domenica 19 giugno 2016

THE SHELTERS – THE SHELTERS



Ancora non se ne parla abbastanza, ma fra brevissimo, ne sono sicuro, gli Shelters riempiranno le pagine delle riviste specializzate. Formatisi nel 2015 a Los Angeles, la band composta da Chase Simpson, Josh Jove, Sebastian Harris, e Jacob Pillot ha, infatti, goduto fin dagli esordi di uno sponsor coi fiocchi. Stiamo parlando di un certo Tom Petty che, dopo averli visti suonare dal vivo, se ne è letteralmente innamorato, tanto da mettere a disposizione il suo studio casalingo, dove gli Shelters hanno potuto registrare un primo EP. Il rapporto fra la band e il chitarrista si è così intensificato, tanto che Petty non solo li ha voluti in tour a supporto dei suoi Mudcrutch, ma ha messo mano anche alla produzione del loro disco d’esordio. The Shelters, tuttavia, si muove lontano dai territori frequentati dalla musica del biondo songwriter e sembra guardare maggiormente dall’altra parte dell’oceano, verso un british pop rock innervato di chitarre rombanti e attraversato da visioni psichedeliche. Niente però di particolarmente vintage: il disco suona freschissimo, le canzoni sono di ottima fattura e i quattro ragazzi ci sanno fare. Vero è che il disco si muove su quel sottile confine che separa il rock dal pop e che, a prescindere dal suono graffiante, sono le melodie a farla da padrone; però è vero, per converso, che la qualità di scrittura resta sempre di ottimo livello e la scaletta è solida e non prevede filler. Rebel Heart, singolo apripista, raggiunge l'esatto punto di fusione fra il jingle jangle dal sapore byrdsiano e una melodia brit pop dagli accenti vagamente psichedelici, mentre Birdwatching pigia il piede sull’acceleratore (il cantato nasale ricorda Petty, ma si intravedono anche echi di Weezer e Oasis), e Liar, invece, si gioca un grande ritornello attraversato ancora una volta da echi psichedelici. Una tripletta iniziale che non lascia indifferenti e che ben dispone all’ascolto di quello che verrà. L’amore verso il pop rock britannico diviene esplicito con la bella cover di Nothin’ In The World Can Stop Me Worryin’ ‘Bout That Girl dei Kinks (l’originale la trovate su Kinda Kinks del 1965). Surely Burn è ancora indebitata con gli anni ’60, i Kinks e i Beatles. The Gosth Is Gone, che con i suoi cinque minuti abbondanti è il brano più lungo del disco, chiama in causa addirittura i Doors e una vena di psichedelia notturna scossa da un’improvvisa deflagrazione chitarristica. Gold e Dandelion Ridge sono beatlesiane al midollo, e anche Fortune Teller deriva geneticamente dalla penna di Lennon. Le conclusive Born To Fly e Down sono le più pettyane del lotto, con la prima che replica, nota per nota, l’intro di Love Is A Long Road (se non ci fosse stato Tom Petty in cabina di regia sarebbe partita una causa civile per plagio). A prescindere dalle innumerevoli citazioni (o forse proprio per questo), il disco funziona meravigliosamente, suona grintoso e solare, e, grazie ai tanti ganci melodici e a un mood da finestrini abbassati e capelli al vento, si accredita per essere uno degli album che maggiormente segnerà la nostra estate in rock. 

VOTO: 7





Blackswan, domenica 19/06/2016

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