tag:blogger.com,1999:blog-29819208765749865772024-03-18T10:48:15.257+01:00COME UN KILLER SOTTO IL SOLEBLOG DI MUSICA, LIBRI, ATTUALITA' E AMENITA' ASSORTITEBlackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.comBlogger4155125tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-47826802968525476712024-03-18T09:00:00.001+01:002024-03-18T09:00:00.138+01:00Ros Gos - No Place (Beautiful Losers, 2024)<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-pVwLpKNX1oxj74L6cAJ7XKevQxd3RoPVyZFwveJ1hUkuOHaC3ESXL8Eb8EOjfyyqRkEx2xpagwX9Z89bcjKBCEJdsna-ifPG05xuaeO0XWQEKRA_FgvBQLrINfj0Kaa1PvmJnONfkUxrPSTQU4rLNZ_kzJ6u8ezyBx1JeYNoUSs-Uq3wmq9wcfy1sUs/s1024/ros%20gos%20no%20place.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="1024" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-pVwLpKNX1oxj74L6cAJ7XKevQxd3RoPVyZFwveJ1hUkuOHaC3ESXL8Eb8EOjfyyqRkEx2xpagwX9Z89bcjKBCEJdsna-ifPG05xuaeO0XWQEKRA_FgvBQLrINfj0Kaa1PvmJnONfkUxrPSTQU4rLNZ_kzJ6u8ezyBx1JeYNoUSs-Uq3wmq9wcfy1sUs/s320/ros%20gos%20no%20place.jpg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Ros
Gos, al secolo Maurizio Vaiani, è un poeta dell’anima, un musicista
sensibile, colto e profondo, che non ha paura di viaggiare attraverso il
suo immaginario sonoro, per scandagliare con coraggio le trame, spesso
aggrovigliate, dell’esistenza umana, e osservare, con lucidità ed
empatia, il destino del mondo che lo circonda in questi anni bui, in cui
l’amore vive un impari battaglia contro l’odio, il dolore, la guerra, e
una violenza sempre più ramificata. Da quattro anni, da quando cioè ha
iniziato la sua carriera solista, Ros Gos ha raccontato lo smarrimento
dell’umanità persa nei viluppi di un post folk desertico (<em>Lost In The Desert</em>)
e ci ha guidato, malinconico Virgilio, nello sprofondo dell’inferno
dantesco, vivida metafora di una società alla deriva, abisso etico di un
mondo senza speranza (<em>Circles</em>).</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Ha
viaggiato, Ros Gos, con i suoi occhi bene aperti, lo sguardo
appassionato e indagatore, appena velato di lacrime, il cuore in
tumulto, affabulatore e crooner di spazi aperti e claustrofobici
anfratti. Ed è arrivato qui, in un luogo che non esiste, dove l’umanità
vive sospesa, tra luci e ombre, tra nichilismo e dolore, tra speranze
spesso frustrate e una straziante necessità di redenzione, di pace.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><em>No Place</em>
è, dunque, un punto di arrivo, l’approdo di un cammino che vede Ros Gos
evolversi senza, fortunatamente, cambiare troppo, sempre più
consapevole dei propri mezzi, delle proprie intuizione melodiche,
supportate, ancora una volta, dall’ottima produzione di Marco Torriani,
il cui tocco sapiente, cesella mirabilmente ogni singola canzone,
cercando l’equilibrio tra il buio che ghermisce l’anima e i barbagli di
tiepido sole, che riscalda ed evoca serenità. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Il
risultato è ancor più sorprendente che nei precedenti lavori: il mood
malinconico che attraversa il disco, quelle brume meditabonde che da
sempre caratterizzano la scrittura del musicista lombardo, non sono mai
state così accessibili, pur senza imboccare la strada del compromesso,
dell’esposizione semplicista, della scelta condiscendente. E così, <em>No Place</em>
suona benissimo, emoziona senza artifici, conquista con la semplicità
di melodie accattivanti, ma mai piacione, suscita palpiti senza mai
ricorrere al ricatto della lacrima facile.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Ros
Gos plasma e fa convivere, in un suono personalissimo, tutto il suo
retroterra musicale, gli ascolti amati da una vita, gli eroi perdenti e
maledetti degli anni’90, la new wave e il post punk con cui è cresciuta
un’intera generazione, quella che era giovane e piena di speranza nei
tanto vituperati anni ’80.</span></p><p style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Ciò
che ne deriva è un disco che, seppur coerente e coeso nei suoni, si
sviluppa in modo vario e fascinoso, in un’altalena emotiva di dieci
canzoni, tutte necessarie, tutte egualmente accattivanti. Un viaggio nel
viaggio, a partire dall’incipit di "My Cure" (ritmica arcigna
sottostante un tessuto malinconico di cupa new wave), che si sviluppa in
un percorso di elettriche fluorescenze dream pop ("Doll"),
nell’infuocato noise di "Unexpressed Love", tenebroso crocevia della
morte fra Mark Lanegan e Iggy Pop, nelle extrasistole anfetaminiche a là
Radiohead della title track, nella soavità vellutata "The Slide" (con
quello splendido arpeggio che ricorda "Thirteen" dei Big Star) e nella
chiosa fragile, sospesa ed emotivamente disarmante di "I Still Need
You". Un finale che sa di accettazione e pacificazione, di ritrovata
pace, di luce, nonostante tutto il male che ci circonda.</span></p><p><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Voto: 8</span></p><p><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Genere: Alternative, New Wave, Post Punk</span></p><p><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/vtULVpvg6Yg" width="320" youtube-src-id="vtULVpvg6Yg"></iframe></div><br /> <p></p><p><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> Blackswan, lunedì 18/03/2024<br /></span></p><p><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> <br /></span></p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-35424948682685322732024-03-14T09:00:00.005+01:002024-03-14T09:00:00.354+01:00Dolores Hitchens - La Gatta Ha Visto Tutto (Sellerio, 2023)<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgaRrDWojsCZSJl_4NA8vV67Iv6biS0gblfUXGhcalO0bqQZOwfCclpByOe4tT7XhPOncufUKfHWiV2wh_C1gZOm0c3-WUUt5fXnuqhY5ah6DLGS1mVLA8hyphenhyphenkGragsMEHo3iGFwdWpbco1CrybMcrCLot9SiYCaZAY0wfxFcH5sSB9tw_Hq35og7702gso/s1000/la%20gatta%20ha%20visto%20tutto.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="714" height="369" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgaRrDWojsCZSJl_4NA8vV67Iv6biS0gblfUXGhcalO0bqQZOwfCclpByOe4tT7XhPOncufUKfHWiV2wh_C1gZOm0c3-WUUt5fXnuqhY5ah6DLGS1mVLA8hyphenhyphenkGragsMEHo3iGFwdWpbco1CrybMcrCLot9SiYCaZAY0wfxFcH5sSB9tw_Hq35og7702gso/w286-h369/la%20gatta%20ha%20visto%20tutto.jpg" width="286" /></a></div><br /><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><em>Miss
