mercoledì 11 novembre 2015

THE TURNPIKE TROUBADOURS – THE TURNPIKE TROUBADOURS



Premessa wikipedistica. Il Red Dirt è un movimento musicale nato, cresciuto e sviluppatosi in Oklahoma, centro nevralgico Stillwater. Il nome, per essere il più chiari possibili, deriva dalla particolare colorazione del terreno che potreste notare qualora vi addentraste nel territorio di questo  stato del centro sud statunitense. E non è un caso che la terra sia chiamata in causa per identificare un certo tipo di musica. A prescindere, infatti, da quelle che sono le diverse definizioni date dalla stampa specializzata al genere, le band appartenenti al Red Dirt, anche quelle maggiormente contaminate dal rock (e non sono poche) risultano comunque molto legate alle radici, miscelando in un suono, peraltro, non univoco, sia alt-country che blues, folk, bluegrass  e, in qualche caso, influenze messicane. Il pistolotto che precede si è reso necessario per inquadrare, anche agli occhi di chi non mastica musica americana dalla mattina alla sera, ciò che si trova fra le note del quarto album a firma Turnpike Troubadours, band in circolazione dal 2007 e che ha visto militare fra le sue fila John Fullbright, uno dei songwriter più interessanti attualmente in circolazione. Da un anonimato di nicchia, la band dell’Oklahoma è riuscita con quest’ultima fatica ad aggiudicarsi un posto di rilievo nelle classiche country e folk statunitensi, fiondandosi alle prime piazze di Billboard. Coloro che a questo punto della recensione pensano di trovarsi di fronte a un gruppo molto legato alla tradizione, finirebbero tuttavia per ricredersi. I Turnpike Troubadours, infatti, possono somigliare, e a volte succede, come nell’inizialeThe Bird Hunters, agli Old Crow Medicine Show, ma a differenza di quest’ultimi sfoggiano un arsenale di chitarre elettriche mica da ridere. Se è vero che le suggestioni country del disco ci sono e sono esaltate dallo splendido violino di Kyke Nix, è anche vero che strada facendo si trovano episodi che si discostano, e non poco, dal punto di partenza. The Mercury, ad esempio, è un rock dalle chitarre che ringhiano, mentre il pensiero, in certi istanti, vola ai Violent Femmes. Doreen è cow-punk usque ad finem e Down Here è un sostanzioso country-rock che guarda con affetto agli anni ’70. La voce espressiva di Evan Felker, poi, fa da perfetto collante a una scaletta di dodici canzoni che suonano varie, energiche e interpretate con grande piglio dalla band. Nel finale, un cameo di John Fullbright all’armonica impreziosisce la tirata country di Bossier City, che chiosa meravigliosamente un gran disco e lascia nelle gambe una voglia irrefrenabile di ballare.

VOTO: 7





Blackswan, mercoledì 11/11/2015

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