martedì 12 maggio 2015

MAHALIA BARNES & THE SOUL MATES (featuring JOE BONAMASSA) - OOH YEA!



Scrivevamo proprio l'altro giorno a proposito della iper prolificità di Joe Bonamassa, visto che non passano sei mesi senza che il chitarrista originario di Utica pubblichi qualcosa (collaborazioni, live, full lenght in studio). Oltre al bel live intitolato Muddy Wolf At Red Rocks e dedicato a Muddy Waters e Howlin Wolf (la recensione è di domenica scorsa), un mesetto fa Bonamassa ha infatti prestato la sua sei corde al nuovo disco di Mahalia Barnes, trentaduenne figlia della grande rockstar australiana, Jimmy Barnes. Per il quarto albun della sua carriera, Mahalia, che ha iniziando a farsi notare partecipando alla versione australiana di The Voice, ha voluto rendere omaggio auna delle più grandi interpreti del funk anni '70, ovvero Betty Davis. Betty Davis, chi era costei ? Nata nel 1945 a Dhuram, North Carolina, Betty Mabry (così il suo cognome da ragazza) a sedici anni si trasferisce a New York, dove inizia una folgorante carriera di fotomodella e diventa amica, udite udite, di due giovani e promettenti musicisti, Sly Stone e Jimi Hendrix, che le trasmetteranno la passione per la musica. Nel 1967, conosce un altro signore molto famoso, che l’anno successivo diventerà suo marito: Miles Davis. Insomma, la ragazza, che è una gran bella ragazza, non si fa mancare proprio nulla, respira musica, la studia da eccelsi maestri, frequenta i giri che contano. Soprattutto, Betty presenta Hendrix a Miles Davis. Non un particolare di scarso rilievo, se si pensa che i due musicisti iniziano a frequentarsi, a stimarsi e a influenzarsi a vicenda, tanto che Bitches Brew, il meraviglioso disco di Davis che apre la stagione della fusion ed esplora il confini estremi del jazz contaminato, è proprio frutto di questa amicizia. Le cose, però, precipitano velocemente: Miles è innamoratissimo di lei (le dedica Mademoiselle Mabry, quinta traccia di Filles De Kilimanjaro, album del 1969 in cui la Davis compare anche in copertina), Betty, invece, se dobbiamo dare credito ai gossip dell’epoca, un po’ meno, dal momento che cornifica il trombettista intrattenendo una liason molto carnale proprio con l’amico Hendrix. Ne consegue un rapido divorzio e un altrettanto rapido trasferimento a Londra, dove la Davis continua a posare come modella e inizia a scrivere canzoni. Tornata negli States, la modella-cantante pubblica Betty Davis (1973), They Say I’m Different (1974) il mirabolante Nasty Gal (1975). Nessuno dei tre album ottiene il successo commerciale sperato, e la Davis, delusa, chiude baracca, ritirandosi definitivamente in Pennsylvania. Peccato, perché questo terzetto di dischi sarebbe in grado si resuscitare alla vita anche un impiegato del catasto e Nasty Gal, in particolare, è uno dei lavori di musica nera più eccitanti che mi sia capitato di ascoltare. Groove pazzeschi, riff di chitarra da extrasistole, funk corrotto da una perversa indole garage-rock, una certa attitudine punk e tanto, tantissimo sesso (le canzoni di Betty Davis furono praticamente bandite dalle radio americane). La musica della Davis, infatti, trasuda erotismo nei testi espliciti e nella voce selvaggia della cantante, che si muove attraverso le note con il passo felpato di una pantera pronta all’assalto: carica di teatralità, velenosa, graffiante, portata spesso ai limiti di uno screaming, che prende la forma di ruggito belluino. Non facile, quindi, mettere mano al songbook della signora Davis se non si è disposti a misurarsi con lo stesso carico di grinta e sensualità. Serve un'attitudine fisica, vocale e, soprattutto, mentale. A conti fatti, è proprio quello che Mahalia Barnes riesce a fare, andando a recuperare il meglio dei tre album citati e restituendo alle dodici canzoni scelte una nuova linfa vitale. Non solo un'operazione filologica (anche se l'attenzione al suono, alle atmosfere e al cantato è altissima), ma soprattutto un adrenalinico disco di funk, in cui Mahalia si misura con una grandissima voce, senza sfigurare. Anzi, per certi versi, fa anche meglio della Davis, misurando gli eccessi di teatralità, evitando di strafare e puntando semmai sulla tecnica pura (la voce della Barnes ha una gamma espressiva impressionante). Ad accompagnarla in questa avventura, ci sono i fidi e rodati Soul Mates e, come si diceva, un Bonamassa in splendida forma, che lungi da velleità di protagonismo, si mette con umiltà al servizio della musica, regalandoci un'eccellente performance.

VOTO: 7,5





Blackswan, martedì 12/05/2015

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