Rachel Murdock, un’anziana signora, è l’investigatrice dilettante,
coadiuvata dal burbero tenente Mayhew. Una mattina di tranquilla
routine, riceve una chiamata dalla nipote Lily. Questa le chiede di
venirle in aiuto nella città dove abita, senza dire il perché. La zia
parte subito. Porta con sé la gatta Samantha, felino accudito con
particolare cura perché ha ereditato la fortuna della bizzarra zia
Agatha. Senza apparente motivo. Lily viene improvvisamente uccisa, nella
stessa stanza in cui anche Rachel, avvelenata e priva di coscienza,
rischia di morire, sotto gli occhi della gatta. Nella scena insanguinata
entra il tenente Mayhew, quanto di più lontano si possa immaginare
dalla quieta raffinatezza di Rachel. La coppia così assortita non
potrebbe mai raggiungere l’obiettivo senza decifrare i messaggi della
gatta Samantha. «C’era qualcosa di strano... di strano e di diverso
nella gatta».</em></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"> </p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><i>La
Gatta Ha Visto Tutto</i> della texana Dolores Hitchens è un piccolo
classico, il primo di una serie di gialli che hanno come protagonista
un’improvvisata detective dilettante, l’anziana Rachel Murdock. L’azione
si svolge in una pensione e una pletora di personaggi fanno a gara per
candidarsi se non al ruolo di colpevole, quanto meno a quello di persona
poco raccomandabile. L’atmosfera del romanzo rimanda immediatamente ai
gialli firmati da Agatha Christie, nello specifico a Miss Marple, o alla
serie tv La Signora In Giallo: anche Miss Rachel è quella che un tempo
veniva definita “zitella”, è avanti con gli anni e si cimenta
nell’investigazione per puro diletto. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Pioniera
della cosidetta “domestic suspence”, la Hitchens crea una mise en place
quasi teatrale, in cui l’azione è ridotta ai minimi termini e prende
corpo solo nel concitato finale. Ciò non toglie nulla, però, a un
romanzo che catalizza immediatamente l’attenzione del lettore: non
mancano i colpi di scena, gli indizi per scoprire il colpevole sono
disseminati con cura in tutte le trecentoquaranta pagine del romanzo,
seppur mimetizzati con arguzia, e la gatta, testimone involontario
dell’omicidio, è la geniale chiave di volta per risolvere il mistero,
non proprio di facile soluzione. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">La
prosa, a dire il vero, è un po’ “age”, molto classica nel suo sviluppo,
che rispecchia perfettamente il periodo in cui il giallo fu scritto (la
pubblicazione avvenne nel 1938) e che si sposa coi tempi dilatati degli
arguti ragionamenti dell’anziana protagonista, la quale, peraltro, è
tutt’altro che inerme.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Tuttavia,
il romanzo è estremamente innovativo per gli standard dell’epoca,
grazie alle voci fuori campo di due personaggi che commentano i fatti ex
post, all’atmosfera decisamente inquietante, e all’inaspettata violenza
di alcuni passaggi, in cui non si lesina sul sangue, mettendo a nudo la
cruda efferatezza di un omicida senza scrupoli. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Non solo<em>: </em>Miss
Rachel ed il giovane tenente Mayhew (ufficialmente incaricato di
condurre le indagini) sembrano, ad un certo punto, scambiarsi i ruoli,
in un gioco delle parti per certi aspetti sorprendente, perché, come il
lettore avrà modo di verificare in prima persona, sarà la diversamente
giovane Rachel Murdock a impegnarsi in azioni pericolose e spericolate,
lasciando all’ingombrante poliziotto il compito di affrontare gli eventi
in modo più equilibrato e saggio. Ingegnosi escamotage letterari,
questi, che rendono <em>La Gatta Ha Visto Tutto</em> una lettura affascinante, piacevolissima e intrigante, che non deluderà gli amanti del genere.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Blackswan, giovedì 14/03/2024 <br /></span></p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-75825286439663236132024-03-12T09:00:00.001+01:002024-03-12T09:00:00.455+01:00Ironic - Alanis Morissette (Maverick/Reprise Records, 1995)<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg2echcu4c8v9hUyi0LXX1MV7ue1Cb8LnkhLY_DweW2F4HoaAHMowAJbl1YKRlNwTph6cUQ96_QctMugcQr0bQ02azHxm0Wu_aBehjvLTkEOBB2_mrtMg6TY9KYL4Ow2TAYFs7vAw7IUYbCyHhXXf85oFFokwImR4X5wD7IrKtpsNpFXzWD5m_O0UZ7Zb0/s1300/ironic.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="865" data-original-width="1300" height="250" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg2echcu4c8v9hUyi0LXX1MV7ue1Cb8LnkhLY_DweW2F4HoaAHMowAJbl1YKRlNwTph6cUQ96_QctMugcQr0bQ02azHxm0Wu_aBehjvLTkEOBB2_mrtMg6TY9KYL4Ow2TAYFs7vAw7IUYbCyHhXXf85oFFokwImR4X5wD7IrKtpsNpFXzWD5m_O0UZ7Zb0/w386-h250/ironic.jpg" width="386" /></a></div><br /><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Se il significato di “<em>ironia</em>”
è usare delle parole per trasmettere il contrario del loro significato
letterale, creare cioè un’alterazione spesso paradossale della realtà,
allora, forse, il testo di Ironic, decima traccia da Jagged Little Pill,
terzo album della cantante canadese Alanis Morissette, non lo è. O
meglio, lo è nelle intenzioni di chi l’ha scritta, ma molto meno dalla
prospettiva di chi ascolta. Gli eventi descritti nella canzone (la
pioggia il giorno del matrimonio, l’aereo che precipita, la grazia che
arriva nel braccio della morte con due minuti di ritardo), infatti, sono
eventi drammatici, ma non esempi di ironia.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Basta dare una fugace lettura al testo, per rendersene conto: ”<em>Un
vecchio ha compiuto novantotto anni, Ha vinto alla lotteria ed è morto
il giorno successivo, È una mosca nera nel tuo Chardonnay, È la grazia
del braccio della morte, due minuti troppo tardi, Non è ironico, non
credi</em>?” E ancora: “<em>Ha aspettato tutta la vita prima di prendere
quel volo, mentre l'aereo precipitava pensò "Beh, non è carino". E non è
ironico, non credi?”</em></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Non
è, quindi, un caso che questa famosissima canzone abbia attirato sulla
Morissette parecchie critiche, tanto che il London Times, in
un’intervista del 2008, domandò alla songwriter canadese se finalmente
fosse riuscita a comprendere il vero significato della parola “<em>ironia</em>”.
E che la canzone non fosse percepita come ironica, ne è dimostrazione
il fatto che, per quel riferimento all’incidente aereo, la stessa venne
inserita, dopo l’11 settembre, nella lista delle canzoni inappropriate.
Lo stesso Glen Ballard, coautore delle liriche, qualche anno dopo,
ammise candidamente che, nonostante la sua laurea in letteratura inglese
e la passione per T.S.Elliot, l’uso dell’ironia nel testo non era
tecnicamente corretto. Tuttavia, la Morissette ha sempre sostenuto che
il significato della canzone sta nella parte finale, in cui lei canta
che “<em>La vita ha un modo strano di coglierti di sorpresa, La vita ha un modo divertente di aiutarti</em>”.
In definitiva, dunque, esiste un’ironia di fondo: ciò che davvero è
ironico è che le cose brutte ci aiutano ad arrivare dove stiamo andando.
Come a dire: la vita ci prende in giro, ci fa brutti scherzi, ma alla
fine, in qualche modo, ci forma il carattere e ci rende migliori. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">La Morissette scrisse <em>Ironic</em> insieme al citato Glen Ballard, che ha anche prodotto l'album <em>Jagged Little Pill</em>.
I due si incontrarono nel marzo del 1994, quando lei si trasferì a Los
Angeles dal Canada per cercare nuove strade espressive e rompere con il
passato dance pop dei due album precedenti. Con Ballard, scrisse ben
venti canzoni, dodici delle quali finirono per comporre la scaletta
dell’album.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Il
brano fu scritto il 26 maggio 1994, all'inizio della loro
collaborazione, dopo un pranzo nella trattoria italiana da Emilio, dove
avevano mangiato insalata e bevuto tè ghiacciato. Durante la
conversazione, la Morissette se ne uscì con la frase:” <em>'Non sarebbe ironico per un vecchio vincere la lotteria e morire il giorno dopo?</em>".
Dieci minuti dopo erano in studio a scrivere e a dare inizio alla magia
di un disco che fece incetta di premi e guadagnò la prima piazza delle
classifiche di mezzo mondo, arrivando seconda anche nelle chart
italiane.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">In un’intervista alla rivista Q nel 1999, Morissette ricordò la sessione di scrittura della canzone: "<em>È
stato piuttosto divertente, perché quando Glen e io eravamo in studio a
scriverla, stavamo solo cercando di farci ridere a vicenda. Non
pensavamo nemmeno all'ironia in quel momento. E questa è probabilmente
la cosa più ironica della canzone</em>."</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/Jne9t8sHpUc" width="320" youtube-src-id="Jne9t8sHpUc"></iframe></div><br /> <p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: left;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Blackswan, martedì 12/03/2024 <br /></span></p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-91029327584623179592024-03-11T09:00:00.001+01:002024-03-11T09:00:00.150+01:00Caligula's Horse - Charcoal Grace (Sony/Insideout, 2024)<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjeCKNuGUOwCHUuH5WwvnBFSl0axQkaTKO6YUWlC-lBVx3fI4ZMRP9TM3Qi9u-sIdnjEo00EcAQ89LYWcUQPl1LXjIotFPwoht0-HQBqbZ7v2fbpSa7LjMF4Zc_67ZZb3k36ZUnQbma1rWQZAcKSIAV0-7Y1H1mFhqeL7tUxUHOD0T95dtufSupnBEdIWw/s768/Caligulas%20Horse-Charcoal-Grace-01-768x768.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="768" data-original-width="768" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjeCKNuGUOwCHUuH5WwvnBFSl0axQkaTKO6YUWlC-lBVx3fI4ZMRP9TM3Qi9u-sIdnjEo00EcAQ89LYWcUQPl1LXjIotFPwoht0-HQBqbZ7v2fbpSa7LjMF4Zc_67ZZb3k36ZUnQbma1rWQZAcKSIAV0-7Y1H1mFhqeL7tUxUHOD0T95dtufSupnBEdIWw/s320/Caligulas%20Horse-Charcoal-Grace-01-768x768.jpg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Australiani,
nati a Brisbane nel 2011, i Caligula’s Horse (nome bellissimo, ispirato
a Incitatus, il cavallo che Caligola voleva nominare console) si sono
ritagliati, disco dopo disco, una piccola nicchia di consensi nel mondo
prog metal. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Pubblicato a maggio 2020, il quinto disco della band, <em>Rise Radiant</em>,
li vedeva in forte ascesa, grazie anche a sempre maggiori consensi
della critica specializzata e a vendite che iniziavano a diventare
importanti. A causa della pandemia e del successivo lockdown, però, il
quartetto non ha potuto capitalizzare il duro lavoro fatto: niente tour
in giro per il mondo, e una promozione passata, quindi, in secondo
piano, a causa dei noti avvenimenti.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">D’altra
parte, il 2020 è stato un anno strano, l’esplosione del covid ha creato
un vero e proprio senso di incertezza per tutti i musicisti,
soprattutto quelli meno affermati, che si sono trovati a fare i conti
con un totale sovvertimento di quelli che erano schemi ben collaudati.
Il chitarrista della band, Adam Goleby, poi, ha lasciato il progetto nel
luglio del 2021, mettendo a serio rischio l’esistenza stessa dei
Caligula’s Horse.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Invece,
a dispetto di tutto, i prog metaller australiani hanno usato questo
momento di profonda incertezza come carburante creativo per il nuovo <em>Charcoal Grace, </em>un
album che fa i conti, definitivamente, con le esperienze vissute in
quei giorni tragici, quasi una sorta di catarsi per poter guardare al
futuro con speranza e rinnovata consapevolezza.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">In
scaletta, sei canzoni, per più di un’ora di ascolto, tra chitarre
ribassate e approccio sinfonico, che permettono subito un accostamento
della band australiana con maestri del genere, quali Haken o Leprous. La
prima, immediata impressione, poi, è che <em>Charcoal Grace</em> sia un
disco per cui un ascolto superficiale è del tutto impossibile, anche
perché, come spesso accade per gli album di prog, la vera esperienza
consiste nell’ascoltare l’opera nella sua interezza. Non ci sono,
infatti, hook memorabili che fanno emergere un brano sugli altri (forse,
la sola "Sails" resta impressa subito, grazie alla melodia evocativa),
ma se ci si abbandona, senza interruzioni, al flusso creativo della
band, è possibile cogliere tutta l’emotività che attraversa la scaletta,
e sperimentare l'angoscia, il vuoto, il dolore e poi la speranza e quei
barlumi di gioia che i Caligula’s Horse cercano di esplorare e
trasmettere.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Non
è un caso che il corpus centrale dell’opera sia la title track, una
suite di ventiquattro minuti, divisa in quattro parti, con cui la band
affronta il tema delicato del rapporto di un bambino coi genitori
separati. Un viaggio nella psiche tormentata dell’infanzia, che non può
essere sezionato, ma solo assimilato nella sua complessa e complessiva
durata, attraverso il fil rouge di un saliscendi emotivo, in un
alternarsi di luce e oscurità, di momenti leggeri e delicati che trovano
il contrappunto nelle sferzate di riff taglienti.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Un
brano che è la chiave di lettura di un disco la cui anima prog, quella
capacità, cioè, di cambiare registro in modo da rendere articolata la
narrazione, è del tutto evidente nell’ora abbondante di ascolto, che
regala altri momenti decisamente riusciti, come i due singoli, "The
World Breathes With Me" e "Golem". </span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Alla resa dei conti, tuttavia, qualche appunto occorre farlo. Di sicuro <em>Charcoal Grace</em>
è un disco più vicino alla sensibilità di chi ama il rock progressive
rispetto a chi, invece, è aduso a suoni più pesanti. Le grandi qualità
tecniche del quartetto sono clamorosamente in luce, forse fin troppo,
con la conseguenza che, in alcune sue parti, il disco suona come un mero
sfoggio di abilità, che toglie respiro emotivo alle composizioni. Un
approccio meno sofisticato e più lineare, e degli arrangiamenti più
asciutti, avrebbero reso un miglior servizio a buone idee compositive e a
un pathos che, solo a sprazzi, suona realmente autentico. Non una
bocciatura, e ci mancherebbe, ma la sensazione che un surplus di
spontaneità avrebbe fatto guadagnare punti a un album che non sempre
trova il giusto slancio per toccare il cuore dell’ascoltatore.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">VOTO: 7</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">GENERE: Progressive Metal</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><br /></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/pPWqa1LJdrU" width="320" youtube-src-id="pPWqa1LJdrU"></iframe></div><br /><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"></span><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><br /></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: left;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Blackswan, lunedì 11/03/2024<br /></span></p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-85982960273748369272024-03-07T09:00:00.001+01:002024-03-07T09:00:00.150+01:00Kula Shaker - Natural Magik (Strange F.O.L.K. LLP, 2024)<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEju7U7l5S9UDpSRX4djA18WZFkEXmSCfSzxIwgN19KClx3vPU4jM40NzaprMf8fj7BZSOKj8A8ZoOAy6O-bxmsgqu93dq-CWEqN0XRSELAEx3QWIOTpUvS9JrMckB9rGRJaEWcPecy0KrEKsSIhotUAfhJbx8pVGNmBd3dYEXQLLr00qcupxQS1Gbi_aEU/s900/kula%20shaker-natural-magick.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="900" data-original-width="900" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEju7U7l5S9UDpSRX4djA18WZFkEXmSCfSzxIwgN19KClx3vPU4jM40NzaprMf8fj7BZSOKj8A8ZoOAy6O-bxmsgqu93dq-CWEqN0XRSELAEx3QWIOTpUvS9JrMckB9rGRJaEWcPecy0KrEKsSIhotUAfhJbx8pVGNmBd3dYEXQLLr00qcupxQS1Gbi_aEU/s320/kula%20shaker-natural-magick.jpg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Composti
dal frontman Crispian Mills, dal bassista Alonza Bevan, dal batterista
Paul Winterheart e dal tastierista Jay Darlington, i Kula Shaker hanno
plasmato un suono unico nell'era post-Britpop alla fine degli anni '90,
con alcuni splendidi dischi (e dall’ottimo riscontro commerciale)
ispirati alla musica indiana e allo spiritualismo. La loro è stata una
carriera altalenante, segnata da scioglimenti e reunion, l’ultima delle
quali ha già prodotto un ottimo lavoro intitolato <em>1st Congregational Church of Eternal Love (And Free Hugs)</em> uscito nel 2022.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Questo <em>Natural Magick</em>
è, dunque, il secondo disco della band dopo un lungo iato e, rispetto
al suo predecessore, pur mantenendo intatte le caratteristiche di un
suono collaudatissimo, risulta essere più immediato e virato decisamente
alla ricerca della melodia. Un canovaccio, quello su cui si basa la
musica dei Kula Shaker, che pesca a mani basse nella psichedelia anni
’60, citando illustri nomi di quegli anni d’oro, e che si colora, qui e
là, di spruzzate di folk indiano, che è da sempre l’elemento distintivo
della loro proposta.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Il
brano di apertura "Gaslighting" risucchia immediatamente l’ascoltatore
nel mondo KS: ritmiche serrate, handclapping, spolverate d’organo e quel
riff pazzesco che riporta a "All Day And All Of The Night" dei Kinks.
