mercoledì 25 maggio 2016

YAK - ALAS SALVATION (Octopus Electrical, 2016)



Ecco uno di quegli esordi destinati ad essere ricordati, il primo tassello di una sfavillante carriera se farà il botto, prezioso oggetto di culto se invece dovessero filarselo in pochi. E’ comunque impossibile rimanere indifferenti ascoltando un disco come questo. I responsabili sono tre ragazzi londinesi, si fanno chiamare YAK e sono una forza della natura: Oliver “Oli” Burslem (chitarra e voce), frontman carismatico e belloccio (una certa somiglianza con il Mick Jagger di un secolo fa), Andy Jones al basso e Elliot Rawson alle percussioni. Grazie all’Ep No del 2015, realizzato con la Third Man Records di Jack White e una intensissima attività live (chi ha assisto assicura che sono fenomenali), hanno bruciato le tappe costruendosi una solida reputazione che li ha portati ad aprire i concerti per band affermate come Peace e Last Shadow Puppets.

L’ennesima “Next Big Thing” che la stampa inglese ci propina una volta al mese verrebbe da ironizzare ma, vi assicuro, stavolta ci hanno preso: gli YAK vanno ben oltre i facili sensazionalismi e sono di già una gran cosa. Al banco regia siede Steve Mackey storico bassista dei Pulp e produttore di successo con M.I.A., Florence The Machine e Palma Violets. Il video della title track è stato girato invece da Douglas Hart, personaggio molto noto anche per aver fatto parte dei Jesus & Mary Chain. Sono collaborazioni di prestigio e inaspettate per un disco d’esordio dichiaratamente autoprodotto in nome del “Do It Yourself”. Che si tratti di spirito ribelle o di una precisa strategia di mercato non è dato sapere e poco importa, questa è una band davvero elettrizzante e dal gran potenziale come testimoniano i 13 brani di Alas Salvation. 40 minuti dal forte impatto emotivo, dalle molteplici sfumature e notevoli soluzioni ritmiche e melodiche. 





Quando parte Victorious (National Anthem) difficile non saltare sulla sedia: chitarre grattuggiate, canto sguaiato, sezione ritmica da manicomio criminale, un anthem di straordinaria potenza, altre band ci avrebbe tirato fuori mezza facciata del disco, loro no: una scheggia anfetaminica di unminutoecinquantasei per passare urgentemente ad altro. Ad altro, si fa per dire, Hungry Heart (il primo singolo estratto) è, se vogliamo, ancora più urticante, immaginatevi il Johnny Rotten più declamatorio istigato dal fuzz dei Mudhoney e avrete un’idea. L’immediatezza di Use Somebody infettata di Punk settantasettino alla Johnny Thunders ci tiene incollati alle casse fino ad Interlude I che introduce la decadente Roll Another. Da qui in poi è tutto un susseguirsi di riferimenti diversissimi e a volte stranianti come nella minacciosa Curtain Twitcher (Caveniana fin dentro al midollo) che getta ombre sinistre sul clima generale del disco, la carezzevole psichedelia di Take It, ballata alla maniera dei Radiohead di Go To Sleep, interviene subito dopo a rasserenare gli animi mentre Harbour The Feeling è un pezzo contagioso come pochi e pare uscito da Songs For The Deaf dei Queens Of The Stone Age. Gli esercizi di stile proseguono con Smile, spaghetti-western in salsa P’n’R come sapevano fare i Thin White Rope, la Velvettiana Doo Wah e infine con Please Don't Wait For Me: vocalità languide e intemperanze improvvise, muri di feedback e svagatezze acustiche, un saliscendi umorale che ben rappresenta il mondo sonoro degli YAK. Band e disco da annoverare tra le novità più eccitanti del 2016 e, considerando il panorama attuale d’oltremanica in fatto di sonorità smaccatamente Rock (vedi i deludenti lavori di Primal Scream e Virginmarys), è grasso che cola.



Voto: 8.5





Porter Strout, mercoledì 25/05/2016



1 commento:

Blackswan ha detto...

Ci ho messo un pò a entrare nel mood del disco (ero immerso anche in ascolti country), ma adesso mi sta piacendo. Quattro/cinque pezzi sono davvero di livello, loro rozzi quanto basta a farmi inturgidire i capezzoli e la copertina spettacolare. Bella lì!