giovedì 30 gennaio 2014

THEE SILVER MT.ZION MEMORIAL ORCHESTRA - FUCK OFF GET FREE WE POUR LIGHT ON EVERYTHING




A volte penso che il rock abbia perso gran parte della forza propulsiva con cui quarant'anni fa stava cambiando il mondo. Colpa della globalizzazione, che ha mercificato tutto, azzerato le coscienze e uniformato i gusti, ma anche colpa dello stesso rock, che non ha saputo rinnovarsi veramente, spacciando come nuovi, esercizi di stile molto trendy ma poveri di contenuti. Ecco allora che la nostra meglio gioventù, che whazzappa e tagga da mane a sera, si perde ciò che ancora di buono c'è in circolazione, esaltandosi per ciofeche dotate di hype ma incapaci di suggestionare nel profondo, proprio là, dove cresce e matura il nostro senso del bello e dell'arte. Allora, quando esce un disco come l'ultima fatica dei Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra (Silver Mt. Zion per gli amici), la speranza si riaccende e mi convinco che se questo album venisse passato in loop da MTV o dalle radio molto "ggiovani" e molto in voga, si potrebbe davvero fare un gran passo avanti per migliorare la consapevolezza musicale delle nuove generazioni. Perchè Fuck Off Get Free We Pour Light On Everything è un'opera sconvolgente per intensità, anomala nella sua bellezza obliqua e non omologabile, esaltante per quel percorso sonoro ragionato, ma dalle sembianze istintuali, che dribbla ogni convenzione e banalità. Un disco che si impone, che impone di ragionare, di domandarsi cosa sia la bellezza: se uno spirito libero e indomabile o una forma priva di asperità e ben confezionata.
Ma andiamo con ordine. I Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra (ambiguamente multiformi anche nel presentarsi al pubblico con diverse sembianze: A Silver Mt. Zion, The Silver Mt. Zion Memorial Orchestra & Tra-La-La Band, Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra and Tra-La-La Band with Choir o Thee Silver Mountain Reveries) sono canadesi di Montreal e nascono da una costola dei Godspeed You! Black Emperor, di cui rappresentano la versione light, quanto meno in fatto di concisione. Nel giro Constellation (ma va?), hanno all'attivo già sei dischi e una collaborazione con Vic Chesnutt (North Star Deserter e At The Cut) che sarebbe sufficiente di per sè a esplicitare, a prescindere dalla loro discografia, l'alto livello qualitativo di una proposta musicale decisamente all'avanguardia. Che potremmo definire post-rock, se questa generalizzazione non fosse estremamente riduttiva.



Soprattutto, poi, in un disco come Fuck Off Get Free... in cui l'estetica sonora del gruppo supera definitivamente gli angusti recinti di genere per elevarsi a uno status più alto, ove le definizioni perdono decisamente significato. Siamo di fronte, infatti, a un'apocalisse cacofonica, a un caos organizzato di chitarre, violini, voci e pianoforte, in cui folk, blues, rock e post-core si fondono in una sinfonia estrema di dissonanze e disperazione, per sciogliersi poi in languide suggestioni e fremente romanticismo. Sei canzoni (si fa per dire) per cinquanta minuti di musica che spinge la melodia, sempre cupa o estatica, comunque mai indulgente nei confronti dei desiderata dell'ascoltatore, verso i confini estremi che separano la convenzione dallo sperimentalismo puro. Succede così nei primi due brani, Fuck Off Get Free… e Austerity Blues, che ci scaraventano per venticinque minuti in una tempesta elettrica stratificata, in cui folk e blues vengono martoriati da un ardore tanto selvaggio da percuotere anche anima e orecchie. Un uno-due anarcoide e destabilizzante che basterebbe da solo a farci gridare al miracolo, se non fosse che dopo c'è altro, molto altro. Un mondo parallelo, verrebbe da dire, che contraddice tutto ciò che abbiamo ascoltato finora: tre brani più morbidi, ma egualmente appassionati, che dopo il naufragio ci conducono verso un approdo più rassicurante (e quasi sinfonico) ma non per questo meno suggestivo. Il risultato finale è un disco complesso perchè libero di essere, bellissimo perchè di una sincera e cristallina purezza. Un disco che restituisce forza e autorevolezza al rock,  da tempo mai così integro e lontano dalle mode del momento. Il capolavoro dei Silver Mt. Zion e un autorevole candidato a miglior disco dell'anno. 

