lunedì 29 febbraio 2016

IL MEGLIO DEL PEGGIO





Riceviamo dalla nostra freelance Cleopatra e integralmente pubblichiamo

"Il limite della politica è la natura. E il limite della natura è Alfano" (Spinoza).

Ognuno ha gli Angelini che si merita. Anzi, i Verdini, checchè ne dicano i renzianissimi del Pd. 
Il toscano Denis, ex braccio destro di Silvietto pare sia diventato decisivo per il Magnifico Premier. Diciamocela tutta: che Matteone non volesse la stepchild adoption appariva chiaro fin dalla notte dei tempi. Si fa fatica a credere che un democristiano come lui avrebbe sacrificato il proprio destino politico in nome di una battaglia come quella per le adozioni delle coppie omoaffettive. 
La melensa retorica con cui infarcisce tutti i sermoni da riformatore de' noantri può aver fatto presa sugli italiani "distratti", quelli che leggono solo i bugiardini delle medicine, per intenderci. Ma non tutti se la sono bevuta. Renzi ha fatto sì credere di ergersi a paladino dei diritti civili ma difficilmente sarebbe andato a sbattere contro le mura vaticane. Men che meno avrebbe scompaginato l'area cattolica interna al suo partito. Una simile mossa avrebbe compromesso la stabilità del governo. E la sua poltrona. 
Con muso duro, Renzi dapprima lancia un ultimatum agli alleati, Angelino in testa, minacciando di scendere a patti con i grillini per l'approvazione del ddl Cirinnà, senza stralciare la stepchild adoption. Sullo sfondo, il caimano Verdini osserva. Si muove nella palude, in attesa. Qualcosa prima o poi accadrà. Un impasse del Movimento 5 Stelle e lo scenario cambia. Il timore di una possibile caduta di consenso elettorale induce Beppe Grillo a ricorrere al voto di coscienza sul tema adozione. Colpo di scena: l'emarginato Angelino ora alza la voce, minaccia sfracelli contro il Governo. Arriva persino a lanciare l'idea di un asse con i 5 Stelle per sabotare il ddl Cirinnà. Renzi, allora, coglie l'occasione d'oro per tendere un tranello ai rivali grillini: far votare l'emendamento canguro ben sapendo che il Movimento 5 Stelle, per coerenza, avrebbe rispedito la proposta al mittente. Cade il canguro e dunque i 5 Stelle diventano i traditori della patria. E non è finita. Sorprendentemente viene posto il voto sulla fiducia al governo. Con il barbatrucco di trasformare un provvedimento parlamentare in un voto di fiducia al governo. Renzi si porta a casa la fiducia di tutto il Pd, in barba all'ineffabile Bersani. Incassa pure quella di Angelino & C. e, udite udite, entra in maggioranza niente popo di meno che la Premiata Ditta Verdini. Con il risultato che i pentastellati sono brutti, sporchi e cattivi, mentre Denis Verdini si accredita il ruolo di interlocutore fidato del Premier. E bravo Matteo: nemmeno il Principe di Niccolò Machiavelli sarebbe arrivato a simili nefandezze. 

Carlo Giovanardi (Ncd) : "Se il presupposto delle unioni civili è l'amore, allora qualsiasi combinazione dovrà essere riconosciuta come tale".

Angelino Alfano (Ncd), dopo lo stralcio sulla stepchild adoption: "E' stato un bel regalo all'italia avere impedito che due persone dello stesso sesso cui lo impedisce la natura, avessero la possibilità di avere un figlio. Abbiamo impedito una rivoluzione contro natura e antropologica".

Antonio Razzi: "Adozione del figliastro: ma un etero che diventa gay, è normale? Io pensavo che essere omo fosse naturale invece sembra di no, allora perchè?"

