu (2010, Voto: 10), le cui note di pianoforte potrebbero risalire nel tempo fino agli inizi del secolo scorso o rappresentare il manifesto di una corrente neoclassica che nascerà fra qualche centinaio d’anni quando una palingenesi musicale avrà sepolto per sempre il nostro modo di produrre e ascoltare musica. Queste dodici canzoni (uso impropriamente il termine “canzone”), costruite eslusivamente sull'interplay fra pianoforte e voce, rappresentano il confine estremo a cui Wainwright porta la propria concezione di musica. Abbandonata ogni sensazione pop e la consueta complessità degli arrangiamenti, Rufus con All Days Are Night rilascia un disco apparentemente scarno, eppure di sostanza, concepito come un monologo teatrale, notturno e cupo, di certo più melodrammatico che malinconico, riuscendo a fondere con naturalezza elementi intellettuali (la rilettura di tre sonetti di Shakespeare, il risalto di un pianoforte suonato con la fisicità e la tecnica dei grandi) agli struggimenti e al disagio per la perdita recente della madre, palpabile in tutti, gli intensi, passaggi vocali. 





Un lavoro di difficilissima assimilazione, che richiede una predisposizione anche fisica all’ascolto, e che produce nell’ascoltatore un lento ma progressivo coinvolgimento: si passa dall’incomprensione iniziale, allo stupore per melodie che si fanno magicamente sempre più liquide, per giungere infine alla consapevolezza di essere testimoni di un‘opera sofferta, priva di compromessi e traboccante di spiritualità. Così lirica, nella propria voluptas dolendi e nel proprio abbacinante respiro vitale, da rapirci, anima e corpo, in un’esperienza sonora che ci apparirà (quasi) definitiva. Difficile quindi pensare che un artista abbia in serbo ancora molto, dopo una carriera che non ha avuto il minimo cedimento. Invece, Rufus sorprende tutti di nuovo, si fa produrre dal giovane mago della consolle Mark Ronson e torna al pop con un disco semplice e immediato dal titolo Out Of The Games (2012, Voto: 8). Un disco leggero, ma di grandissima classe, che la produzione di Ronson accende di colori. E’ l’album della rinascita esistenziale, del lutto che viene rielaborato e riposto nel cassetto dei ricordi struggenti (la madre è ricordata nella meravigliosa Candles che chiude il disco e rappresenta uno dei vertici compositivi della carriera di Wainwright), della gioia per la paternità (Rufus ha avuto un figlio da Lorca, la figlia di Leonard Cohen) e della serenità raggiunta dopo un lungo e tormentato percorso. Gli anni ’70 nelle orecchie, Bacharach e Elton John nel cuore, e un pugno di canzoni ricche di pathos e poesia.

DISCOGRAFIA ESSENZIALE :

RUFUS WAINWRIGHT (1998)
POSES (2001)
WANT ONE (2003)
ALL DAYS ARE NIGHTS : SONGS FOR LULU (2010)






Blackswan, sabato 23/11/2013

5 commenti:

Cannibal Kid ha detto...

mi hai fatto venire voglia di recuperarmi alcuni dischi che era da un po' che non ascoltavo.
la sua canzone che preferisco comunque resta going to a town, sebbene non sia tratta dal suo album migliore...

Nella Crosiglia ha detto...

Me lo ero completamente dimenticato e pensare che mi piaceva tanto , ma proprio tanto..
Ahhh se mi mancassi tu caro Blackswan...ora tornerò a sentire tutta la sua intima, delicata, sofferta discografia..
Grazie, un bacio!

Blackswan ha detto...

@ Marco : la qualità di scrittura di Wainwright è tale che ogni album è comunque un ottimo album. Io sono legato a Poses e a Cigarettes And Chocolate Milk un disco che mi ricorda una bellissima estate.

@ Nella : mi fa piacere sapere che per qualche ora sarai in ottima compagnia :)

Leandro Giovannini ha detto...

Questo tipo di musica pop è uno dei motivi che ti fa stare bene su questa terra.

Blackswan ha detto...

@ Harmonica :condivido completamente.