"Waves" incastona una melodia brit pop tra sitar e chitarre distorte, è
il brano più orecchiabile e spensierato dell’album grazie a un
ritornello appiccicoso, che si manda a memoria fin da primo ascolto.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Un
uno-due dal tiro pazzesco, che si fa ancora più vibrante nella
traiettoria funky della title track, chitarrina ipnotica, coretti
sbarazzini e linea di basso trascinante, per un brano che spinge
l’ascoltatore verso uno scatenato dancefloor. I due minuti e mezzo di
"Indian Record Player" si tuffano a testa bassa nella psichedelia anni
’60, citando Kinks e Yardbirds, e sfoggiando inusuali e sfavillanti
arrangiamenti, mentre "Chura Liya (You Stole My Heart)" crea uno
straniante crossover fra musica indiana e mariachi dai risultati
sorprendenti.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Il
livello d’ispirazione resta sempre altissimo, anche quando la band si
diverte a citare smaccatamente i Beatles in "Something Dangerous", a
tirar fuori dal cilindro un ballatone soul per cuori infranti ("Stay
With Me Baby"), a immergersi nel misticismo indiano di "Happy Birthday",
o a spendersi in messaggi politici tranchant nell’acidissima
"Idontwannapaymytaxes" <em>("Non voglio pagare le mie tasse/Non voglio pagare per la terza guerra mondiale/Non voglio pagare le mie tasse</em>") e nel funkettone di "F-Bombs", in cui Mills canta in modo da non lasciar spazio a fraintendimenti: <em>"Fanculo la guerra, fanculo le tasse, fanculo gli uomini del governo</em>". </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Se
la malinconica "Whistle And I Will Come" è immersa fino al collo nel
brit pop anni ’90, "Kalifornia Blues" mette la retromarcia fino a
sixties, grazie a un ritornello che evoca i Fab Four, e la conclusiva
"Give Me Tomorrow" sigilla il disco pescando una splendida melodia anni
’50, per un lentone da ballare guancia a guancia con l’amata.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><em>Natural Magik</em>
è un grande disco, e, a livello di ispirazione e songwriting, può
essere tranquillamente accostato ai migliori lavori dei Kula Shaker,
quali <em>K</em> (1996) e <em>Peasants, Pigs & Astronauts</em>
(1999). Una traversata di tredici canzoni lungo un sentiero hippie e
pischedelico ben delineato, che guarda al passato con uno sguardo
divertito, che sa emozionare con melodie uncinanti, e che resta ben
piantato anche nel presente, prendendo posizioni politiche chiare e non
più defettibili. Peace And Love, fate l’amore e non fate la guerra:
concetti antichi, che, oggi, purtroppo, si vestono di una nuova e
drammatica urgenza.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Uno dei dischi migliori usciti in questo primo scorcio di 2024.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">VOTO: 8,5</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">GENERE: Psichedelia, pop, rock</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/b4dYLWsCc94" width="320" youtube-src-id="b4dYLWsCc94"></iframe></div><br /> <p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><br /></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: left;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Blackswan, giovedì 07/03/2024<br /></span></p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-50423282734187071672024-03-05T09:00:00.007+01:002024-03-05T09:00:00.138+01:00Extreme - Extreme II: Pornograffiti (A&M, 1990)<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgbiO9RALg2CSVJbM9ZEdyzsHxU8flnPIsUSy0t5cUxwEXJkp_-EVME0sgpIB4fpn-0WrEp-ab1M91cNjFm9dgoMxTgpjz0vUf5uwW95dQHNoI7KPZREF52rgBAcZUhpnHXc_8pMcSKrPjXo1qDbLqmHSM82Cj0rw3Y2kkRuLb-3USHGba6CrgkC7zH1I/s301/Extreme-pornograffitti-1990.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="300" data-original-width="301" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgbiO9RALg2CSVJbM9ZEdyzsHxU8flnPIsUSy0t5cUxwEXJkp_-EVME0sgpIB4fpn-0WrEp-ab1M91cNjFm9dgoMxTgpjz0vUf5uwW95dQHNoI7KPZREF52rgBAcZUhpnHXc_8pMcSKrPjXo1qDbLqmHSM82Cj0rw3Y2kkRuLb-3USHGba6CrgkC7zH1I/s1600/Extreme-pornograffitti-1990.jpg" width="301" /></a></div><br /><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Questa recensione è probabilmente un esercizio sterile e ridondante, dal momento che su <em>Pornograffi </em>degli
Extreme si sono già spesi fiumi d’inchiostro. Tuttavia, è plausibile
che una hit come "More Than Words", quinta traccia dell’album e vero e
proprio tormentone datato 1990, abbia in qualche modo oscurato il resto
di una scaletta, il cui livello di ispirazione e di songwriting è a dir
poco strepitoso. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Questo,
infatti, è un grandissimo disco rock (o hair metal, vedete voi), uno
dei più importanti del decennio in cui è stato concepito e, valutato poi
attraverso il filtro dei trentaquattro anni trascorsi dalla sua uscita,
un’opera che, in senso assoluto, ha resistito alle angherie del tempo e
che, consigliamo vivamente, non debba mancare nella discografia di ogni
appassionato di genere. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Un
album che ha un’unica grande pecca: essere stato pubblicato fuori tempo
massimo, in un momento in cui il mondo della musica stava imboccando
un’altra strada. Gli Extreme sono stati uno degli ultimi grandi gruppi
emersi dalla scena hair metal alla fine degli anni Ottanta, una band dal
talento smisurato, ambiziosa, in un certo qual modo sperimentale e
dotata, vieppiù, di un clamoroso bagaglio tecnico, di cui forse non
tutti si sono accorti. Ma in quegli anni, la scena stava per essere
cannibalizzata dal grunge, un movimento che si collocava agli antipodi
di quella musica che, nel decennio precedente, aveva fatto letteralmente
sfracelli.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">A
un orecchio attento, però, non può sfuggire lo straordinario arsenale
tecnico e la fantasiosa qualità di scrittura di una band che, tenetelo
bene a mente, annoverava fra le sue fila quattro musicisti di livello
superiore, il cui straordinario affiatamento trasformava gli Extreme in
una vera e propria macchina da guerra. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Comandante
supremo del progetto era Nuno Bettencourt, che fu, ed è tuttora, uno
dei più grandi chitarristi rock in circolazione. E poco importa che non
tutti lo sappiano: basta ascoltare cinque minuti di questo disco per
rendersi conto del livello di questo autentico califfo della sei corde.