Cleopatra, lunedì 29/02/2016

sabato 27 febbraio 2016

GREEN RIVER ORDINANCE – FIFTEEN



La produzione musicale americana proveniente a noi (ma anche non proveniente a noi) rappresenta un giungla sterminata nella quale è veramente un attimo smarrirsi. E siccome è impossibile stare dietro a tutto, talvolta si rischia di sottovalutare qualche gruppo (o artista), o peggio ancora perderselo completamente. Così, mi ritrovo per le mani il nuovo disco dei Green River Ordinance e penso, guardando i giovani volti dei componenti, che si tratti di una band all’esordio, riuscita a emergere fortunosamente dall’immenso sottobosco texano. E invece, no: questo quintetto originario di Fort Worth è in circolazione da quindici anni (come il titolo dell’album esplicita) e ha all’attivo già quattro album in studio e un live, per altro ben apprezzati sia dalla critica che dal pubblico (gli ultimi tre dischi sono tutti entrati nelle charts a stelle e strisce). A dispetto della provenienza (Texas), del nome che richiama il titolo di una grande canzone dei Creedence Clearwater  Revival e della line up (quintetto e due chitarre soliste) i Green River Ordinance si tengo lontani tanto dal southern rock dallo swamp e dal blues, mettendo semmai in piedi un bel campionario di Americana, che abbina strumenti elettrici e acustici, e spazia fra morbide ballate e brani invece più grintosi. La scrittura è abbastanza lineare e i brani talvolta posseggono un taglio decisamente radiofonico; tuttavia, i Green River Ordinance, invece di tirar fuori un pugno di canzoni artefatte e buone per la truppa, ci mettono il quid aggiuntivo dell’onestà, un’energica propensione all’assolo e un mood così solare da rendere alcuni passaggi davvero irresistibili, come nell’iniziale Keep Your Cool, grintosa e dal sapore californiano, o nel ritmatissimo country rock di Red Fire Night, o ancora nel finale struggente di Keep My Heart Open, che è proprio il caso di dirlo è un ballatore a cuore aperto e lacrime in tasca. Particolare non banale e che merita una menzione, è il fatto che i cinque ragazzi hanno partecipato, negli anni scorsi, a una commendevole iniziativa, regalando le proprie canzoni a un progetto di raccolta fondi per i meno abbienti. Circostanza, questa, che me li rende ancora più simpatici.

VOTO: 7





Blackswan, sabato 27/02/2016

BORA KILLER: LA PRIMA DEL LATO A

mercoledì 24 febbraio 2016

WOLFMOTHER - VICTORIOUS



Quando nel 2005 uscì l'omonimo esordio dei Wolfmother, devo ammettere che ne rimasi favorevolmente impressionato. Quel disco era un incredibile coacervo di citazioni, pescate a mani basse dall'hard rock anni '70: ciò nonostante, l'approccio mi parve così divertente e divertito, e lo spirito così sinceramente entusiasta, che mi sentii risucchiato nuovamente in quella gloriosa stagione di basettoni, zeppe e zampe d'elefante. Insomma, quantunque i Wolfmother apparissero come il gruppo più derivativo del mondo, il corretto taglio filologico e la rozza, ma efficacissima, applicazione dello stesso, mi fece innamorare di un album che non aveva alcun merito se non quello di raccontare i Blue Cheer e i Led Zeppelin alle nuove generazioni che non li avevano mai ascoltati prima. Quanto può durare un'operazione di questo tipo? Poco, pochissimo. Se l'avessero finita lì, se si fosse trattato di un episodio isolato o l'estemporaneo progetto parallelo di chi ha una propria casa madre, forse adesso ci ricorderemmo dei Wolfmother con sincero affetto. Invece, sull'onda di quell'eclatante e inaspettato successo, Andrew Stockdale, padre e padrone del marchio di fabbrica, dopo aver cambiato la formazione iniziale, ha proseguito sulla medesima strada, dissipando, con due dischi, invero parecchio modesti (Cosmic Egg del 2009 e New Crown del 2014), quel patrimonio di simpatia accumulato con il primo album. Né, mi pare, abbia giovato molto per Stockdale tentare la carta solista, visto che Keep Moving del 2013, pur meritevole negli intenti, palesava una certa confusione a livello compositivo, come se il quarantenne chitarrista originario di Brisbane non sapesse bene che pesci pigliare. Alla luce di quanto sopra, Victorious appare un pò come l'ultima spiaggia e non è un caso che la produzione sia stata affidata a Brendan O'Brien, uno che avrà anche la mano pesante, ma  soprattutto ha le idee molto chiare e riesce a spremere il sangue dalle rape. E a questo punto, arriviamo al disco, che potrei anche censurare come l'ennesimo passo falso della band, sicuro che nessuno avrebbe nulla da ridire. Invece, non posso farlo, perchè in Victorious, a differenza delle ultime prove, ho trovato un rinnovato entusiasmo e alcuni aspetti positivi. La produzione di O'Brien, infatti, giova al quadro d'insieme, garantendo alle dieci tracce dell'album un'omogeneità di suoni costantemente in bilico fra appeal radiofonico e ruvidezze hard. Stockdale, dal canto suo, arricchisce la solita zuppa con nuovi ingredienti, spostando il tiro dai consueti clichè seventeis verso composizioni che si aprono a uno stile più moderno e forse, lo sapremo in futuro, più personale. Così, se l'iniziale Love That You Give è la sorella minore di Woman e la title track suona potente e ariosa, indossando abiti prog, Baroness, ad esempio, sposta il tiro verso sonorità AOR, giocandosi le carte migliori su un ritornello piglia tutto. Lo stesso tentano di fare Best Of A Bad Situation sul versante power pop e Pretty Peggy, balata zuccherina che tira in causa Coldplay e Mumford & Son, ma con meno originalità (anche se da un punto di vista squisitamente commerciale, i due brani citati si pongono come punto di forza del disco). Victorious, quindi, è tutto sommato un disco con cui i Wolfmother tentano un piccolo azzardo e mettono sul piatto qualche buona canzone, mantenendo una dignità di fondo compensata però da alcune incertezze sul piano compositivo. Insomma, a dispetto del titolo, i Wolfmother paiono ancora lontani da una rotonda vittoria; tuttavia, rispetto alle passate sconfitte, questo disco si chiude con un sostanziale pareggio che fa bene al morale. Impossibile parlarne bene, ma altrettanto ingiusto recensirlo male.

