martedì 23 giugno 2015

CHRIS STAPLETON - TRAVELLER



Chris Stapleton, songwriter trentasettenne, originario del Kentuky, ma ormai di stanza a Nashville, ha regalato le proprie canzoni un po’ a tutti. A Brad Paisley, ad Adele e a Kenny Chesney, tanto per citare i più famosi. E non pago di tanta generosità, ha anche messo la propria penna al servizio di stelle di prima grandezza, quali Sheryl Crow e Peter Frampton. Poi, quasi alla soglia dei quarant’anni, ha preso il coraggio a due mani e ha deciso di esordire con un full lenght tutto suo. Questo Traveller non è dunque l'esordio di una giovane promessa, bensì di un autore navigato, che conosce a menadito i segreti del songwriting e quelli di un genere che ormai mastica da tempo e con grandi, anche se indirette, soddisfazioni (la sua Never Wanting Nothing More, interpretata da Kenny Chesney, è stata per cinque settimane in testa alle charts statunitensi). Non è un caso quindi che si sia fatto produrre da Dave Cobb, una sorta di Re Mida dell'Americana, che ha messo mano all'ultimo di disco di Sturgill Simpson (Metamodern Sound In Country Music, balzato in vetta alle classifiche country dello scorso anno) e soprattutto a Southeastern, capolavoro di Jason Isbell, pubblicato un paio di anni fa. Traveller, merito anche di Cobb, è un disco pressoché perfetto negli equilibri, grazie proprio a una produzione che cerca, raggiungendola, omogeneità e pienezza di suoni. Non si tratta però di un album che si sviluppa in modo uniforme: la scrittura di Stapleton è volubile, molto legata alla tradizione country, ma capace anche di sconfinare nel southern (Might As Well Get Stoned), di graffiare col rock (Parachute), di corteggiare il soul nella superba rilettura di Tennesse Whiskey, già portata al successo da George Jones. Per più di un'ora, si susseguono tutte quelle suggestioni che chi sogna l'America a occhi aperti ben conosce. Si viaggia in libertà, capelli al vento, su una decapottabile in fuga su qualche statale circondata dal nulla (la title track); o si sorseggia una birra ghiacciata, seduti in veranda, al tramonto, innanzi a una distesa di grano (l'evocativa Daddy Doesn't Pray Anymore). E' l'America più vera, quella che guarda alle radici, che ci stringe la gola con sconfinate malinconie, che ci gonfia il petto di epica e ruvidi sentimenti, che ci riscalda il cuore con la fiamma di un bourbon tracannato in un sorso (Whiskey And You). Un disco di emozioni, prima che di grande musica, un itinerario attraverso gli States, che suggerisce il ricordo a chi quella terra già la conosce, ma che farà sognare anche quelli che preferiscono viaggiare comodamente seduti sul divano di casa. 

VOTO: 8





Blackswan, martedì 23/06/2015



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