Maestro di riff e tessitore di funambolici assolo, veloce, fantasioso e
bizzarro, Bettencourt è un guitar hero che fa cose complicatissime con
una scioltezza che lascia disarmati. L'efficacia del suo stile è
letteralmente sbalorditiva, così come il suo senso del ritmo e la sua
incredibile capacità di inventare grandi variazioni su ogni singolo
riff. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Ciò,
ovviamente, non significherebbe nulla se il resto della band non fosse
all'altezza. Al basso e alla batteria ci sono rispettivamente Pat Badger
e Paul Geary, ed entrambi si mettono al servizio delle canzoni,
evitando ritmi troppo elaborati e un certo manierismo di cui soffrivano
così tante band dell'epoca: sono diretti, muscolari ed essenziali, ma il
loro dinamismo rende ancora più vibrante il groove delle canzoni. E
poi, c’è Gary Cherone, una sorta di trasformista dell’ugola, il cui
timbro potente ma estremamente duttile, si tiene lontano dagli inutili
virtuosismi dei cantanti di scuola hair metal, per adattarsi,
camaleontico, alle diverse, e talvolta antitetiche direzioni che prende
la scaletta del disco.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><em>Pornograffitti</em>,
una sorta di concept album che tratta il tema della ricerca dell'amore
in una società decadente, eccessivamente politicizzata e schiavizzata
dal sesso, rappresenta il momento più alto nella storia della band, ma
anche l’inizio del suo declino, di quella citata morte annunciata per
mano del grunge. Sorprendente, poi, è il fatto che i due maggiori
successi dell'album sono state le canzoni acustiche "Hole Hearted" e la
super hit "More Than Words", ottimi brani, certo, ma totalmente non
rappresentativi del resto dell'album. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Nonostante
il disco abbia ottenuto un triplo disco di platino, è cosa nota,
infatti, che molti ignari acquirenti si aspettassero un album in linea
con le due citate canzoni, e che, quindi, vinile alla mano, fossero
scontenti di trovarsi di fronte alla restante scaletta, in cui abbondano
duri riff rock e, in qualche episodio, anche molta sporcizia. La
circostanza, poi, che l'album abbia venduto tre milioni di copie, non fu
di alcuna consolazione per la band. Alla fine del tour per il loro
disco d’esordio, infatti, gli Extreme, che avevano firmato con la
A&M un contratto per cui la band doveva alla casa discografica tutte
le spese per la registrazione e il successivo tour, erano indebitati
fino al midollo. Non c'era altro modo di ripagare l’etichetta, se non
quello di realizzare un nuovo album, che, ovviamente, portò la band a
indebitarsi ulteriormente per migliaia di dollari. Quando <em>Pornograffitti</em>
raggiunse l'apice delle vendite, gli Extreme avevano appena iniziato a
pareggiare i conti con la A&M e a guadagnare in proprio, ma di lì a
poco, la scena hair metal iniziò a decadere, oscurandone la fama e
lasciandoli senza un soldo. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Ciò nonostante, <em>Pornograffiti</em>
resta un disco clamorosamente bello, il cui suono muscolare e dinamico
prende spesso traiettorie funky, creando un clima divertito e festaiolo,
una bisboccia da litri di birra ghiacciata e shot di bourbon, che
togliere dallo stereo è davvero un’impresa. Un disco, peraltro, che pur
rimanendo fedele a certi canoni espressivi dell’epoca, risulta
estremamente vario nel suo svolgimento tutt’altro che monocorde.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Due
grandi hit, dicevamo: la prima "More Than Words", è una ballata d’amore
per chitarra acustica, caratterizzata dalle sublimi armonie vocali di
Cherone e Bettencourt, la seconda, "Hole Hearted", altra ballata dai
sentori blues, che diventa il secondo maggior successo dell’album. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Il
resto, però, è anche meglio. "Decadence Dance" è una lunga e vibrante
apertura, trainata da uno dei tanti riff eccezionali che compongono
l'album. Nuno Bettencourt riempie il fraseggio in ogni momento,
inventando tocchi di straordinaria fantasia, che aggiungono al brano una
tonnellata di groove. Una menzione a parte, meritano anche "He Man
Woman Hater", che si apre con i fuochi d’artificio della chitarra di
Nuno, qui alle prese con un’esecuzione magistrale de "Il Volo Del
Calabrone", brano che ha terrorizzato il fior fiore dei chitarristi, per
la folle velocità richiesta, "Get The Funky Out", scintillante sezione
fiati, groove funky e metallico, variazioni ritmiche da capogiro e i
soliti riff incredibili di Bettencourt, "When I First Kissed You",
inusuale ballata in stile Frank Sinatra, riletta con gusto eighties, e
"Song For Love", una power ballad stellare, un inno all’amor perduto,
avvolta in un arrangiamento d’archi e sfiorata da vaghi intenti
progressive.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Per quanto un po’ lungo, <em>Pornograffiti</em>
mantiene desta l’attenzione dell’ascoltatore per tutto il suo
intrigante svolgimento, tanto che risulta davvero ingiusto che una band
di questa caratura, capace di pubblicare un tale capolavoro, sia finita
troppo presto nel dimenticatoio, archiviata come una delle tante inutili
band hair metal del periodo, e annichilita da quel suono, disperato e
malinconico, che prende il nome di grunge e che fagociterà, in termini
di successo e di vendite, i primi anni del decennio.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/tGWYKjwgIMs" width="320" youtube-src-id="tGWYKjwgIMs"></iframe></div><br /> <p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: left;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Blackswan, martedì 05/03/2024 <br /></span></p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-11865501118831995542024-03-04T09:00:00.010+01:002024-03-04T09:00:00.146+01:00SLEATER - KINNEY - LITTLE ROPE (Loma Vista, 2024)<p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiTgjFQcXgwk4fdIX-E-8YxzX01ylcBKXxIh4kbaxlxN5goUnZ4HeRQaUttPJhl0aosI-S_sK3hyhNYFP42t952vHBRBfuFYBHkZYyuLR3gMLN4ngB8aO6OVPeaWZr3INcHNzZU0fHLdWHfnsTGExQ-mrtXfuCfrHTebXeQkPf8Vm4OA2jk0MBrmqJ9vzY/s536/sleater%20kinney%20little%20rope.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="536" data-original-width="536" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiTgjFQcXgwk4fdIX-E-8YxzX01ylcBKXxIh4kbaxlxN5goUnZ4HeRQaUttPJhl0aosI-S_sK3hyhNYFP42t952vHBRBfuFYBHkZYyuLR3gMLN4ngB8aO6OVPeaWZr3INcHNzZU0fHLdWHfnsTGExQ-mrtXfuCfrHTebXeQkPf8Vm4OA2jk0MBrmqJ9vzY/s320/sleater%20kinney%20little%20rope.jpg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Quasi
trent’anni di storia e undici album pubblicati sono il ruolino di
marcia di un gruppo che, dopo una folgorante prima parte di carriera,
chiusa con uno iato di un decennio, è stato capace di rigenerarsi e di
trovare una nuova, appassionata giovinezza. Certo, il percorso per
giungere a questo ultimo <em>Little Rope</em> non è stato lineare e di cose importanti, che hanno messo in discussione l’identità della band, ne sono accadute parecchie. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Dopo la svolta synth-pop del monocromatico <em>The Center Won't Hold</em>
(2019), prodotto da St Vincent, Carrie Brownstein e Corin Tucker si sono separate, senza tante cerimonie, dalla batterista Janet Weiss, il
cui modo di suonare era, letteralmente, una parte fondamentale e
identificativa del suono Sleater - Kinney. Quel disco, ritenuto
deludente dai fan di vecchia data, produsse il rapido ritorno alla
chitarra e al rock con la R maiuscola di <em>Path of Wellness</em>
(2021), una sorta di disco della restaurazione, forse non
particolarmente audace, ma accolto con un sospiro di sollievo da quanti
ritenevano la svolta pop un incomprensibile tradimento.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><em>Little Rope</em>
rappresenta un ulteriore passo avanti nella direzione giusta, è un
lavoro di qualità, che riassume al meglio tutto lo Sleater - Kinney
pensiero: lo stridere disturbante delle due voci, le melodie oblique,
gli spigoli acuminati di riff assassini, l’ardore scompigliato di
assalti sonori all’arma bianca, i testi abrasivi e senza fronzoli.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Una
mise en place, questa volta, ispirata, però, al dolore e alla perdita:
nell’autunno del 2022, infatti, la madre e il patrigno di Carrie
Brownstein sono rimasti entrambi uccisi in un incidente stradale mentre
erano in vacanza in Italia. Non c’è da stupirsi, quindi, che il disco
bruci di un’intensa passione e sia plasmato da mani colme di sincera
angoscia e tristezza. In alcuni passaggi del disco questo aspetto è
quasi tangibile. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">C'è un momento, ad esempio, durante nel ritornello finale di "Say It Like You Mean It", l’episodio migliore e più catartico di <em>Little Rope</em>, in cui la voce di Corin Tucker sale a un registro più alto con un'intensità così febbrile da lasciare quasi senza parole (“<em>Say it like you mean it, i need to hear it before you go, say it like you mea nit, this goodbye hurts when you go”</em>).
