sabato 4 ottobre 2014

POST METAL




C’erano una volta due band di death doom metal che, nel mezzo di cammin di loro vita, hanno abbracciato scelte artistiche diametralmente opposte, giungendo su lidi musicali inizialmente imprevedibili. I prini si chiamano Anathema, arrivano da Liverpool e hanno all’attivo, conteggiando quest’ultima fatica, Distant Satellites, la bellezza di dieci album. A inizio anni ’90 si dividevano la scena Doom con band del calibro di Paradise Lost e My Dying Bride, poi a metà del decennio (la svolta arriva con Eternity del 1996) si sono progressivamente “radioheadizzati”, proponendo una musica più complessa, dalle atmosfere malinconiche e votata alla creazione di soundscapes imparentati in qualche modo al gothic rock e al progressive. Distant Satellites, ultima fatica uscita nei negozi qualche mese fa, sancisce in modo compiuto questo percorso che, lungi dall’essersi cristallizzato, suggerisce ulteriori possibili evoluzioni (You’re Not Alone rappresenta una sorta di abbrivio verso un’ulteriore svolta). Il disco, diviso in due parti separate dalla splendida Anathema (una sorta di riassunto della storia della band), si sviluppa in una prima parte più consona ai canoni espressivi del gruppo, e in una seconda, invece, in cui i fratelli Cavenagh provano diverse soluzioni (i massicci beat e synth della favolosa title track). Distant Satellites è in definitiva l’opera di una band che sta vivendo uno straordinario momento di creatività ma che appare ben lontana da essere arrivata al traguardo del proprio percorso artistico. 




Altro discorso per gli Opeth, combo svedese, coevo agli Anathema e, come la band inglese, protagonista agli esordi della locale scena death metal. Un suono, questo, progressivamente abbandonato, grazie anche all’amicizia e alla collaborazione con Steven Wilson (Porcupine Tree), che ha facilitato e accompagnato la svolta verso sonorità più decisamente progressive. Pale Communion è in tal senso il capitolo definitivo del loro nuovo percorso stilistico: qui siamo alla replicazione, in chiave metal 2.0, di quelle sonorità tanto in voga negli anni ’70. Yes, Genesis, ELP, Camel, King Crimson, vengono citati tutti, dal primo all’ultimo. Il risultato, però, è convincente solo a metà: ottimo, quando la lunghezza dei brani viene asciugata (bellissima Goblin, esplicito omaggio alla band italiana di Profondo Rosso), autoreferenziale e verboso, quando si sceglie la via della maratona sonora (i dieci minuti e passa di Moon Above, Sun Below inducono a più di uno sbadiglio). Un lavoro, quindi riuscito a metà, che anche nelle sue parti migliori (il convincente incipit di Eternal Rain Will Come) risulterà interessante solo per gli amanti del progressive. Per tutti gli altri, la noia è dietro l’angolo.




VOTO:

Anathema – Distant Satellites 7,5
Opeth – Pale Communion 6


Blackswan, sabato 04/10/2014

Nessun commento: