lunedì 15 settembre 2014

BOB SEGER & THE SILVER BULLET BAND - LIVE BULLET

Se devo trovare un aggettivo che descriva al meglio la musica di Bob Seger, l'unica parola che mi viene in mente con insistenza è ruspante. Il cui significato, peraltro, raddoppia di intensità quando Live Bullet finisce sul piatto dello stereo. Figlio del midwest e del mondo proletario dei blue collar (la classe operaia americana), trasferitosi fin da giovanissimo a Detroit, città in cui l'industria automobilistica convive gomito a gomito con un'incendiaria sottocultura musicale (il blues, la Motown, il protopunk, l'hip hop di Eminem), Bob Seger ha incarnato, forse meglio di chiunque altro, le contraddizioni della sua città. In uno degli stati (Michigan) a più alta concentrazione di abitanti bianchi, meta di turisti e amanti della natura, Detroit rappresenta una sorta di refuso topografico: fabbriche, grattacieli, degrado urbano, tasso di criminalità da primato e una popolazione costituita per l'80% da afroamericani. In questa cornice nasce il rock di Seger: un pub rock ruvido, energico, dal tasso alcolico esagerato, contaminato dal funky e dal rhythm n blues, musica per bianchi e neri, accomunati dalla fatica della catena di montaggio e da un palato abituato ai sapori forti. In una parola: ruspante. Quando le sere del 4 e del 5 settembre del 1975, la Silver Bullet Band suona al Cobo Hall di Detroit, innanzi a un pubblico eccitatissimo, ciò che la gente vuole è esattamente ciò che Seger ha sempre promesso in ogni sua canzone: sangue, lacrime e sudore, piede pigiato sull'acceleratore, tonnellate di negritudine e rugginose ballads a rinfocolare l'orgoglio proletario (Beautiful Loser è in tal senso una sorta di manifesto classista). Take no prisoners, non si fanno prigionieri, si picchia duro, si da tutto fino alla fine, finchè ce n'è. Ne esce uno dei live più intensi della storia, incendiario fin dall'incipit di Nutbush City Limits (Tina Turner), ispida e irruvidita oltre modo, e che regalerà a Seger un'attenzione mediatica e un successo commerciale fino a quel momento assolutamente impensabili.  Attraverso classiconi senza tempo (Ramblin' Gamblin' Man, Katmandu e Turn The Page, che sarà coverizzata quindici anni dopo addirittura dai Metallica nell'album Garage Inc.), virili ballate elettriche (Travelin' Man e la già citata Beautiful Loser), anfetaminici rock'n'roll (Get Out Of Denver) e funky indemoniati (I've Been Working, Bo Diddley) si arriva a fine scaletta elettrizzati, sfiancati, madidi di sudore, ma ferocemente decisi a ricominciare da capo. Se il senso di un disco live è quello di restituire il coinvolgimento emotivo e le vampate di adrenalina che solo il palcoscenico può dare, Live Bullet, nella sua dimensione selvaggia e privata da filtri tecnologici, ne rappresenta uno degli esempi più riusciti. Leggendario, travolgente, epico.





Blackswan, lunedì 15/09/2014

3 commenti:

Unknown ha detto...

Ah, ma questo è un grande album, senza dubbio. Un grande album di artigianato e mestiere rock, senza troppi giri di parole e fronzoli mediatici.
Una Detroit forse non più rivoluzionaria ma dicerto non doma.

Nella Crosiglia ha detto...

Sempre un piacere risentirlo!
Grazie Nick!:::)))

Massi ha detto...

Troppo "ruspante" per il successo planetario che baciò Springsteen. Ma molto, molto meglio.