giovedì 21 agosto 2014

CALIFORNIA BREED - CALIFORNIA BREED




Joe Bonamassa se ne è andato e non ritorna più. Un vero peccato, visto che i Black Country Communion sono stati indubbiamente uno dei pochi supergruppi ad avere qualcosa da dire, a legittimare la propria esistenza in vita non solo per le gesta passate dei singoli componenti ma per un filotto di dischi dall'alto tasso energetico e qualitativo. Gleen Hughes in quel progetto aveva investito quasi tutto, e voleva che Joe lo seguisse, usque ad finem, in giro per il mondo a portare il verbo BCC ovunque vi fosse un fan affamato di anni '70. Bonamassa, invece, è un musicista dalla creatività al prezzemolo: ovunque lo metti sta bene, di idee ne ha tante, di musicisti con cui collaborare, anche di più. Una carriera solista di tutto rispetto (è prevista per il 2014 l'uscita di un nuovo album in studio), un paio di dischi con la vocalist californiana, Beth Hart, comparsate con Buddy Guy, B.B. King, Eric Clapton e compagnia blueseggiante, un progetto parallelo dal nome programmatico Rock Candy Funk Party. E allora: no grazie, Glenn, se mi vuoi chiudere in un recinto, io non ci sto. Così Hughes si è ritrovato con il cerino in mano e per evitare di bruciare le preziose dita, ha chiuso il marchio Black Country Communion e si è inventato di sana pianta i California Breed, power trio composto da se stesso, dal fido Jason Bonham dietro le pelli e da un ragazzino di belle speranze, il ventitreenne Andrew Watt, già alla corte di Justin Bibier (la qual cosa, così, di primo acchitto, non deve aver fatto la felicità dei rocker più incalliti). Pronti, partenza e via, ed ecco il full lenght di esordio che, guarda un pò, sembra il seguito di Afterglow, ultima fatica targata BBC: hard rock anni '70, volumi tirati al massimo, piede pigiato sulla fuzzbox e una persistente fragranza di Led Zeppelin nell'aria. Insomma, il piatto del giorno rimane sempre lo stesso, con poche variazioni sul tema. La prima delle quali, manco a dirlo, riguarda il giovane Watt, che si è trovato nella scomoda posizione di sostituire il grande Joe. E il ragazzo ha capito subito che sarebbe stato come muoversi in un ginepraio, col rischio di far danni al primo movimento sbagliato. Così Watt se ne sta bello schiscio, suona senza strafare (ma, a dire il vero, senza metterci troppa originalità), denotando una discreta tecnica, ma preferendo giocarsela coi muscoli e la grinta che, si sa, se hai dato tutto, a fine partita la sufficienza arriva comunque. 




Ci pensano però gli altri due a dare sostanza a dodici canzoni certamente ancorate al passato, eppure assai brillanti nello svolgimento del tema, che come di consueto prevede l'alternanza di bordate elettriche ad alzo zero e ballate che cercano nella melodia la loro ragion d'essere. Se Jason Bonham, che ormai conosce il mestiere a menadito e ci da dentro senza lesinare randellate, fa il suo con consumata sincerità, è Hughes la vera star del disco. Sessantadue anni oggi (auguri Glenn!), le dita che scivolano sulla tastiera del basso con antica virilità, e un'ugola che scuote il cielo con saette che nemmeno Zeus nei giorni della rabbia. Davvero pazzesco pensare come un uomo alle soglie della pensione riesca a mettere insieme una performance di questo livello: la tecnologia aiuta fino a un certo punto (vedasi Ian Gillan e il vecchio sodale di Hughes, David Coverdale), ma la potenza degli acuti di Glenn fanno pensare a un dna incorrotto e incorruttibile dal tempo. E' proprio questo il limite e, nel contempo, la preziosa sostanza del progetto, perchè Hughes oscura gli altri due, è il one man band, l'uomo solo al comando che catalizza ogni attenzione, quello che se gli viene un raffreddore, ciao a tutti, è stato bello, andiamo a casa. Quindi, finchè c'è trippa per gatti, godiamoci questo discone dal sapore antico, placebo per malati cronici di nostalgia seventiees, Santo Graal per tutti coloro che, orfani dei BCC, da qualche tempo stanno cercando qualcosa che suoni altrettanto bene. Qui, lo troveranno di sicuro: California Breed è un concentrato di energia e di buone canzoni (Sweet Tea, Invisible, Midnight Oil, Breathe), tiene lontano i demoni indie e fa sentire bene dalla prima all'ultima nota. Coloro, ovviamente, a cui piace il rock, senza fronzoli e ad alto contenuto di testosterone.

VOTO: 7





Blacswan, giovedì 21/08/2014

2 commenti:

mr.Hyde ha detto...

Certo, rock ben eseguito anche carico di energia..Certe volte mi piacerebbe essere sorpreso, mi rendo conto che non si può pretendere.

Euterpe ha detto...

Mitico Glen!!