sabato 12 marzo 2016

UNA MACCHINA DA GUERRA CHIAMATA MOOG




Ho iniziato ad ascoltare musica che ero poco più di un bambino. Tanta musica classica, presa in prestito dalla discografia di mio padre e, il passo da lì è breve, tanto rock progressive. I primi dischi li ebbi in regalo dal  figlio di amici dei miei genitori, il quale, deciso a cambiare radicalmente vita, era in procinto di trasferirsi in India. Poco prima di partire, quel ragazzo appena ventenne e dalla foltissima chioma bionda, si presentò alla mia porta con due scatoloni di vinili: “preferisco regalarli a te”, mi disse, “ perché mio fratello di musica non capisce un cazzo e finirebbe per farli ammuffire sullo scaffale”. Il senso di gratitudine che provai per quel giovane, che qualche anno dopo mori per un overdose di eroina, l’ho provato poche altre volte nella mia vita. I suoi dischi, infatti, non solo li consumai, ma li conservo tuttora con scrupoloso affetto. Fu così che la mia scarnissima discografia dell’epoca divenne una ricca cornucopia da cui attingevo a piene mani classici del prog rock a firma King Crimson, Genesis, Van Der Graaf Generator, Yes, Jethro Tull, Gong, ELP e Premiata Forneria Marconi. Quando qualche anno dopo scoprii il punk, Bruce Springsteen e tante altre band provenienti dagli Stati Uniti, presi sempre di più le distanze da quella musica che, di fronte alla spericolata velocità dei “fratelli” Ramones, suonava ormai anacronistica come una messa in latino. Tuttavia, a prescindere dal giudizio che oggi posso esprimere sul progressive, una cosa è fuor di dubbio: quei virtuosi, che talvolta spingevano le loro doti tecniche fin sulle soglie di uno stucchevole parossismo, hanno allenato le mie orecchie a distinguere fra un buon musicista e uno mediocre. Il merito della mia consapevolezza, ed ecco il senso di questo lungo preambolo, va in parte anche a Keith Emerson, funambolico tastierista, membro fondatore dei Nice e degli ELP. Keith Emerson se ne è andato ieri: si è sparato un colpo di pistola alla testa. Non riusciva più a convivere con una malattia degenerativa che in poco tempo gli avrebbe precluso la possibilità di utilizzare la mano destra. Già da qualche tempo suonava con solo otto dita (due erano irrimediabilmente compromesse) e aveva perso la forza e la velocità che da sempre contraddistingueva il suo stile. Ha dovuto scegliere se essere ricordato come un incredibile virtuoso o trascinare la propria musica nell’avvilente crepuscolo di un destino segnato. E ha scelto. In quel modo esagerato e guascone con cui da sempre strapazzava Hammond, Moog e pianoforti. Perché Emerson (Dio, quanto l’ho amato per questo!) non era solo un musicista con uno straordinario background classico e una tecnica che rasentava la perfezione, non si limitava al virtuosismo perfettino per strappare l’ammirato applauso del pubblico pagante; Keith era, lasciatemelo scrivere, il Jimi Hendrix della testiera: uno bruciava le chitarre, l’altro accoltellava pianoforti. Velocissimo e preciso, ma al contempo muscolare e sanguinario, Emerson sbalordiva per la furia estatica con cui spremeva dai propri strumenti migliaia di note, e sperimentava, senza tregua, nuove strade, portando sul palco, per la prima volta, quella monumentale macchina da guerra elettronica chiamata Moog. Molti hanno parlato della musica di Emerson utilizzando il termine megalomania. Io preferisco pensare che quell’esondazione di creatività fosse frutto, non di un ingestibile delirio di onnipotenza, ma di una sana incapacità di accettare i limiti di uno strumento, di una musica, della tecnica con cui la suonava. Da quei giorni gloriosi, sono passati decenni di compromessi al ribasso, che gli avevano forse donato una straordinaria agiatezza economica, ma avevano finito per appannarne la gloria. L’ultimo di questi compromessi Keith non lo ha accettato, preferendo il rumore di una pallottola, al silenzio di un inesorabile declino. 





Blackswan, sabato 12/03/2016

1 commento:

Haldeyde ha detto...

Amico, lasciatelo dire: hai espresso alla perfezione quello che ha rappresentato quel genio di Emerson. Io i vinili di progressive li ho rubacchiati a mio fratello maggiore. Ed a quel genere sono rimasto ancorato, non avendo seguito le sirene del punk. Proprio per i loro (eccessivi?) virtuosismi, non mi sono mai appassionato agli ELP quanto mi è capitato di fare con i Genesis, gli Yes od i Gentle Giant. Tuttavia, alcuni loro brani rimarranno colonna sonora della mia vita.