martedì 21 marzo 2017

LOUISE ERDRICH – LA CASA TONDA



La Casa Tonda è un romanzo insolito, almeno per tutti coloro che non hanno mai affrontato la prosa di Louise Erdrich. Insolito, in primo luogo, perché nonostante le indicazioni fuorvianti della sinossi in quarta di copertina, siamo ben lontani dal genere thriller, artatamente suggerito. La trama, semmai, parte da uno spunto noir (la brutale aggressione subita dalla mamma del protagonista), che serve a creare inquietudine, ma che in realtà svolge nello sviluppo del romanzo un ruolo, tutto sommato, marginale. Insomma, mancano tutte quelle caratteristiche che sono tipiche della narrazione gialla: ritmo incalzante, colpi di scena, un’indagine da sviluppare e un assassino da scoprire. Insolito, inoltre, perché l’azione si svolge in una riserva indiana del North Dakota e vede per protagonista una comunità di nativi americani, caratteristica che distingue quasi tutta la produzione letteraria della scrittrice originaria di Little Falls e appartenente, per discendenza materna, alla tribù degli Ojibway. E’ questo, quello che potremmo definire l’aspetto più suggestivo del romanzo, dal momento che la Erdrich si abbandona a frequenti digressioni sulla cultura indiana, le sue tradizioni, la sua mitologia e, soprattutto, sui complessi rapporti fra la comunità autoctona e quella bianca, animata, nella maggior parte dei casi, da un atavico razzismo. In questa cornice particolare, si svolge la vicenda del tredicenne Joe, la cui vita familiare viene stravolta dalla efferata violenza perpetrata nei confronti della madre: lo sgomento, il dolore e la paura si fanno largo nel cuore dell’adolescente che, per la prima volta, deve misurarsi col mondo degli adulti e con dinamiche finora sconosciute. In tal senso, La Casa Tonda è soprattutto un romanzo di formazione, che sfiora per contenuti e ambientazione (siamo nel cuore dell’America rurale) quella celebre novella a firma Stephen King, dal titolo Il Corpo (poi, trasposta al cinema da Rob Reiner col titolo di Stand By Me). Un percorso, quello intrapreso da Joe, che lo porterà a riflettere sulla vita e la morte e sulla dicotomia fra bene e male, due entità, queste, strettamente legate da un processo osmotico e difficilmente scindibili. Un atto estremo e la mano crudele del fato segneranno la conclusione di un viaggio (tanto fisico quanto interiore), il cui approdo sarà una nuova dolente consapevolezza e la perdita dell’innocenza. Niente thriller, dunque, ma un romanzo capace di carpire l’attenzione del lettore, grazie a un intreccio sopraffino, a personaggi vividi (su tutti, la coppia di zii, Whitey e Sonja) e a una prosa capace di sposare due diversi registri: quello ironico e divertito che tratteggia la comunità di appartenenza di Joe, e quello riflessivo e impietoso sulle incongruenze di un mondo che non trova pace nemmeno in Dio.


Blackswan, martedì 21/03/2017

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