giovedì 15 settembre 2016

NICK CAVE & THE BAD SEEDS– SKELETON TREE



E’ difficile, se non impossibile, raccontare il nuovo disco di Nick Cave, senza prima soffermarsi a riflettere sul concetto di arte. In tal senso, giova chiedersi cosa noi intendiamo per arte. Si potrebbe tener buona quella definizione per cui l’arte è l’espressione estetica della interiorità umana. Una definizione appropriata, che però contiene un intrinseco limite racchiuso nella parola “estetica”. L’arte, per essere tale, deve possedere, infatti, un’estetica, un linguaggio, una cifra formale che la trasformi in messaggio universale. Diversamente, tutto ciò che proviene dal nostro interiore, potrebbe fregiarsi di un valore che in realtà non ha. Non basta, dunque, la manifestazione di un palpito, un dolore, una gioia per renderci artisti; né sono di per sé sufficienti un’intuizione o un colpo di genio. Il talento, perché possa essere compreso, deve essere codificato, deve possedere consapevolezza, deve esser frutto di un ragionamento aprioristico e programmatico. Diversamente, anche una grande illuminazione evapora nel silenzio dell’incomprensione altrui. Perché l’arte sia tale, quindi, il soliloquio interiore e il linguaggio della nostra intimità devono farsi universali. E ciò avviene attraverso l’esercizio culturale più difficile: il distacco dalla materia. A prescindere da ogni valutazione sui suoi contenuti, Skeleton Tree, sedicesimo capitolo della discografia di Nick Cave in condominio con i suoi Bad Seeds, viola palesemente l’assunto di cui sopra. Alla genesi del nuovo disco, infatti, c’è la morte del figlioletto di Cave, Arthur, precipitato da una scogliera nel luglio dello scorso anno, probabilmente sotto l’effetto di sostanze psicotrope. Una tragedia immensa, questa, che incombe come un macigno su ogni singola nota del disco. Che non è l’opera, ancorché sofferta, di un uomo che cerca di rielaborare un lutto; Skeleton Tree è, invece, il lutto stesso. Nessuna distanza dalla materia, dunque: Nick Cave non parla del dolore, semmai lo vive, nota dopo nota, parola dopo parola. Manca, pertanto, ogni forma di rielaborazione artistica, cosìcche il de prufundis caveiano diviene soliloquio, narrazione fine a sé stessa, ossessivo rimuginare sulla propria anima lacerata. A ben vedere, quindi, questo immenso dolore ha il linguaggio di un intimismo esasperato e non riesce mai a tradursi in dialogo con l’ascoltatore. Resta lettera morta, ripetuta ossessivamente a sé stesso. La tenebra, i fantasmi, il senso di tragedia imminente  avvolgono del loro manto nero ogni afflato vitale, impendendo la condivisione con il mondo circostante, con il pubblico. L’aura crepuscolare e notturna, che da sempre ammantava Cave, non a caso definito Re Inchiostro, perde il valore letterario di escamotage artistico, e si trasforma in realtà. Non ci sono più filtri e le livide ombre della notte divengono il quotidiano dell’esistenza. Così, brani come Jesus Alone, Magneto, Anthrocene, per citarne alcuni, raccontano una sofferenza che possiamo solo intuire, che percepiamo incombente e soffocante, e di cui comprendiamo il motivo, ma che, alla resa dei conti, non riusciamo mai a sentire come nostra. Anzi, per assurdo, questa musica, così dolorosamente enfatica, finisce per suonare fredda, e vive a distanza siderale dalle nostre anime, almeno rispetto a quelle anime che non sono mai state toccate da un dolore tanto totalizzante. E’, dunque, arte, questa? No, non lo è. E, per arrivare al cuore della narrazione che a noi interessa, Skeleton Tree è un buon disco? Riascoltato, più e più volte, io non ho ancora una risposta certa. Il limite è tutto personale: ammetto con franchezza che non riesco a comprendere queste canzoni fino in fondo e per quanto nutra per Cave sentimenti affettuosi di lunga data, preferisco sospendere il giudizio piuttosto che darne uno parziale o inesatto. Perché, qui, ne converrete, la musica è solo un pretesto: ovunque, infatti, risuona l’Apocalisse, e la morte aleggia inquietante, mentre un uomo si mette a nudo, nella disperazione di una disgrazia esiziale. Posso giudicare la musica, non il dolore altrui. Distanza dalla materia.

VOTO: Per le ragioni poc’anzi espresse, ritengo superfluo inserire un voto.





Blackswan, giovedì 15/09/2016

5 commenti:

Silvano Bottaro ha detto...

Grande recensione.

Blackswan ha detto...

@ Silvano: Grazie ! :)

Bartolo Federico ha detto...

Sono d'accordo.

Unknown ha detto...

Mi levo il cappello, grande Nick. (tutti e due)

Cannibal Kid ha detto...

Per quanto mi riguarda invece la musica di Nick Cave non mi ha mai emozionato un granché, a parte qualche singolo brano, mentre con questo album è riuscito a toccarmi nel profondo per la prima volta.