martedì 3 novembre 2015

ISRAEL NASH – SILVER SEASON



Succede che, nel bel mezzo del cammin della propria carriera, un musicista decida di cambiare. Cambiamenti piccoli oppure macroscopici, volti a soddisfare un diversa visione di musica o un diverso modo di sentire, tesi magari a sottolineare una virata importante e decisiva nella propria esperienza esistenziale. La voglia di sperimentare, anche, che spinge a trovare nuove vie per esprimere i medesimi concetti. Così, il 2013, per Israel Nash, è stato l’anno della svolta: la perdita del secondo cognome (Gripka, che nei primi due album compariva in copertina) e una nuova idea di musica, stratificata, sperimentale, psichedelica, lontana, e di parecchio, dal suono più essenziale e appassionato che ci aveva fatto innamorare di New York Town (2009) e Barn Doors And Concrete Floors (2011). Ha cambiato, Israel Nash, e ha cambiato alla ricerca forse di una maturità compositiva che, per chi scrive era già pienamente raggiunta, e che per il musicista del Missouri era, invece, ancora ben lontana dalle proprie aspirazioni e, soprattutto, ambizioni. Silver Season si spinge ancora più in là rispetto al suo predecessore, e il risultato è quasi un disco alla Jonathan Wilson; con la differenza che, se il punto di partenza è il medesimo (gli anni ’70 californiani e Laurel Canyon nel cuore), Nash gioca con un numero minore di riferimenti e non è capace di osare fino in fondo. Registrato interamente in Texas, ma, come si diceva, geneticamente californiano, Silver Season trova un buon punto di fusione fra If I Could Only Remember My Name di David Crosby e il Neil Young di After The Gold Rush; tuttavia, Nash spinge il proprio songwriting verso una psichedelia dilatata, persa in lunghe trame strumentali, che appiattiscono le canzoni, soprattutto nella prima parte, in un unicum monocorde e decisamente noioso. Ed è un peccato, perché, come dimostrano alcuni brani, la younghiana Strangers e l’ispirata A Coat Of Many Colours, Nash è capace comunque di tirar fuori dal cilindro numeri di autentica qualità. Un disco, insomma, riuscito a metà, troppo verboso e troppo evanescente, figlio di un eccesso di ambizione che, mi auguro, si esaurisca qui, restituendoci il Nash che conoscevamo e amavamo.

VOTO: 6





Blackswan, martedi' 03/11/2015

3 commenti:

Bartolo Federico ha detto...

non sono d'accordo, io lo trovo un gran disco, e il tempo sarà galantuomo. ciao nick

Blackswan ha detto...

@ Bartolo: de gustibus, caro Bartolo. Io sono legato molto ai primi due dischi e questo mi sembra davvero un pò troppo dispersivo e un filo pretenzioso. Poco male: vedrai che presto troveremo un disco da condividere :)

Bartolo Federico ha detto...

certo nick ,lo troveremo sto disco per farci una bella festa di rock'n'roll.