sabato 16 agosto 2014

TOM PETTY & THE HEARTBREAKERS – HYPNOTIC EYE




In un mondo dove i punti di riferimento sono bruciati in un attimo da un’ ipervelocità tecnologica e fagocitante, Tom Petty & The Heartbreakers rappresentano ancora, nonostante tutto, una certezza. Certezza di solidità, di affidabilità, di rispetto filologico di un suono, di capacità di riprodurlo, sempre, con entusiasmo ed energia. Con risultati, peraltro, mai deludenti, anzi spesso esaltanti: se ripercorro la discografia di Tom Petty, in solitaria o con la band, non mi torna in mente un solo disco che non meriti almeno la sufficienza (a differenza di altri mostri sacri, per tutti mi viene in mente Springsteen, che col tempo mostrano, inevitabilmente, qualche segno di affaticamento). Quando poi, come nel caso specifico, il tono muscolare è alto e l’ispirazione è in fase crescente, il risultato finale non può che essere eccellente. Hypnotic Eye esce a distanza di ben quattro anni dal suo predecessore Mojo, e a differenza di quest’ultimo disco, che guardava al rockblues e agli anni ’70, il nuovo lavoro di Petty è un album che torna alle origini garage, a un suono sixteen (Fault Lines), nervoso ed elettrico, che agli aficionados del chitarrista di Gainesville ricorderà quello di Echo, grande prova datata 1999. Undici canzoni di solido (e tradizionale) rock ‘n’ roll compongono un affresco chitarristico in cui Tom Petty e Mike Campell (grandissima prova di quest’ultimo) ci fanno ascoltare tutto, ma proprio tutto, quello che è possibile realizzare con una sei corde. La scaletta parte a cento all’ora con American Dream Plan B, in cui è subito chiara la risolutezza e la voglia di rock della band. Eppure, nonostante l’impatto muscolare di questo brano e di molti altri che seguiranno, occorre evitare di soffermarsi al primo piano di lettura, ma concedere invece al disco un ascolto più attento e approfondito: solo così sarà possibile cogliere tutti i ceselli tecnici di una band davvero in stato di grazia e accorgersi che, dietro a tante chitarre, Petty coglie sempre l’attimo giusto per la svolta melodica che non t’aspetti (l’interplay fra acustica ed elettrica nella citata American Dream Plan B, il ritornello che spunta improvviso nel groviglio di chitarre di All You Can Carry). Due ballate sornione per allentare la tensione (Full Grown Boy e Sins Of My Mouth) e tanta, tanta sostanza per un disco rock d’impatto, senza fronzoli e urgente, in cui rivive la tradizione di una vecchia scuola che riesce ancora oggi a graffiare. Non siamo ai livelli di Damn The Torpedos o di Full Moon Fever, mancano un’ American Girl o una Refugee, ma con Hypnotic Eye Tom Petty torna a regalarci quei brividi di fremente gioventù (la sua, la nostra) che è ancora (troppo) presto relegare nel cassetto dei ricordi. Vigoroso e sincero.

VOTO: 7,5





Blackswan, sabato 16/08/2014

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