Un momento di grande tensione, che suona davvero come un omaggio
all’amica, una dimostrazione di empatia, di condivisione, un forte
abbraccio a un affetto che soffre. D’altra parte, molto del materiale
che è confluito in scaletta era già stato scritto, ma questa improvvisa e
toccante perdita ha costretto la coppia a ricalibrare il proprio
approccio in studio, rendendolo più oscuro e maggiormente patetico
(nell’accezione positiva del termine).</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Fatta
questa doverosa precisazione, il resto del disco non pone in essere
alcuna rivoluzione, ma rappresenta semmai una piccola evoluzione
rispetto al suo predecessore in termini di scrittura. Insomma, siamo di
fronte al classico disco Sleater - Kinney, e come tale anche
straordinariamente conciso nella sua esecuzione. In tal senso, "Small
Finds" e "Six Mistakes" incanalano quell’elettricità disturbata e
quell'energia ferocemente dissonante, coerente con la storia della band,
mentre la muscolare "Needlessness Wild" si espande verso un rock
emozionale e carico di hook che fece la fortuna di un disco splendido
come <em>No Cities To Love</em> (2015), e l’eccellente apertura di
"Hell" gioca una delle carte migliori del mazzo del duo, e cioè il
contrasto fra strofe cupe, quasi statiche, e ritornelli esplosivi.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Negli
ultimi 30 anni, le Sleater-Kinney hanno tracciato un percorso unico,
passando dagli albori riot grrrl, attraverso l’alternanza fra
sperimentazione e ricerca della forma canzone, fino alla realtà odierna,
in cui la maturità ha ridefinito ulteriormente il segno distintivo
della loro urgenza, riletta attraverso le lenti di quello che sembra un
definitivo equilibrio. E’ stato un viaggio lungo, complicato,
punteggiato di sconfitte, perdite e dolore, ma oggi come allora è una
gioia sentire uscire dalla casse dello stereo la musica di queste
ragazze, il cui sodalizio, oggi più che mai sembra, sembra forte,
incrollabile, proiettato verso il futuro.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">VOTO: 8</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">GENERE: Alternative, Rock </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><br /></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/Vp2z1cL6qoU" width="320" youtube-src-id="Vp2z1cL6qoU"></iframe></div><br /><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><br /></span><p></p><p> </p><p> </p><p><span style="font-family: arial;">Blackswan, lunedì 04/03/2024</span> <br /></p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-32204118428592643652024-02-29T09:00:00.002+01:002024-02-29T09:00:00.150+01:00Les Edgerton - Il Recidivo (Elliot, 2023)<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZ5-nVR5xYq3XNi75EV6iYyAwvWrFiGfjMLvirBXrLvymoY2Wt4DAWpd15YxQXM7Atj-WfGjDC_Hoc6Hj65rtDDL3iA7D0OJCkwo_Eaz9zLyQnhrEE77Kj7Y-MkClVO2-HSFlOcZu76Qxz-h30nsCjkc2FBavjg2yFYjtgY_xB37IX4GY67yczvm2MiZQ/s815/il%20recidivo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="815" data-original-width="536" height="352" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZ5-nVR5xYq3XNi75EV6iYyAwvWrFiGfjMLvirBXrLvymoY2Wt4DAWpd15YxQXM7Atj-WfGjDC_Hoc6Hj65rtDDL3iA7D0OJCkwo_Eaz9zLyQnhrEE77Kj7Y-MkClVO2-HSFlOcZu76Qxz-h30nsCjkc2FBavjg2yFYjtgY_xB37IX4GY67yczvm2MiZQ/w262-h352/il%20recidivo.jpg" width="262" /></a></div><br /><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><em>Da
tempo l’ex detenuto Jake Bishop si è lasciato alle spalle la sua ultima
condanna e gli anni di galera. Ora è sposato, aspetta un bambino e sta
per aprire un salone di bellezza. Una vita tranquilla è ciò che desidera
più di ogni cosa e ha fatto di tutto per arrivarci. Poi un giorno un
vecchio compagno di cella, Walker Joy, si presenta da lui per chiedergli
un favore: ha bisogno della sua mano esperta per un furto con scasso
perché lui è ancora il migliore su piazza, e poi, promette Walker, «sarà
una passeggiata». Jake intravede subito i rischi di questa richiesta
eppure si ritrova costretto ad accettare, per via di un vecchio debito
di riconoscenza – Walker gli ha salvato la vita anni prima in prigione –
e di un ricatto da parte del nuovo socio di Walker. Se non vuole
perdere tutto, deve rischiare e sperare di uscirne vivo.</em></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Jake
ha messo la testa a posto. E’ stato in carcere due volte ed è un ex
alcolista, ma adesso tutto va a gonfie vele. E’ uscito dal giro, ha
smesso di bere, si è sposato con una donna bellissima, da cui aspetta un
figlio, lavora come parrucchiere, sta sognando di aprire un’attività
tutta sua e fa da “papà” al fratello minore Bobby, un adolescente
irrequieto, divorato dai sensi di colpa per la morte dei genitori. Un
giorno, mentre sta chiudendo il negozio, riceve una telefonata da
Walker, un suo ex compagno di cella, che gli ha salvato la vita durante
il periodo di detenzione. Walker gli chiede di aiutarlo a commettere un
ultimo colpo, un colpo facile e redditizio, che farà svoltare entrambi.
