domenica 14 agosto 2016

BRANDY CLARK – BIG DAY IN A SMALL TOWN



Usciamo immediatamente dall’equivoco: definire Brandy Clark come la salvezza dell’alternative country e ricoprirla di elogi come gran parte della stampa americana (e non solo) sta facendo (vedasi, ad esempio, Rolling Stone) sembra essere la classica pisciata fuori dal vaso. La Clark è senz’altro un’artista molto in voga, ha scritto canzoni un po’ per tutti, da Miranda Lambert  a Billy Carrington, solo per citare un paio di nomi, e ha ricevuto anche una nomination ai Grammy Awards 2015 come Best New Artist. Già, perché stufa del ruolo di ghost writer all’ombra di più celebri colleghi, Brandy ha deciso di crearsi una propria carriera solista, pubblicando prima un Ep nel 2012, e poi un full lenght dal titolo 12 Stories, uscito nel 2013. Big Day In A Small Town è, dunque, la seconda prova in studio di questa cantante originaria di Morton (Washington), ma da anni di stanza a Nashville, che sta vivendo, da qualche tempo, sulla cresta dell’onda. Eppure, nonostante la quasi quarantenne Clark sia dotata di una voce davvero niente male e goda di ottima stampa, parlare di americana a proposito di questo disco è un po’ come definire 50 Sfumature Di Grigio un film porno. Infatti, di country, nelle undici canzoni che compongono la scaletta, c’è poco o niente, e quel che c’è, peraltro, è concentrato tutto nella comparsa estemporanea di qualche strumento della tradizione. Allora, diciamolo chiaramente, visto che non abbiamo case discografiche che ci sponsorizzano per scrivere cazzate: Big Day In A Small Town è, sic et simpliciter, un disco di pop. Sotto quest’ottica, un po’ controcorrente, possiamo metterci a fare un ragionamento più serio. Perché, quando è chiaro che di roots in questo disco non c’è nemmeno l’ombra, possiamo, senza creare false aspettative, giudicare la musica della cantautrice nashvilliana solo per ciò che è in realtà. Brandy Clark allestisce, dunque, un filotto di canzoni impeccabili, patinate, pulite, arrangiate con gusto e suonate da una band di fuoriclasse (Fred Eltringham alla batteria, Keith Gattis alla chitarra, John Deaderick al piano). Ma il piano di lettura, l’unico, resta quello del passaggio radiofonico, del sottofondo gradevole, di una musica che vive nell’immediatezza dell’ascolto, e poi non lascia altro. Non c’è nulla di male in questo e personalmente non ho preconcetti. Il punto, semmai, è non vendere per americana ciò che americana non è (d’altra parte, come ben sanno i nostri lettori, tutto ciò che arriva da Nashville deve essere preso con le molle). In questo album, infatti, non c’è un capello fuori posto, tutto il contrario, cioè, di quell’immaginario a stelle e strisce composto di highways, decapottabili, orizzonti a perdita d’occhio e vento che scompiglia la zazzera. Allora, se cercate un buon disco di country, andate a bussare a un’altra porta. Se, invece, volete un po’ di zucchero nella vostra giornata, Brandy Clark farà senz’altro per voi.

VOTO: 6





Blackswan, domenica 14/08/2016

2 commenti:

Bartolo Federico ha detto...

Buon ferragosto Nick.

Blackswan ha detto...

@ Bartolo: a te, mon amì! :)