sabato 4 luglio 2015

ALGIERS – ALGIERS



In ambito musicale, nulla più si crea e tutto si ricicla. C’è chi lo fa male, e ci propina la solita zuppa, e c’è invece chi lo fa bene, riutilizzando in modo innovativo ingredienti risaputi. Quando ciò accade, possono nascere dischi bellissimi oppure, caso ormai rarissimo, può nascere un nuovo suono, cioè quella peculiarità che trasforma in marchio di fabbrica la musica di un artista o di un gruppo (a esempio: la chitarra di Keith Richards) o trasforma un movimento in un genere (a esempio: Seattle e il grunge). Da Atlanta, Georgia, tre ragazzi, il cantante Franklin James Fisher, il bassista Ryan Mahan e il chitarrista Lee Tesche, giungono a noi con una ventata di incredibile freschezza e un disco che, è proprio il caso di dirlo, rappresenta un unicum nel panorama odierno. Gli elementi che confluiscono in Algiers sono noti: gospel e blues, e poi industrial, post punk, goth rock, noise rock. L’innovazione sta, però, nell’aver pensato di far convivere la grande tradizione afroamericana con suoni lontanissimi per collocazione geografica e dimensione temporale. Il risultato è spiazzante, emozionante e, ne converrete, disturbante: come ascoltare le canzoni della grande Mahalia Jackson suonate dagli Einsturzende Neubauten nella sala d’attesa dell’inferno. Il gospel degli Algiers perde ogni connotazione religiosa e ne assume semmai una politica (il gruppo è apertamente e dichiaratamente marxista); e soprattutto sembra rappresentare un’umanità di replicanti in lugubre viaggio verso l’eterna dimora. Ecco, allora, che l’iniziale Remains suona esattamente come il passo dolente di un gruppo di schiavi destinati non ai campi di lavoro ma alle fiamme dell’inferno, mentre Blood è un piano sequenza sulle fucine dell’Ade, catena di montaggio della dannazione eterna. E anche quando rientrano in un alveo più convenzionale (Games), gli Algiers creano una ballata spettrale di sangue, catene e dolore che non lascia scampo. Non c’è una sola canzone in questo disco, che non sia decisiva e al contempo inquietante, un solo minuto che scorra inutile. Algiers ci prende con forza, stupra le nostre consuete capacità di ascolto, imponendoci un’attenzione uditiva e immaginifica che pensavamo aver perso per sempre. New Orleans e Berlino, chitarre lancinanti, campionamenti, sintetizzatori, spirituals, elettronica, industrial noise: se non è innovazione questa, ditemi voi cosa lo è. Gli Algiers sono destinati a grandi cose e questo debutto si candida seriamente a miglior disco dell’anno.

VOTO: 10





Blackswan, sabato 04/07/2015

1 commento:

mr.Hyde ha detto...

Caspita: spiritual espressionista dell'era globale colorato di tinte apocalittiche, non c'è gioia e speranza: solo disincanto e dolore.Le tinte forti sono ben sottolineate dagli effetti e dagli strumenti.Il 10 ci sta tutto.Grazie per avermi fatto conoscere questo gruppo!