sabato 17 settembre 2016

VITTORIO BONGIORNO - CITY BLUES



Vittorio Bongiorno è un’ottima penna. Scrittore siciliano trapiantato ormai da molti anni a Bologna, prima di City Blues ha pubblicato romanzi quali Il bravo figlio e Il Duka in Sicilia. Per capire il talento del personaggio, basti sapere che Fernanda Pivano in persona circa 10 anni fa scrisse un articolo intero sul Corriere della Sera per elogiarne la scrittura. Nota personale ancora più attraente (almeno per noi che siamo appassionati di musica) è il suo essere chitarrista, costruttore di cigar-box guitars e alla costante ricerca di chitarre vintage…vi basta?
Ammetto che mi sono avvicinato a City Blues con un po’ di supponenza. Di scrittori italiani che parlano di musica se ne contano una miriade, però sono pochi quelli che in questi anni di letture sono riusciti ad intrattenermi e incuriosirmi. L’obiettivo dichiarato del libro ha, comunque, prevalso su qualsiasi ritrosia: il resoconto di tre viaggi distinti a Los Angeles, Berlino e Detroit per cercarne il “suono”. Non però il suono di un genere o di una band, ma il sound della città, la sua voce, il suo rumore di sottofondo. Non semplice ma soprattutto non banale.
Sin dalla prima pagina vengo introdotto in una scrittura leggera ma appassionata, semplice ma gustosa e soprattutto senza troppi fronzoli. Bongiorno è un amante viscerale della musica e racconta in prima persona questa passione mentre si addentra nelle viscere di Los Angeles, la prima città che incontriamo nel libro. Sinceramente, è anche il racconto che mi ha maggiormente coinvolto. La Città degli Angeli, quando l’ho visitata, mi ha lasciato il sapore di una megalopoli senza orientamento, un pazzo agglomerato di tutto e di niente che si susseguono. Come darle una unicità? Bongiorno invece riesce a coglierne l’essenza, scoprendo di fatto la vera fonte di L.A.: il deserto. E così il discorso prende tutta un’altra piega ed incontriamo i fantasmi di Gram Parson, l’ispirazione del Rancho de La Luna, gli echi degli U2. Bello, bello, bello, soprattutto perché il viaggio viene fatto con la moglie Francesca e questo racconto quasi a due voci sembra dare un senso a tutta la musica che in queste pagine “gira intorno”. Il segreto del rock (o folk, o americana, o blues come volete chiamarlo) sta tutto nel vivere ogni canzone sulla propria pelle.
E così il discorso continua con Berlino e Detroit, ovviamente due mondi diversi. Ma per entrambe, come per Los Angeles, il lavoro di ricerca, incontri e discussioni trova il suo compimento. Esiste un “sound” latente, un battito primordiale, un sottofondo quasi impercettibile che le rende uniche. Il resto poi lo sappiamo: David Bowie e Iggy Pop nel freddo berlinese, gli MC5 tra le fabbriche di automobili di Detroit.
Alla fine del libro non resta altro da fare che ricominciare, dischi alla mano, e ri-ascoltare tutti i dischi e i musicisti citati, riflettendo sul fatto che qualunque libro al mondo che ci invogli così tanto ad ascoltare musica è un’opera riuscita. Bello.  


Melonstone, sabato 17/09/2016

2 commenti:

Offhegoes ha detto...

Mi hai incuriosito Melonstone....

melonstone ha detto...

@Offhegoes: è scritto con sincerità e passione, quasi un romanzo di formazione