domenica 13 marzo 2016

VIOLENT FEMMES - WE CAN DO ANYTHING (2016, Add It Up)



1983. Vacanze estive: temporale improvviso, precipitosa fuga dalla spiaggia. Troviamo riparo alla fine di un 3000 siepi di livello olimpico sotto il nostro tendone. Una roba militare del genere Gladio vs Comunismo. Una sistemazione vergognosa acquistata per poche lire qualche mese prima. Vien giù che dio la manda. Resistiamo abbarbicati ad una scialuppa di salvataggio estemporanea, un insieme di cavalletti e tavoloni da cantiere che fino a qualche ora prima si adoperavano per dare robustezza e ampiezza al tavolo da pranzo. L’ondata arrivò dalla collinetta alle nostre spalle, un fiume d’acqua e fango che trascinò via tutto ciò che incontrava sotto i nostri piedi: vestiti, sacchi a pelo, provviste. Il mio amico Stefano decise che la peggiore giornata estiva del secolo andava celebrata, stappò l’ennesima bottiglia, e subito dopo cominciò a strimpellare Blister In The Sun. Noialtri dietro, in coro, imitando la voce di Gordon Gano e percuotendo con cucchiai e forchette il tavolato e il pentolame sopravvissuto alla piena. L’happening proseguì per tutta la durata del micidiale nubifragio. Fu la nostra personalissima trasposizione dell’orchestra del Titanic. Loro affogarono con Strauss, noi quasi con i Violent Femmes. In quel campeggio forse nessun'altro sapeva chi fossero i tre di Milwaukee, come non sapevano che il loro disco d’esordio era stato celebrato con commenti entusiastici da tutte le riviste Rock dell’epoca. Una cosa è certa, il giorno dopo, sotto un sole assassino che si era riproposto con un’arroganza ferragostana fuori luogo (era solo luglio), tutti i vicini di tenda canticchiavano Blister in The Sun mentre, riflettendo sulle bizzarrie del tempo, rimettevano in piedi tende e bivacchi. Fu un successone: noi con loro fino alla fine di quel campeggio, fino alla fine di quel periodo di divertimento e gioventù.
Let me go on like I Blister in the sun Let me go on Big hands, I know you're the one.



Questi sono i miei Violent Femmes, un temporale fuori stagione. Come d’altronde fu il loro avvento sulle scene musicali quando la Slash licenziò il loro primo incredibile e irripetibile album, un groviglio acustico di Folk stralunato, Country alcolico e Garage Punk demenziale. Geniale quanto anacronistica mistura debitrice ai Modern Lovers di Jonathan Richman e ai Velvet Underground. Poi arrivarono Hallowed Ground (1984) e, a completare un'ideale trilogia, The Blind Leading The Naked (1986). Altri dischi belli e meno belli si succedettero negli anni tra litigi feroci, scioglimenti e improvvise reunion sui quali è inutile dilungarsi. Il culto per i Violent Femmes era già stato certificato con il loro esordio, quello con la bambina che s’affaccia ad una vecchia finestra di un fabbricato abbandonato: un temporale fuori stagione da un milione di copie, un disco 5 stelle, anzi da 5 milioni di stelle. In paradiso non sempre possono vantarne altrettante!
Anticipato dall’EP Happy New Year di qualche mese fa arriva ora sugli scaffali We Can Do Anything. Solo una mezza sorpresa quindi per i tanti supporter della band americana che mancava all’appuntamento con un nuovo album da Freak Magnet del 2000. Ripartono praticamente da zero, modalità da esordienti, il disco è sostanzialmente autoprodotto (Add It Up). La formazione comprende i riappacificati Gordon Gano e Brian Ritchie con alle percussioni il bravo Brian Viglione, ultimo tra gli avatar che negli anni bui delle Femmes si sono avvicendati al posto del leggendario Victor De Lorenzo. Il disco parte benissimo e nei primi tre brani ci sono tutti i Violent Femmes che possiamo desiderare. Memory è una outtakes proveniente dalle lavorazioni di Violent Femmes, potenziale hit che avevano incredibilmente scartato. I Could Be Anything, whiskey song alla maniera dei Pogues più debosciati, è una canzonaccia esilarante da ultimi posti sul bus delle gite scolastiche, Issues la ballatona lacrime di coccodrillo post sbronza. Negli altri brani il mood non cambia: anarchia compositiva assoluta, retrovisore rivolto ai loro esordi. L’affermazione che dà il titolo al disco, “Possiamo fare qualsiasi cosa”, potrebbe trarre in inganno; verrebbe da dire, invece, che fanno quello che sanno fare meglio: musica strampalata e primitiva senza steccati stilistici ad irreggimentare la loro natura di “buskers” impenitenti. La stessa musica che suonavano più di 30 anni fa per le strade del centro di Milwaukee (con l’equipaggiamento strumentale più esilarante della storia) dove vennero notati dai Pretenders che li vollero in tour con loro. Ma questa vicenda è già stata raccontata centinaia di volte e la conoscete tutti. Non rimane altro da dire, bentornate Femmine Violente!

VOTO: 7





Porter Stout, domenica 13/03/2016

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