mercoledì 4 aprile 2018

THE BONNEVILLES - DIRTY PHOTOGRAPHS (Alive Natural Sounds Records, 2018)

Lurgan è uno sputo di città del Nord Irlanda, situata non molto distante da Belfast. Da qui arrivano i Bonnevilles, Andrew Mc Gibbon Jr. (chitarra e voce) e Chris Mc Mullan (batteria), due ragazzi cresciuti a fiumi di birra e tonnellate di rock blues suonato nello scantinato di casa. Niente di strano da quelle parti, visto che il pensiero degli appassionati sarà corso immediatamente a un certo Rory Gallagher, straordinario chitarrista irlandese, la cui breve vita è stata scandita da pinte di scura e dall'amore incondizionato per la musica di Muddy Waters.
Gli anni passano, certo, ma c’è qualcosa di genetico che lega il grande irlandese al giovane duo: lo stesso modo aspro e muscolare di approcciarsi al genere, la stessa incontaminata energia, quella foga che oltrepassa le mode e si concentra solo sul sudore di esecuzioni dirette e prive di ritocchi in fase di produzione.
I Bonnevilles portano nel Dna i cromosomi della storia del grande blues, ma la rileggono con un taglio personale, che centrifuga nello stesso disco anche rock ‘n’ roll primitivo e un pizzico di garage sound, quali segni distintivi di una scarsa propensione al compromesso.
La dualità chitarra – batteria, poi, non è certo una novità, dal momento che questo suono conosce illustri antesignani come White Stripes e The Black Keys, o giovani interessanti, come gli ottimi London Souls o i canadesi Japandroids. Da parte loro, i Bonneviles spostano però il tiro verso un approccio più rumoroso e sporco, infestato di reminiscenze sixties e contaminato da un’attitudine punk e lo-fi, che li rende meno condiscendenti verso le logiche di mercato e li distanzia dai nomi poc’anzi citati. Inutile, quindi, tentare paragoni che finirebbero per stare stretti al duo nord irlandese e rappresenterebbero un’eccessiva forzatura.
I Bonneviles, arrivati al quarto album in studio, dopo l’ottimo Arrow Pierce My Heart del 2016, hanno ormai un sound ben marcato e riconoscibile, un loro modo particolare di plasmare la materia del rock blues, che assume, di canzone in canzone, sfumature hard di derivazione hendrixiana (l’iniziale title track), garage midollare (The Good Bastards), rallenti in chiave folk (The Rebels Shrug) e omaggi alla british school degli anni ’60 (echi degli Yardbirds in By My Side).
Il tutto condito con tonnellate di fuzz e un puzzo alcolico da pub malfamato. Il piglio è selvaggio al punto giusto, il suono è abbastanza vintage da rendere il disco appetibile anche agli appassionati più ortodossi dell’hard blues d’antan e la sincerità è, come dire, in re ipsa. Certo, manca un pizzico di originalità, ma forse il genere nemmeno lo richiede, e la produzione, scarna ed essenziale, rende fin troppo uniforme il quadro d’insieme. Il disco, però, è potente e grintoso, e se cercate il piacere nudo e crudo di una musica verace, Dirty Photographs passerà, spesso e volentieri, dalle casse del vostro stereo.

VOTO: 7





Blackswan, Mercoledì 04/04/2018

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