giovedì 8 gennaio 2015

MAGGIE BJORKLUND - SHAKEN



Quanto dista la Danimarca dall'Arizona ? Non saprei dirlo di preciso ma, a occhio e croce, sembra davvero una bella paccata di chilometri. Tuttavia, ascoltando questa ultima fatica della songwriter e chitarrista danese, Maggie Bjorklund, non si direbbe proprio. Anzi, dopo poche canzoni, Copenaghen potrebbe apparire agli occhi dell'ascoltatore più fantasioso quasi un sobborgo di Tucson. Non è un caso che citi Tucson e non un'altra città del sud ovest degli Stati Uniti, dal momento che a spalleggiare la bionda, bella e brava chitarrista danese, c'è un pugno di ospiti molto amati dagli appassionati del genere. Ve ne cito uno, prima di tutti: vi dicono qualcosa i Calexico? Se siete arrivati a leggere fino a questo punto della recensione è probabile di si. La line up che accompagnava la Bjorklund in sala di registrazione per il precedente disco (Coming Home) era composta niente pò pò di meno che da John Convertino, Joey Burns e Jesse Valenzuela. In Shaken, torna nuovamente a dar man forte dietro le pelli proprio Convertino, a riprova che il gruppo di Tucson è qualcosa in più di una semplice ispirazione per questa ragazza ormai in circolazione sui palchi di mezzo mondo da quasi quindici anni. A fianco di Convertino, c'è il vocalist dei Lambchop, Kurt Wagner (splendido nel duetto di Fro Fro Heart), Barb Hunter al violoncello e soprattutto John Parish (anche produttore dell'album) alla chitarra. Insomma, un gruppo di musicisti di altissimo lignaggio, per un disco che parte dalla Danimarca, transita per l'Inghilterra (oltre a Parish c'è anche l'ex Portishead, Jim Barr, al basso) e giunge nel bel mezzo di un paesaggio desertico americano punteggiato di cactus. A capitanare il gruppo c'è lei, la Bjorklund, favolosa quando si cimenta con la pedal steel (strumento nel quale eccelle e per cui ha collaborato in passato anche con Jack White), un pò anonima, invece, quando si cimenta col canto. Il disco, però, a prescindere da questo evidente difetto, scorre via piacevole, regalandoci morbide atmosfere da sapore cinematografico, in equilibrio fra western e psichedelia. La pedal steel spesso in bella evidenza, ricami acustici, trame delicate, testi introspettivi e autobiografici (Teach Me è dedicata alla madre della Bjorklund), e qualche episodio che si muove fra soundscapes vagamente onirici e inquietanti, sono gli ingredienti di un disco di americana di frontiera, ben suonato, onesto e malinconico al punto giusto.

VOTO: 6.5





Blackswan, giovedì 08/01/2015

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