Voto: 9





Blackswan, giovedì 30/01/2014

SCHOOL OF ROCK: ALE IMPERVERSA CON VASCO

martedì 28 gennaio 2014

LET’S GET LOST – CHET BAKER un film di Bruce Weber





A  venticinque anni dalla sua uscita nelle sale cinematografiche, Let’s Get Lost (Perdiamoci), lungometraggio girato dal famoso fotografo di moda, Bruce Weber, sulla vita e le opere di Chet Baker, esce in dvd in edizione restaurata, accompagnata da un booklet (rarità per i dvd) ricco di foto e di note. Weber aveva conosciuto Baker in un jazz club di New York nell’inverno del 1986 e aveva convinto il trombettista a posare per un set fotografico. Da lì, l’idea, prima, di un cortometraggio; poi, considerata la ricchezza di materiale in possesso del fotografo, l’intenzione di girare un vero e proprio film-documentario della lunghezza di oltre due ore. Un’impresa titanica, portata a termine nel giro di un anno e mezzo (il film fu presentato in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival nel 1988), che costò a Weber un ingente esborso di denari e un estenuante attività di registrazione dovuta alla difficoltà di rintracciare Baker (che era solito darsi alla macchia senza alcun preavviso) e alle pessime condizioni di salute dello stesso. E’ il regista a raccontarlo, senza mezzi termini : “A volte dovevamo fermarci per un motivo o per un altro, perché Chet era un drogato e non riusciva a fare due cose contemporaneamente, dovevamo ricominciare tutto da capo.”  Nonostante ciò, il risultato è un film di una sincerità disarmante, reso magnificamente dalla fotografia in bianco e nero di Weber, in cui l’ammirazione per il talento e l’arte di Baker vive in perfetto equilibrio con la cruda realtà che emerge dalle testimonianze di famigliari e amici e dalle interviste al grande musicista, ormai al limitare della propria esistenza. Un artista, Baker, dotato di una genialità inquieta, che l’ha portato a incidere veri e propri capolavori (inutile soffermarsi sulla magia di una voce e di una tromba per certi versi uniche al mondo) in una corsa a perdifiato verso l’autodistruzione. Eroina, cocaina, speedball, alcol, fumo, l’arresto, il carcere, un’infinità di donne e di tradimenti, una personalità ambigua e spesso levantina, un egocentrismo incapace di vivere in modo sano anche gli affetti più cari. Questo era Chet Baker: un piccolo uomo dall’etica pret a porter, un attoraccio di italici B-movie, un tossico dipendente senza freni, un mentitore abituale. Eppure, nonostante il film non risparmi proprio nulla alla ricostruzione storica del personaggio, ciò che resta negli occhi e, soprattutto, nelle orecchie è la magia di una musica e di una voce divenute eterne. Così, quando verso la fine della pellicola, Chet interpreta una versione struggente di Almost Blue di Elvis Costello è davvero difficile trattenere le lacrime di commozione. Il film fu candidato agli Oscar del 1988 nella sezione miglior documentario, e Chet Baker morì ad Amsterdam, il 13 maggio dello stesso anno, in circostanze mai completamente chiarite. 






Blackswan, martedì 28/01/2014

RIPOSA IN PACE, COMPAGNO PETE



Se avessi un martello
Se avessi una campana
Se avessi una canzone da cantare
Per tutto questo paese,
Sarebbe il martello della giustizia
La campana della libertà
E la canzone d'amore
Tra i miei fratelli e le mie sorelle
Per tutto questo paese.




Blackswan, martedì 28/01/2014

lunedì 27 gennaio 2014

IL MEGLIO DEL PEGGIO - 16^ puntata






Riceviamo dalla nostra freelance Cleopatra e integralmente pubblichiamo.

