mercoledì 20 novembre 2013

MOONFACE - JULIA WITH BLUE JEANS ON

A fine novembre dovrebbe essere il momento in cui si cominciano a tirare le somme degli ascolti di un anno, in cui si fa ordine e si decidono quali siano stati i dischi migliori della stagione. Invece, questo 2013, si è rivelato un anno più interessante del previsto e quindi, almeno per quanto riguarda il sottoscritto, la carne al fuoco è ancora tanta e nulla è deciso. Così, nell'ultima settimana, finisce nel lettore inaspettatamente la terza fatica di Moonface, moniker sotto il quale si nasconde Spencer Krug, autore, cantante e polistumentista canadese, al secolo meglio conosciuto come leader degli, ormai definitivamente disciolti, Wolf Parade. Un ritorno sulle scene agli antipodi rispetto ai barocchismi del precedente With Siinai : Heartbreaking Bravery (2012), visto che Julia With Blue Jeans On è un disco essenziale, minimalista, concepito esclusivamente per pianoforte e voce, particolare, questo, che lo rende un'opera non facilmente assimilabile, soprattutto a chi non è aduso ad atmosfere intimiste e raccolte. Tuttavia, basta poco per innamorarsi di queste dieci canzoni che, soprattutto se ascoltate in cuffia, esprimono una forza emotiva stordente, nascosta però fra le pieghe di un ordito musicale all'apparenza fragile, e la cui percezione, almeno durante i primi ascolti, è quasi esclusivamente istintuale. Eppure, ogni volta che Julia With Blue Jeans On finisce nel lettore, il disco cresce, prende forma, dispiega in modo chiarissimo i confini entro cui si muove un'anima musicale sensibilissima, poliedrica e recettiva. Dieci brani per la durata di 48 minuti il cui merito è soprattutto quelle di essere semplicemente belle. Quando poi si asciugano le lacrime che velano gli occhi di emozione e si cerca di mettere dei punti fermi, le canzoni che compongono Julia disvelano un cuore delicatamente pop (che forma potrebbe prendere questa scrittura se fosse supportata da arrangiamenti e strumentazione più corposa?), che fa pensare a Ben Folds (November 2011) o al Rufus Wainwright di All Days Are Night, ma che finisce per pompare anche una linfa musicale più colta, quella che circola dalle parti di Erik Satie e Philip Glass (il tocco al piano di Krug è notevole, come dimostrano alcune code strumentali in odore di classica). Difficile trovare il meglio di un disco in cui ogni singola nota è in grado di produrre palpiti e suggestioni. Ma se fosse indispensabile citare qualche brano, sceglierei la dura requisitoria introspettiva di Barbarian ("I am a barbarian sometimes"), la suite di Dreamy Summer e la dolente title track, con un crescendo finale da pelle d'oca. Autunnale e intenso, un grande disco.
VOTO : 9





Blackswan, mercoledì 20/11/2013

2 commenti:

Baol ha detto...

Mumble mumble, mi hai incuriosito molto!!!

Blackswan ha detto...

@ Babol : Buongustaio ! :)