martedì 9 agosto 2016

PARKER MILLSAP – THE VERY LAST DAY



Dura trentasei minuti la terza prova in studio di Parker Millsap, enfante prodige del roots a stelle e strisce. Poco più di mezz’ora in cui nulla è fuori posto, tutto è indispensabile e straordinariamente centrato. Idee chiare, conoscenza della tradizione, ma una visione moderna della stessa, che permette a Millsap di superare stereotipi e usurati clichè. Originario di Purcell, Oklahoma, Parker aveva già scalato le classifiche americane di genere nel 2014, con un lavoro che aveva attirato su di sé le attenzioni della stanza specializzata, il consenso del pubblico e una prima nomination agli Americana Music Honors And Awards. The Very Last Day rappresenta un ulteriore passo avanti sia a livello compositivo sia nella creazione di un suono che, come si diceva, sta in perfetto equilibrio tra passato e presente. Figlio di un pastore pentecostale, Millsap, infatti, miscela il proprio background gospel e blues con frementi pulsioni rock, confezionando, tuttavia, il prodotto in chiave folk grazie all’apporto decisivo di Daniel Foulks (straordinario violinista) e Tim Laver al pianoforte e all’hammond (al basso c’è Michael Rose e, alla batteria, Patrick Ryan). Il risultato è un disco breve, eppure intenso, sentito, sincero, energico e carico di emozioni. 




La voce di Millsap è straordinariamente potente e volitiva, si sposa perfettamente con le tonalità più blues, e risulta graffiante, quando il ragazzo rockeggia, e languida, invece, quando il passo lento della ballata viene a sfiorarci le corde dell’anima. Difficile togliere questo cd dal lettore, una volta che si inizia ad ascoltarlo: non c’è un filler che sia uno e tutto ci lascia a bocca aperta, in attesa della sorpresa successiva. Si inizia con il guizzo rock acustico di Hades Pleads, dall’incedere nervoso e con il violino di Foulks in evidenza, e si continua con il movimento sinuoso della divertita e solare Pining, il primo singolo tratto dall’album: due modi diversi di esprimersi, legati, però, fra loro dal fille rouge di una voce ispiratissima e da una band che fa dell’artigianato un prodotto d’eccellenza. Morning Blues è 100% american sound e vede protagonista la voce di Parker, capace di svariate modulazioni. Heaven Sent, sofferto racconto di un’omosessualità nascosta, è il vertice emotivo dell’album: strofa che paga debito a The River di Springsteen e ritornello di una bellezza che lascia storditi. You Gotta Move, blues da canicola interpretato con devozione filologica, è un classico dal repertorio di Mississippi Fred McDowell (su Sticky Fingers trovate la cover che ne hanno fatto i Rolling Stones), Hands Up sfodera una sudatissima grinta rock, mentre Jealous Sun è un breve, limpido acquarello folk. Chiude Tribulation Hymns, emozionante finale dai toni quasi ieratici, che racchiude in sé un suono antichissimo. Se, in questi ultimi anni, si può parlare di rinascita di un solido movimento alternative country, lo si deve anche a dischi come The Very Last Day e a questo giovanissimo autore, che insieme a Jason Isbell, Chris Stapleton, Sturgill Simpson e John Fullbright, solo per citare alcuni dei nomi più noti, sta dando nuovo lustro a un suono che sembra aver ripreso un’inaspettata forza innovativa. 

VOTO: 9





Blackswan, martedì 09/08/2016

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