VOTO: 6





Blackswan, mercoledì 24/02/2016


AMERICANA

MONOPLAY: PEARL JAM

martedì 23 febbraio 2016

THE SOUNDTRACK OF OUR LIVES - BEHIND THE MUSIC (2001, Telegram)



Quale che sia il vostro genere musicale di riferimento, Behind The Music è un disco che non può mancare sul vostro stereo come in quello di chi non si accontenta del convento Virgin Radio. Basterebbe Sister Surround, seconda traccia in scaletta, per erigere un monumento ai Soundtrack Of Our Lives. Una perla Neo-Psichedelica della quale non si potrà più fare a meno. E’ il classico brano che giustifica le carriere o le salva dall’oblio. Una di quelle canzoni che le band di pischelli cercano di comporre nello scantinato di nonna e quando la trovano ecco che la magia del Rock viene reiterata una volta di più. Attenzione, di brani come questo, i TSOOL ne hanno composto in grande abbondanza. Ecco perché ritengo che la band di Göteborg sia una delle più incredibilmente sottovalutate della storia recente.

Behind The Music avrebbe dovuto essere l’album dello sdoganamento, della consacrazione anche, per così dire, commerciale. Dopo il grande riscontro in Svezia, la Universal intuendone le potenzialità, lo distribuì per mezzo mondo. Modesta la promozione, modesti i risultati. Ok, nel 2003 Ebbot Lundberg (vc), Ian Person (ch), Mattias Bärjed (ch), Martin Hederos (ts), Kalle Gustafsson Jerneholm (bs), Fredrik Sandsten (dr), ebbero il classico quarto d’ora di celebrità alla Warhol. Candidatura ai Grammy nella categoria Best Alternative Music (la medaglietta andò ai Coldplay). In seguito, niente di più.

L’album uscì lo stesso anno di White Blood Cells dei White Stripes e degli esordi di Black Rebel Motorcycle Club e Strokes. Sono questi gli artisti che domineranno la scena Rock del 2001. Copertine sui tabloid che contano, successo di vendite, critica entusiasta. Indie e Alternative escono finalmente dalle loro camerette, spesso disadorne, per ritrovare il pubblico affamato di chitarre chiassose ed espliciti riferimenti al glorioso passato. Tornano di moda, una volta di più, Velvet Underground, Television, T-Rex, Jesus & Mary Chain, il Blues e il Punk. Terreno quindi fertilissimo per una nuova e auspicata ondata elettrica. Ma, come ho già accennato, non fu così per i TSOOL. Rimarranno inspiegabilmente e per tutta la loro storia, che si concluderà nel 2012 con Throw It To The Universe, un privilegio per pochi. Una delle più importanti band degli ultimi due decenni relegata al solito ruolo di culto. 




Ma veniamo al disco. Il titolo è di per sé programmatico, Infra Riot il brano perfetto per introdurlo. Una Pop song, accattivante e solare nel suo incedere orientaleggiante, perfetta per qualsivoglia juke-box temporale. Da subito il sorriso s’impadronisce dei visi, passa qualche secondo e parte Sister Surround della quale abbiamo già raccontato le meraviglie. E’ fatta, la cotta per i TSOOL non passerà mai più. Se questi due brani iniziali valgono da soli il prezzo del biglietto da qui in poi, ci viene regalato, tutto il caleidoscopio sonoro della band. Tutto il manuale. Super Furry Animals, Gomez, Bevis Frond, le note a margine. Stones, Love, Open Mind, quelle a piè pagina. Ai momenti più cupi rappresentati da Broken Imaginary Time (non sarebbe dispiaciuta al Robert Wyatt di Shleep e dei lavori più recenti), Tonight e In Your Veins (brividi per voce, piano e grande orchestrazione), si alternano pezzi incalzanti come 21st Century Rip Off, Independent Luxury, The Flood. Difficile comunque escludere brani da non mandare a memoria. Riascoltato oggi, Behind The Music, restituisce intatta la sensazione di abbagliante splendore che ci catturò, nel 2001, alla sua uscita. Caratteristica, quest’ultima, che contraddistingue i capolavori d’ogni epoca.

Se vi è piaciuto o vi piacerà questo fantastico disco non disdegnate gli Union Carbide Productions, primissima band di Lundberg e compagni, quattro album di Grande Rock. Le prove generali per lo spettacolo Soundtrack Of Our Lives. Come dice il mio farmacista: se non ti fa bene neanche questo, rassegnati! 






Porter Stout, martedì 23/02/2016