giovedì 1 ottobre 2015

RYAN ADAMS - 1989



Quanti album di cover vengono pubblicati oggi giorno? Parecchi, direi: così tanti da poter affermare che misurarsi con materiale altrui sia diventato quasi uno status symbol musicale 2.0 (o, a seconda dei punti di vista, il raschio del barile che consente introiti senza rischio alcuno a chi ha perso l’ispirazione). Qualcuno, addirittura, ha provato a rileggere l'intero repertorio di un gruppo o un'artista: mi vengono in mente il discreto Lou di Josef Arthur (2014), con cui il musicista dell'Ohio ha messo mano alla discografia di Lou Reed o, tornando più indietro nel tempo, l’ottimo What's Next To The Moon di Mark Kozelez (2001), rilettura in acustico del repertorio degli Ac/Dc. Più difficile trovarsi di fronte a un'operazione come quella messa in piedi da Ryan Adams: prendere, cioè, un disco e reinterpretarlo tutto, dall'inizio alla fine, canzone per canzone (una cosa del genere l'avevano già fatta i Flaming Lips con una rivisitazione folle di The Dark Side Of The Moon dei Pink Floyd). Adams, musicista che sta a cuore di tutti quelli che amano l'alternative country e il suono Americana, fa qualcosa di davvero inaspettato, e riscrive per intero 1989, best seller dello scorso anno a firma Taylor Swift, ex stellina del country più sdolcinato e, con questo lavoro, entrata ufficialmente nel molto redditizio star system del pop dozzinale. L'operazione, all'apparenza assai rischiosa, a ben vedere, presenta per Adams un paio di vantaggi niente male. In primo luogo, mettersi alla prova con un disco che ha venduto quasi dieci milioni di copie in tutto il mondo è indubbio che possa procurare dei riverberi economici anche per il songwriter di Jacksonville; in secondo luogo, l'idea di prendere un disco stravenduto ma di una pochezza artistica sconcertante, consente ad Adams un certa sicurezza di fondo: canzoni tanto brutte non possono che essere rivisitate meglio, soprattutto se in mano le prende chi di grandi dischi ne ha rilasciati parecchi. E così, l'ascolto di 1989, che nella versione originale rappresenta un ostacolo insormontabile per tutti coloro che amano la musica di qualità, riesce a farsi piacevole, stuzzicante e in alcuni casi, davvero appagante. Una hit da otto milioni di copie vendute come Shake It Off, viene trasformata in una ballatona springsteeniana, figlia minore di I'm On Fire, che non lascia scampo; un brano inutile come Out Of The Woods, nelle mani di Adams diviene un lamento di smithiana memoria, che sfiora l'eccellenza; e Blank Space, penosa nella versione di Taylor Swift, trova in atmosfere soffuse e morbide la sua ragion d'essere. Altre canzoni sono talmente brutte che riuscire a trasformarle in qualcosa di meglio è davvero difficile: All You Have To Do Is Stay e This Love, ad esempio, restano ai confini dell'inascoltabile e Adams non riesce proprio a fare il miracolo. In definitiva, però, il disco tiene per tutta la scaletta e si fa ascoltare con piacere. Non stiamo certo parlando di un'opera rappresentativa del songwriting di chi ci ha regalato Gold e Love Is Hell, ma solo di una curiosa bizzarria. Che, a ben vedere, in qualche momento, riesce perfino a emozionare. Insomma, non era facile trasformare una musica per bimbiminchia in qualcosa di diverso, che fosse adulto e credibile, e Adams ce l’ha fatta.

VOTO: 6,5





Blackswan, giovedì 01/10/2015

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