Cari amici, è stata una settimana di dibattito politico piuttosto vivace dopo
il varo del progetto della nuova legge elettorale (il cui testo è attualmente
depositato in Commissione alla Camera) fortemente voluto da Matteo Renzi con l'imprimatur di Silvietto nostro. Dopo il "Mattarellum" e il "Porcellum", ecco sulla scena l' "Italicum", soprannome non casuale, scelto dal segretario del Pd per sottolineare che il nuovo sistema non copia nè quello tedesco nè quello spagnolo. L'Italicum, a quanto pare, sta togliendo il sonno ai partiti minori (Lega, Sel e Scelta Civica, tanto per non fare nomi) che si preparano a un'offensiva contro l'asse Renzi- Berlusconi perchè alle prossime elezioni temono la mannaia dello sbarramento d'ingresso fissato al 12% dei voti per una coalizione e l'8% per una lista indipendente. In più, è previsto il allottaggio. I raccomandati della politica (Nicole Minetti, docet) si agitano per la revisione del sistema delle liste bloccate. Non si preoccupino, lor signori: i
listini restano, ma da "lunghi" diventano "corti". Sull'argomento c'è il veto di Angelino Alfano (NCD) che ne propone l'abolizione. La discussione sul punto
prosegue e vedremo che succederà. Quanto al Senato, in base alla riforma, diventerà una Camera delle Autonomie di cui faranno parte Sindaci o i Presidenti di Regione senza ricevere alcuna indennità (ci credo poco) e, così, solo la Camera dei Deputati avrà il potere di dare o togliere la fiducia al Governo. Il Cavaliere, ormai assurto a Padre Costituente, si rinchiude in una lussuosa beauty farm sul Lago di Garda per perdere i chili di troppo insieme alla fedele badante (scusate, intendevo Francesca Pascale) e al neo Consigliere politico di Forza Italia, Giovanni Toti, che dovrà rimettersi in forma per essere
esteticamente impeccabile, in primis, agli occhi del suo capo. Prima di sottoporsi a flessioni, addominali e a diete macrobiotiche, il Cavaliere, che festeggia i 20 anni dalla discesa in campo, in una telefonata a una manifestazione rganizzata dai giovani di Forza Italia, a Napoli, rivendica la paternità della riforma elettorale. "Con Renzi abbiamo avviato un processo di riforme che non sono le riforme di Renzi, ma le nostre riforme, fin dalla nostra discesa in campo". La solita faccia di bronzo, per usare un eufemismo.  Il buen retiro di Silvietto, però, è stato turbato dall'ennesima tegola giudiziaria. Il Ruby- ter prende forma e il Berlusca, insieme ai suoi legali Ghedini e Longo, sono accusati di corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza (secondo l'accusa, l'ex premier avrebbe pagato profumatamente il silenzio delle “olgettine" chiamate a testimoniare sulle "cene eleganti" ad Arcore).
In casa Pd, orfano di Gianni Cuperlo dimissionario dalla presidenza del partito per conflitti con il rampante Renzi, un propositivo Enrico Letta annuncia che è arrivato il momento di affrontare la questione della legge sul conflitto di interessi. "Gli italiani la aspettano da tanto tempo e ora la affronteremo". Vent'anni di bla bla, caro Letta. Gli italiani non aspettano e non sperano più.
Buona lettura !

Matteo Renzi (PD) alla conferenza stampa dopo il vertice con il Cavaliere: " A
quelli che mi dicono sì, dovevi parlare con Forza Italia, non con Berlusconi...
e' una contraddizione! Non ho capito...con chi avrei dovuto parlare, allora?
Con Dudù ?!"
Chissà...di certo, sarebbe stato un interlocutore più presentabile!

Renato Brunetta su "Il Mattinale" con il consueto sarcasmo sputa veleno sulla
visita in ospedale di Renzi a Bersani. Il Professor Brunetta non ha gradito i commenti negativi dell'ex segretario del PD sull'incontro Renzi- Berlusconi: “Siamo felici del colloquio di Bersani con Renzi. Gli ha detto un sacco di
stupidaggini, dunque è tornato sè stesso ed è in gran forma. Cent'anni di
fesserie. Gli deve aver fatto bene la leccata del giaguaro"
. Poi, si scusa. Intanto, questo irritante individuo ha perso un'altra occasione per tacere.

Povia (cantante), sulla pagina Facebook a proposito del terremoto: " I
terremoti? La terra è in continuo movimento naturale...ci sono scosse di
assestamento ma la terra è anche popolata da 7 miliardi di persone che si
muovono
". Kazzenger ! Come direbbe Maurizio Crozza.

Carlo Giovanardi (NCD), a proposito dello straripamento del fiume Secchia: "
L'alluvione nel Modenese? Colpa delle nutrie" .Giovanardi, in un'interpellanza
se la prende con le associazioni animaliste che ostacolerebbero la cattura e l'abbattimento delle nutrie, responsabili dei cunicoli scavati negli argini dei
fiumi. E la manutenzione ordinaria delle sponde dei fiumi? E la cementificazione selvaggia? Mah...

Antonio Razzi (FI) intervistato da "La Stampa", a proposito della riforma del
Senato: " Eliminare il Senato? Sapete, quando uno è qui che lavora per il bene
degli italiani, lasciare a metà dispiace...noi siamo anziani e i saggi sono importanti. Controlleremmo il lavoro dei deputati che sono spesso giovani,
inesperti. Nemmeno conoscono la Costituzione...Vabbè, quella non la conosco
nemmeno io
". Si sa, Razzi conosce bene solo " ‘u vitalizziu"!





Cleopatra, lunedì 27 gennaio 2014

domenica 26 gennaio 2014

SONGS: OHIA – THE MAGNOLIA ELECTRIC CO. (10th ANNIVERSARY DELUXE EDITION)




Jason Molina se ne è andato il 27 marzo dello scorso anno, all’età di soli trentanove anni. Se lo sono portati via una feroce dipendenza dall’alcol (che l’aveva allontanato dalle scene fin dal 2009) e l’ancora più feroce sistema sanitario americano, i cui costi elevatissimi per cure e riabilitazione erano insostenibili per il songwriter, privo della necessaria assicurazione. Una morte drammatica e prematura, che in qualche modo la scrittura di Molina, così depressa e malinconica, aveva prefigurato in tante occasioni. Non è certo questa la sede per sviscerare la vita e la discografia di uno degli artisti più importanti della sua generazione. Basti ricordare che Molina può essere accostato ai grandi songwriters che hanno contribuito a rivitalizzare la scena americana, roots e indie. Mi viene in mente subito un paragone abbastanza scontato con Elliott Smith, anch’esso vittima di una vita consumata negli eccessi e da un male di vivere così pesante da diventare, in fine, insostenibile. Ma penso anche, e soprattutto, a Vic Chesnutt, e al suo folk rock scarnificato e malinconico, che spesso confluiva in una tormentata e avanguardistica ricerca di sperimentazione. Con in cantautore della Georgia, Molina condivideva non solo un bagaglio di debolezze autodistruttive, ma anche il medesimo linguaggio artistico, il coraggio di mettersi a nudo completamente, senza indulgere nell’autocommiserazione o nel soliloquio consolatorio. The Magnolia Electric Co., ultimo disco di Molina dietro il moniker Songs: Ohia, è forse il suo disco più convenzionale e più elettrico, legatissimo alla tradizione seventies statunitense, qui riprodotta con il consueto approccio, mi si passi l’espressione un po’ forte, presbiteriano. Un disco che suona rock e country, che parte da un suono classico che cita Neil Young e Bob Dylan, ma che percorre, per l’ennesima volta, la strada di polverosa tristezza con cui Molina raggiungeva sempre, inesorabilmente, il cuore degli ascoltatori. Una musica col groppo in gola e dai toni foschi, un abbecedario della disperazione che parte dalle radici a stelle e strisce per declinare con sincero lirismo il linguaggio universale della malinconia. Forse non il disco migliore di Molina (The Lioness del 2000 e Molina & Johnson del 2009, a mio modesto avviso, gli sono superiori), ma sicuramente la strada più semplice per accostarsi a una delle icone del rock americano dell’ultimo ventennio. Questa edizione che celebra il decennale del disco contiene anche un secondo cd, che riproduce in acustico l’intera scaletta di The Magnolia Electric Co. Una registrazione artigianale e di grande interesse artistico, che mette in evidenza il valore di un artista capace anche, e soprattutto, di un’essenzialità e di un intimismo a dir poco disarmanti. Indimenticabile.

Voto: 8





Blackswan, domenica 26/01/2014