domenica 24 aprile 2016

RONNIE SPECTOR – ENGLISH HEART



Alzi la mano chi, almeno una volta nella vita, non ha ascoltato Be My Baby, incredibile hit, datata 1963, e portata al successo dalle Ronettes, trio femminile cresciuto all’ombra del wall of sound targato Phil Spector. Leader di quel notissimo girl group fu Veronica Bennett, che non si limitò solo a lavorare con Phil Spector, ma se lo sposò pure, prendendo dal marito il cognome che la accompagnerà per tutta la carriera, anche dopo il divorzio. In quei magnifici anni ’60, l’America subisce la cosidetta British Invasion, in seguito alla quale, gruppi come Beatles, Hollies, Rolling Stones, Who, etc, riempiranno le classifiche, le radio e gli stadi statunitensi. Le Ronettes, merito non da poco, furono l’unica band femminile a essere invitata a esibirsi con i Beatles, durante il loro ultimo tour americano, nel luglio del 1966. Questa cosa Ronnie, che oggi è una bella signora di settantadue anni, se la deve essere portata dentro a lungo, visto che ha appena pubblicato un disco interamente dedicato a quel periodo, reinterpretando grandi classici degli anni sessanta di derivazione anglosassone (l’unica eccezione è How Can You Mend A Brocken Heart degli australiani Bee Gees, che però in quel periodo imperversavano anche in Inghilterra). In scaletta, dunque, ci sono cover dei Rolling Stones (la poco nota I’d Much Rather Be Wiyh The Girls), della scozzese Lulu (Oh Me Oh My), dei Dave Clark Five (Because), dei Beatles (I’ll Will Follow The Sun, da Beatles For Sale del 1964), degli Zombies (Tell Her No), di Sandie Shaw (Girl Don’T Come) e di altri ancora. Il disco è in definitiva un raccoltone vintage, non tanto nei suoni, quanto, invece, nella sostanza, che però, a essere sinceri, non riesce a trasmettere un briciolo di emozione, nemmeno quella nostalgia che operazioni di questo tipo intendono suscitare. Il fatto è che Ronnie Spector, non ha più la straordinaria voce di un tempo, l'unica cosa, forse, che servirebbe a rivitalizzare canzoni che qui sembrano reperti archeologici fuori contesto. Il danno grosso, però, lo fa il produttore, Scott Jacoby (John Legend, Kane, Chimene Badi), che, per dare un senso di freschezza alla scaletta e farla apparire moderna a tutti i costi, pasticcia coi suoni e tira fuori un disco chiassone e tagliato con l’accetta. Il risultato è davvero poco cosa, e tra noia, imbarazzo e fastidio, quando si arriva alla fine dell’ascolto, si tira un bel sospiro di sollievo. Inutile dirlo: molto meglio gli originali.

VOTO: 5








Blackswan, domenica 24/04/2016

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