giovedì 6 ottobre 2016

CHELLE ROSE – BLUE RIDGE BLOOD



Fulmine a ciel sereno e amore a primo ascolto. Ecco le prime due cose che mi vengono in mente, mentre inizio a scrivere di Blue Ridge Blood, terzo capitolo della discografia di Chelle Rose, giunto nei negozi dopo il fortunato The Ghost Of Browder Holler, datato 2012. Non sto parlando di avvenenza fisica, ovviamente, che in questo caso è solo un contorno sfizioso. E’ proprio il disco che crea dipendenza: basta metterlo nel lettore una sola volta e questo cd riempirà le vostre giornate senza soluzione di continuità. Vale la pena, prima di entrare nel merito del disco, soffermarci sulla vita di Chelle Rose. Lei cresce nell’East Tennesse, poi nel 1996 si trasferisce a Nashiville dove studia e inizia la gavetta musicale. Nel 2000 pubblica il suo disco d’esordio, Nanahally River, che non ha alcun riscontro di vendite; poi, si sposa, mette al mondo due bambini, e inizia un lavoro ordinario. Ma le cose non vanno come dovrebbero: il suo matrimonio naufraga e la musica torna a occupare tutti i suoi pensieri. Lascia Nashville e torno nell’East Tennesse, in una cittadina alle pendici dei monti Appalachi, dove è cresciuta con la nonna materna, deceduta nel 2014 e a cui il disco è dedicato. Un ritorno alle origini, dunque, alle proprie radici, ai suoni della propria terra. E’ il richiamo del sangue, quello che da il titolo all’album e che porta con sè i profumi, i colori, la natura delle Blue Ridge Mountains, quella sezione dei monti Appalachi che Rose conosce come le sue tasche. 





Ma qui viene il bello: se pensate di trovarvi di fronte a un disco di folk siete clamorosamente fuori strada. La Rose, infatti, appronta una scaletta di rock blues elettro acustico, plasma la materia arricchendola di sonorità roots, e la trasforma con la sua straordinaria voce, capace di riprodurre il timbro strascicato e sofferto di Lucinda Williams oppure di sputare fiotti di rabbia e amarezza come solo Patti Smith sa fare (e in definitiva Chelle Rose è una sintesi perfetta fra le due). Le canzoni raccontano la storia della songwriter, il rapporto con la propria famiglia e i luoghi dell’infanzia, e indagano sull’essere umano, su anime in bianco e nero, in cui i rari momenti di luce si perdono in un buio incombente e maligno. In tal senso, Blue Ridge Blood è un disco i cui momenti morbidi sono distillati con il contagocce: forse la sola Laid Me Down, illanguidita dal pianoforte, porta un po’ di sole in scaletta (anche se c’è la voce arresa della Rose a ricordarci che la notte è in agguato là fuori). Il mood prevalente, invece, è crepuscolare, le ballate sono torbide e mai condiscendenti verso la melodia, i brani sono comunque e sempre attraversati da frementi scariche elettriche e distorsioni, che esplodono nel ringhio noise rock definitivo della superba Gypsy Rubye. Se è vero che ogni genere ha una sua dark lady, oggi possiamo tranquillamente dire che anche l’americana ne ha trovata una. Si chiama Chelle Rose e ci ha regalato uno dei dischi più belli, sinceri ed emozionanti del 2016. Produce George Reiff e benedice Buddy Miller (tredici Grammy Awards vinti), che prende in mano la chitarra per santificare la title track.

VOTO: 9





Blackswan, giovedì 06/10/2016

2 commenti:

Lucien ha detto...

Lo sto ascoltando proprio ora: che figata!

Blackswan ha detto...

@ Lucien: si, davvero un grande disco!