venerdì 10 aprile 2015

OVERHEAD - SILENT WITNESS



Uno dei vantaggi di godere di qualche giorno di ferie, oltre ovviamente a poter indugiare qualche minuto in più sotto le coperte e ad avere la totale disponibilità del proprio tempo, è quello, per quanto mi riguarda, di poter rimettere mano con calma alla mia discografia. Ordinare, catalogare, spolverare oppure, come in questo caso, riscoprire dischi che erano finiti nelle retrovie dei miei infiniti ascolti. Così, quasi per caso, è saltato fuori questo Silent Witness, anno domini 2002, opera prima degli Overhead, band francese che le poche notizie rinvenute nel web davano ancora in vita, almeno fino a tre anni fa. Come sia venuto in possesso del disco, francamente non ricordo: o attraverso la recensione di qualche rivista specializzata (plausibile) oppure, come spesso mi è capitato, a cagione di un colpo di culo che di solito dipende dal fascino esercitato dalla copertina (più probabile). Sta di fatto che una volta inserito Silent Witness nel lettore, come San Paolo sulla via di Damasco, mi sono ritrovato fulminato da una eccitante scarica di ricordi, riemersi dal passato con tutto il consueto equipaggiamento di suggestioni che la memoria emotiva rianima. Gli Overhead, come ho accennato, arrivano dalla Francia (non chiedetemi precisamente da dove perchè non lo so), non fanno elettronica (che sembra il marchio di fabbrica di quasi tutta la musica d'Oltralpe), sono un terzetto (no power rock), cantano in inglese e sono capitanati da Nicolas Leroux, compositore di tutte le canzoni del disco e cantante dall'ottima estensione. La formazione originale, quella di Silent Witness appunto, prevede anche Christophe Demaret (Batteria) e Jean-Claude Kebaili (chitarra), poi sostituiti nel corso degli anni per scarsa affinità musicale con Leroux, indiscusso padre-padrone del progetto. E la musica? Presto detto. Silent Witness è un piccolo gioiello, un'opera misconosciuta, certo, ma patrimonio di quel sottobosco musicale dove spesso si celano autentiche opere d'arte, che farebbero la felicità di molti se solo avessero la voglia e il tempo di andarle a cercare. Scaletta senza filler, arrangiamenti complessi ma misurati, atmosfere soffuse e di grande pathos e l'idea dominante che il pop rock e il jazz possano proficuamente convivere con reciproca soddisfazione. Ed è proprio questa la particolarità di un disco capace sia di indugiare sulle corde della malinconia (Melodrame, Innerself) che di spingere su un'istintualità più marcatamente rock, in cui la chitarra diviene protagonista (Air, Monkeys For The People): citare Jeff Buckley (ma mi sono venute in mente anche alcune cose dei Dredg), arrangiandolo però attraverso la sensibilità di chi mastica con la stessa consapevolezza il passo felpato del notturno jazz. Silent Witness è un disco che esce dall'ordinario e le cui alchimie, per quanto (e proprio per questo) non assimilabili al primo ascolto, conducono la forma canzone lontano da quell'abitudine sonora a cui troppo spesso veniamo assuefatti senza alcun spirito critico. Persi, purtroppo, di vista dopo questo intenso esordio, gli Overhead, raccontano le cronache, hanno all'attivo altri due album di cui però non so dirvi nulla. Ma se vi fidate delle mie parole e volete farvi un bel regalo, Silent Witness saprà soddisfare il palato di tutti coloro che amano drizzare l'orecchio verso l'inconsueto.





Blackswan, venerdì 10/04/2015


1 commento:

Bartolo Federico ha detto...

mi sono sempre piaciute le retrovie del rock. gente giusta, come te. grazie sempre Nick del tuo supporto.