martedì 20 dicembre 2016

NEIL YOUNG – PEACE TRAIL (Reprise, 2016)



Per recensire correttamente l’ultima fatica del buon vecchio zio Neil, occorre avventurarsi in un paio di riflessioni, indispensabili per una corretta guida all’ascolto. La prima è che il canadese, come succede a molti artisti quando si trovano ad affrontare gli ultimi anni di carriera, è divorato dal fuoco di una creatività coatta, come se si costringesse, consapevole del poco tempo rimastogli, a pubblicare tutto quello che gli passa per la testa (sono ben quattro i dischi in studio pubblicati negli ultimi due anni, a cui si deve aggiungere anche il live Earth). Ne deriva che il risultato di questa “fretta artistica” non sempre è all’altezza delle aspettative e molto del materiale prodotto nell’ultimo decennio, avremmo preferito rimanesse a prendere polvere in un cassetto. La seconda considerazione, invece, riguarda i contenuti di una musica che, nel corso degli anni, si è fatta sempre più politicizzata. Young, infatti, sta combattendo la propria personale battaglia a favore dell’ecosistema, contro le lobbies del potere, la politica guerrafondaia dei vari governi che si sono succeduti alla Casa Bianca e da ultimo, contro Trump. Un intento assolutamente commendevole, ma che finisce per premiare i contenuti del messaggio (a volte fin troppo verboso) a discapito della qualità delle composizioni. Peace Trail è dunque un disco figlio di queste due circostanze: canzoni composte durante il tour promozionale di Earth, registrate in pochi giorni presso i Shangri-La Studios di Rick Rubin (che produce), scarne ed essenziali negli arrangiamenti (a fianco di Neil ci sono i soli Jim Keltner alla batteria e Paul Bushness al basso) e politicizzate nella sostanza. E se, da un lato, bisogna applaudire l’ostinazione con cui il canadese sta in piedi sulla barricata a declamare con coraggio versi di militanza civile, per converso non si può fare a meno di prendere atto di un’ispirazione che non riesce mai a decollare. A dire il vero, non ci sono canzoni pessime e nella prima parte (la seconda è decisamente più anonima) l’ascolto è anche piacevole. Il tutto, però, alla resa dei conti, suona prescindibile, e lo sforzo prodotto dal terzetto (affiatato nonostante i pochi giorni di lavorazione) viene vanificato da qualche sbadiglio di troppo. Insomma, Peace Trail è l’ennesimo disco dell’ultimo Neil Young: non così brutto da meritare la stroncatura ma, salvo un paio di episodi riusciti (la title track e Glass Accident), sostanzialmente inutile.

VOTO: 6





Blackswan, martedì 20/12/2016

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