sabato 12 luglio 2014

OLD CROW MEDICINE SHOW – REMEDY



Ci sono band a cui basta un disco, magari anche un singolo, per scalare le classifiche e diventare famose; e altre, invece, che si dannano l’anima per anni senza cavare un ragno dal buco. E’ quello che, più o meno, è successo agli Old Crow Medicine Show, band di stanza a Nashville, formatasi sul finire degli anni ’90 del secolo scorso. Una gavetta dura, a sputar sangue in piccolissimi locali di periferia o a raccogliere consensi agli angoli delle strade (il nome del gruppo in tal senso è abbastanza esplicito), un po’ come si fa ancora oggi a Dublino, in Grafton Street, o da noi, nei tunnel della metropolitana. Ed è proprio durante uno di questi concerti improvvisati, davanti a una farmacia di Boone, un paesone della North Carolina, che gli OCMS vengono notati da Doc Watson, uno dei padri dell’american roots. Un bel intuito quello avuto da Watson che, dopo averli ascoltati, se li porta a suonare al Merlefest, festival di musica tradizionale che si svolge ogni anno in quel di Wilkesboro. Da qui, dal cuore dell’America rurale, la band capitanata dal cantante e violinista Ketch Secor ha iniziato un’ascesa di consensi e successo che li ha portati a suonare al Grand Ole Opry, programma radiofonico in onda ininterrottamente dal 1925 e che è considerato il massimo punto di arrivo per la consacrazione di un musicista country. Ora, gli Old Crow Medicine Show li conoscono tutti, sono il gruppo leader di quel movimento chiamato progressive blue grass, vendono milioni di dischi e si piazzano sempre ai primi posti delle posti delle classifiche di genere. Cinque dischi all’attivo (i primissimi lavori rilasciati tramite il supporto dell’audiocassetta sono praticamente introvabili) una manciata di Ep e una fama ormai consolidatissima di eccezionale live band, rappresentano il pedigree di una delle realtà più stimolanti dell’intera scena country statunitense. Anche perché questi sette ragazzi non si limitano a rinverdire i fasti della tradizione, ma amano contaminare il suono folk con un approccio incredibilmente punk rock: alternative country, quindi, suonato in acustico ma con la potenza e l’energia di una band che suona in elettrico. A esaltare questo aspetto, che è una costante di Remedy, dietro la consolle arriva l’inglese Ted Hutt (Gaslight Anthem, Flogging Molly, etc), che ha lavorato in modo molto istintivo sulla presa diretta, trasformando la scaletta del disco in una sorta di live act in studio. Immediatezza, potenza, gran ritmo e strumenti sbrigliati sono il fiore all’occhiello di quello che potremmo definire il miglior capitolo della discografia degli OCMS. Canzoni che pescano dal blue grass, che citano Dylan (la voce di Secor, senza possederne la fascinosa asprezza, ricorda da vicino quella del menestrello di Duluth), che sfociano in up tempo travolgenti (per chi non mastica la materia, rimanderei alle gighe dei Pogues, giusto per farsi un’idea) per poi adagiarsi su ballate pronunciate con accenti decisamente bluesy. Un disco che si ascolta tutto in un fiato e che trasmette la sanguigna passionalità di chi ha costruito la propria carriera trasformando ogni concerto in un pogo travolgente (ascoltate 8 Dogs 8 Banjos e comprenderete il potenziale live della band). In attesa che facciano un salto dalle nostre parti (gli Old Crow Medicine Show non sono mai venuti a suonare in Italia) non perdetevi questo disco: loro sono probabilmente la migliore roots band in circolazione. E si sente.

VOTO: 8





Blackswan, sabato 12/07/2014

Nessun commento: