domenica 25 gennaio 2015

DOUBLE VINTAGE



Non ci sono dubbi che questa recensione sia fuori tempo massimo, dal momento che i due dischi di cui vado a parlare risalgono al 2014; eppure, il mio ritardo di qualche mese non è nulla al confronto di quello accumulato da queste due band, i cui rispettivi esordi, pubblicati lo scorso anno, sembrano risalire a un passato lontano mezzo secolo, più o meno. 
Gli Empty Hearts sono un supergruppo, i cui membri, pur provenendo da esperienze abbastanza dissimili, sono accumunati dalla passionaccia per un suono che gli storici del rock fanno risalire alla cosi detta british invasion: Kinks, Yardbirds, Who, Beatles e Rolling Stones. Loro sono Elliot Easton (ex Cars) alla chitarra solista, Wally Palmar (ex Romantics) alla voce e alla chitarra ritmica, Andy Babiuk (ex Chesterfield Kings) al basso e Clem Burke (ex- Blondie) alla batteria. Non ci sono dubbi che la scelta degli Empty Hearts (il nome è ispirato a una canzone dei Rolling Stones datata 1964) travalichi abbondantemente i confini dell’anacronismo; eppure i nostri quattro, la cui età media è prossima a superare la sessantina, riescono a inanellare una scaletta che suona tutt’altro che stantia. Merito di una classe indiscutibile, di una buona dose di autoironia e di una produzione che dosa sapientemente ritornelli orecchiabilissimi e chitarre roboanti. 





Altro discorso, invece, per i Blues Pills, che sono molto più giovani, stanno con un piede in Svezia e uno negli States, e prendono le mosse da quelle sonorità hard rock blues psichedelico in voga verso la fine anni ‘60,  targato Jimi Hendrix, Cream, Blue Cheer e compagnia cantando. Dopo un paio di Ep che avevano già suscitato l’attenzione degli addetti ai lavori, i Blues Pills sono finalmente usciti con il loro primo full lenght, la cui copertina vale di per sé più di mille parole, per spiegare cosa ci si possa aspettare dalle dieci tracce in scaletta. Solidi, potenti e grezzi quanto basta, i Blues Pills rivisitano una materia arcinota con grande entusiasmo e padronanza tecnica e filologica, grazie anche al piglio di Elin Larsson, il cui timbro graffiante non solo rappresenta il surplus emozionale di ogni brano, ma finisce inevitabilmente per stuzzicare la nostalgia di coloro che quella voce se la ricordavano provenire dalla bocca di una certa Janis Joplin. Qualche momento dilatato e lisergico, psichedelia come se piovesse e dei bei riffoni di hendrixiana memoria, fanno di questo esordio un disco piacevolissimo, ma privo di quei guizzi di originalità che ti aspetteresti affinchè la passione per il vintage non si traduca esclusivamente in pedissequa rivisitazione.





VOTO THE EMPTY HEARTS: 7
VOTO BLUE PILLS: 6,5


Blackswan, domenica 25/01/2015

2 commenti:

Leandro Giovannini ha detto...

Bella roba, man...

Haldeyde ha detto...

Ah, i Blondie...
comunque tornando alla matrice svedese dei Blues Pills, è da ricordare come la Svezia sia patria anche di importanti gruppi progressive (come sai, io torno sempre là...)