lunedì 25 agosto 2014

L'EDUCAZIONE SENTIMENTALE - GUSTAVE FLAUBERT




Chiusa l'ultima pagina del libro, mi rendo conto di quanta verità vi fosse nel monologo finale di Woody Allen in Manhattan, quando, sdraiato sul divano e microfono alla mano, cita L'Educazione Sentimentale di Flaubert come uno dei motivi per cui valga la pena vivere. Una citazione non casuale, visto che vi è uno stretto legame fra la pellicola e il libro: l'irresolutezza dei due protagonisti, il loro disarmante egocentrismo, un tessuto etico sfilacciato alla base dei loro ragionamenti e il sostanziale fallimento di due vite incapaci di coltivare affetti. Forse non ragione di vita, ma di sicuro ineguagliabile capolavoro (per il sottoscritto meglio anche di madame Bovary), L'Educazione Sentimentale rappresenta una delle più intriganti letture di sempre, di quelle che coltivate a vent'anni possono incidere profondamente sulla formazione di un giovane, cambiandogli prospettive e aspirazioni. Non un romanzo semplice, però, oggetto tra l’altro di giudizi controversi oggi come allora (esaltato da Emile Zola, che ne aveva colto il senso più vero, e demolito dalla critica dominante che non ne capiva la modernità), e scritto da un Flaubert che, a differenza di ciò che fece con Madame Bovary, tenta, riuscendoci, di creare "un sistema di relazioni che coinvolge tutti i piani del testo: dal piano dei personaggi a quello dei fatti, dal piano delle situazioni individuali a quello degli eventi storici" (cit. dalla prefazione di Stefano Agosti), il cui risultato è una scrittura "non più lineare ma volumetrica". Una novità esagerata per il lettore dell'epoca che, probabilmente, faticò a comprendere gli scarti temporali sui quali si svolgono vicende all'apparenza scollegate (“una semplice serie di abbozzi” recitava una recensione su una rivista specializzata del 1869), e la distanza siderale di Flaubert dalla materia. Con precisione chirurgica, evitando giudizi morali (a parte Frederic tutti i personaggi del romanzo sono guardati dall'esterno), il grande romanziere francese disegna il cinico affresco, non solo di un'esistenza, quella del protagonista Frederic Moreau, ma di un'intera generazione borghese alle prese coi drammatici rivolgimenti, in particolare del 1848, che cambiarono il corso della storia di Francia. Se da un lato l'amore di Frederic rispettivamente per Madame Arnoux, Rosanette e la signora Dambreuse è figlio della tripartizione fra tendenza all'assoluto/ricerca della voluttà/ aspirazione al potere, cioè tre distinte pulsioni dell'animo umano che spingono il protagonista verso una serie di (irrisolte) relazioni, dall'altro il sentimento, come noi comunemente lo intendiamo, ha certo un ruolo decisivo ma solo come pretesto, come miccia necessaria a scatenare tutta una serie di avvenimenti (la Storia, il Fato, le decisioni altrui), dai quali i personaggi del libro vengono  costantemente soverchiati. Sta proprio in questo la modernità di Flaubert, il cui intento è di un'attualità sconcertante: raccontare e mettere all’indice il collasso etico di una generazione piegata sul proprio orticello, incapace di costruire, di progettare, di partecipare fattivamente alla vita pubblica, di guardare al domani. Incapace soprattutto di empatia e condivisione. Non c'è una sola azione di Frederic che sia gratuita, che non riguardi il proprio specifico tornaconto; non c'è una passione che viva fino in fondo (l'amore, l'attivismo politico, le velleità letterarie), che si risolva in profondità, che non si disperda al primo refolo di vento come il calore di un fuoco di paglia. Frederic è un uomo di una mediocrità desolante, incapace di pietas e veri sentimenti (la morte del figlioletto è solo un incidente di percorso che non lo distoglie dalle sue trame), che si muove in un mondo di suoi replicanti, in cui l'ipocrisia, l'ambiguità e l'indifferenza verso il prossimo scandiscono il ritmo dei giorni. Personaggi che nonostante la loro inettitudine e fragilità morale, Flaubert tratteggia meravigliosamente, disegnando, con sguardo cinico, figure femminili indimenticabili (Madame Arnoux, Rosanette), patetici simulacri d’umanità (Deslauriers, Madame Vatnaz, de Cicy) e, più in generale, un'intera generazione borghese (le cui dinamiche Flaubert visse in prima persona durante la stesura del romanzo) risucchiata nell'abisso della propria vacuità. Uomini per cui la vita, in definitiva, è solo il ricordo, ormai sbiadito, di una visita a un bordello: " E' la cosa migliore che abbiamo avuto", dice a Frederic l’amico Deslauriers, in chiusura di romanzo. E ripensando a tutto quanto letto prima, non è affatto difficile credergli. 


Blackswan, lunedì 25/08/2014





3 commenti:

La firma cangiante ha detto...

Bellissima recensione, lessi questo testo alle superiori insieme a Il rosso e il nero di Stendhal, forse le due opere più impegnative che ci fecero leggere all'epoca. Ne serbo il ricordo di una lettura che mi piacque davvero molto anche se ormai i contenuti sono sbiaditi nella mia memoria. Qualche anno fa riacquistai il libro ma ancora non l'ho riletto, da quella prima lettura sono passati ormai almeno vent'anni...

S. ha detto...

concordo con te, assolutamente anticipatore, delle grandi vacuità di certa borghesia.

Blackswan ha detto...

@ Firma: uno dei grandi romanzi che mi mancava, che, non so per quale motivo, ho lasciato indietro. Forse meglio così: a diciotto anni non tutti i libri si capiscono.Oggi, invece, mi sembra di esserne venuto a capo.

@ S. : un libro ricco di spunti di riflessione che ben si adattano alla società odierna.