giovedì 2 giugno 2016

BEN POOLE – TIME HAS GONE



A proposito di Ben Poole, hanno speso parole d’elogio sia Gary Moore, poco prima di morire, che Jeff Beck. Viene, dunque,  la curiosità di capire cosa, le due grandi icone della sei corde, abbiano intravisto in questo ragazzo inglese, il cui nome ha iniziato a girare con insistenza, da qualche anno, nei circuiti del rock blues britannico. Basta dare un’occhiata ai numerosi filmati che si trovano in rete, per capire che il ragazzo ha tecnica da vendere e un grande gusto: insomma, dal vivo spacca, anche quando si cimenta con grandi classici del passato. Tuttavia, chi pensa di trovarsi di fronte a una sorta di Joe Bonamassa o Kenny Wayne Shepherd anglosassone, probabilmente resterà deluso.  Poole, infatti, arrivato al suo terzo album, il secondo in studio, visto che il precedente, Live At Royal Albert Hall del 2014, era dal vivo, se da un lato dimostra di saperci fare, e bene, con lo strumento, per converso si tiene abbastanza lontano dalle grintose, e più classiche, sonorità dei due colleghi citati poc’anzi. Il songwriting del ragazzo inglese, che firma quasi tutti i pezzi dell’album, vira semmai verso certe cose già conosciute con Jonny Lang e John Mayer, e cioè un crossover dagli accenti bluesy, ma decisamente indirizzato verso il soul e il pop. Non è un caso che solo l’iniziale Lying To Me suoni aggressiva, lambendo i confini di un certo hard rock blues (abbastanza di maniera). In quasi tutti gli altri episodi, Ben Poole preferisce muoversi nei territori della ballata o attraverso dei mid-tempo eleganti, sorretti da ottimi assoli e da una voce educata, ma non particolarmente incisiva. Insomma, la scrittura non è certo la dote migliore del nostro: non c’è nulla che dispiaccia, ma nemmeno nulla che faccia venire voglia di applaudire, nonostante, qui e là, si intravvedano ampi margini di miglioramento (The Question Why, I Think I Love You Too Much, Stay At Mine, Time Might Never Come). Tuttavia, è necessario dare a Cesare ciò che è di Cesare: in Time Has Gone non ci saranno grandi canzoni, ma di sicuro c’è uno che la chitarra la sa suonare bene (ascoltare la performance Gilmour addicted sulla lunga Time Might Never Come, il miglior brano del disco, e ve ne renderete conto). Poole, e questo mi piace molto, non sbrodola mai, ha tocco elegante e i tempi giusti per l’assolo, preferisce togliere che aggiungere, esplicita tutti i riferimenti ai grandi del passato (Robben Ford, David Gilmour, Jeff Beck), ma in definitiva possiede uno stile già personalissimo. Insomma, se adesso  è in tour con Beth Hart, una che si è ricostruita la carriera a fianco del grande Joe Bonamassa, qualche motivo ci sarà. In attesa di sviluppi compositivi di livello superiore, Ben Poole è comunque un chitarrista da tenere d’occhio, soprattutto se dovesse venire a suonare dalle nostre parti.

VOTO: 6,5





 Blackswan, giovedì 02/06/2016

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