Jake inizialmente rifiuta, ma poi, ricattato, è costretto, suo malgrado,
ad accettare. E la sua vita, quella vita normale e felice che aveva
sempre sognato, inizia a sgretolarsi…</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Autore
di ben ventitre romanzi, il texano Les Edgerton, scomparso proprio lo
scorso anno all’età di ottantun anni, esattamente come il più celebre
Edward Bunker, è stato un ex galeotto che, ravvedutosi, ha abbandonato
il mondo del crimine e si è ricostruito una vita. Ne <em>Il Recidivo</em>,
Edgerton fa confluire, quindi, la sua esperienza di carcerato e di uomo
che, lentamente, a fatica, ha trovato la strada per la redenzione
attraverso la scrittura e l’amore della sua famiglia. Jake è, pertanto,
un personaggio in parte autobiografico, e in parte rappresenta
l’incarnazione di tutti coloro che, con alterne fortune, hanno cercato
di riappropriarsi di un’esistenza normale, dopo un passato turbolento.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Jake
sceglie di nuovo il crimine perché obbligato, certo, ma anche perché il
suo vissuto, che non può essere cancellato, torna a bussare alla porta,
e perché, in fin dei conti, il criminale è l’unico mestiere che sa fare
veramente. Le stigmate del delinquente non si cancellano, e la genetica
criminogena è sempre in agguato, un tarlo che rode dall’interno e che
divora anche i sentimenti più nobili. Jake fa consapevolmente una scelta
sbagliata, da cui discende una concatenazione di eventi sfortunati che
si accaniscono su di lui, sprofondandolo sempre di più in un abisso, nel
quale in gioco non ci sono solo la prigione e la vita, ma anche la sua
stessa anima. Un vortice che lo risucchia, che lo spinge a commettere
azioni sempre più aberranti, a rinnegare tutto quello per cui si è
battuto, fino a trascinarlo in un drammatico, quanto inevitabile finale.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><em>Il recidivo</em>
è una bomba a orologeria innescata fin dall’incipit, e il conto alla
rovescia, il ticchettio che porta all’esplosione finale, lo si ascolta,
inesorabile, pagina dopo pagina. Come scrive Anthony Neil Smith nella
prefazione al romanzo: “<em>Il noir è così. Ci rendiamo conto che il
protagonista si farà male, continuiamo a leggere per scoprire quanto
male si farà. Ci copriamo gli occhi con le mani, ma sbirciamo tra le
dita</em>”. Niente di più vero. <em>Il recidivo</em> è, infatti, un
signor noir, uno dei migliori che mi sia mai capitato di leggere. I
colpi di scena si sprecano, tengono incollati al libro generando
tensione e ansia, e la scrittura di Edgerton, così asciutta, diretta e
al contempo potente, arriva acuminata ed esiziale dritta al cuore del
lettore, che non può non immedesimarsi in Jake, antieroe, sfortunato e
malinconico, dal destino segnato. E se il linguaggio è crudo, ma mai
inutilmente volgare, e le immagini sono violente e feroci, ma sempre
funzionali alla trama, ciò che davvero stupisce sono la sfaccettata
psicologia con cui vengono tratteggiati i personaggi e la profondità
delle riflessioni di un uomo alla deriva di una sorte ineluttabile. Un
must per i cultori del genere.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Blackswan, giovedì 29/02/2024 <br /></span></p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-10366254541054716222024-02-27T09:00:00.001+01:002024-02-27T09:00:00.151+01:00BLACK HOLE SUN - SOUNDGARDEN (A&M, 1994)<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSlL4ussfFFphc6E_D1R4qY3M0JjfeaeoTzZfp1gSyfNCAL5JfGAejEkslWG7wbSu_CdQzgZ4FmFi1Gy-iFULX6HuMtCGOmzsA_LpHwWXcK2EDTeOo4RKUK5Lhj48e8RMFv5VS-HQ_bhvyb8rfgsm5XBJs3McbEjyidOY4Imxufk8UMyAGRvSBaOwF5Fg/s1280/black%20hole%20sun.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="226" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSlL4ussfFFphc6E_D1R4qY3M0JjfeaeoTzZfp1gSyfNCAL5JfGAejEkslWG7wbSu_CdQzgZ4FmFi1Gy-iFULX6HuMtCGOmzsA_LpHwWXcK2EDTeOo4RKUK5Lhj48e8RMFv5VS-HQ_bhvyb8rfgsm5XBJs3McbEjyidOY4Imxufk8UMyAGRvSBaOwF5Fg/w371-h226/black%20hole%20sun.jpg" width="371" /></a></div><br /><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">1 + 1 non sempre fa 2. Se è vero, infatti, che il nome della band si ispira all'opera <em>A Sound Garden</em>,
installazione sonora dell'artista Douglas Hollis al NOAA Western
Regional Center di Seattle, per lungo tempo, per un collegamento
automatico, ma fallace, sì è pensato che <em>Black Hole Sun</em> prendesse il nome da un'altra scultura di Seattle chiamata "<em>Black Sun</em>"
dell'artista Isamu Noguchi. Quest’opera, che si trova nel Volunteer
Park a Capitol Hill, sembra un'enorme ciambella nera posizionata in modo
da potervi vedere attraverso lo Space Needle (la torre simbolo della
città).</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">La
verità, però, è un’altra. Chris Cornell ebbe l'idea per questa canzone
mentre tornava a casa dal Bear Creek Studio, vicino a Seattle, dove i
Soundgarden stavano registrando una versione di "<em>New Damage</em>"
per un album di beneficenza. L’idea per il brano gli venne ricordando
qualcosa che aveva ascoltato distrattamente in televisione non
comprendendone il significato. A Cornell era sembrato di sentire da un
conduttore di un tg pronunciare una frase che suonava più o meno come "<em>blah blah blah blackhole sun blah blah blah</em>" e pensò subito che sarebbe stato un titolo fantastico per una canzone.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Cornell
iniziò a pensare a quelle parole e decise di scriverci una canzone
attorno, poiché sentiva che era un titolo stimolante. Così, appena a
casa, prima scrisse i testi, poi compose la musica in base alle immagini
che gli venivano in mente. Il risultato fu una canzone cupa, con
riferimenti ai serpenti, al cielo morto e al fetore estivo, tanto oscura
e visionaria da essere perfetta per giustificare il sillogismo fra
grunge e depressione e angoscia. Cornell, tuttavia, non stava soffrendo,
non era depresso, non era ancora schiacciato dal male di vivere. Aveva
semplicemente l’idea di realizzare una canzone che giocasse sulla
combinazione antitetica fra un buco nero e il sole, tra un vuoto
immenso, un cerchio gigante di nulla, e la luce del sole, ciò che dona
la vita. Semplicemente, trovava interessante il contrasto tra luce e
oscurità, tra senso di speranza e malumore di fondo.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><em>Black Hole Sun</em>
ebbe molti passaggi radiofonici, dal momento che l’alternative e il
grunge erano assai popolari all'epoca, tanto che le prime 40 stazioni
radio statunitensi trasmettevano quasi esclusivamente canzoni di artisti
come Soundgarden, Pearl Jam e Stone Temple Pilots, per citare qualche
band in auge. Tuttavia, il brano non entrò in classifica perché non fu
mai pubblicato come singolo. A differenza di oggi, infatti, ai tempi si
evitava di pubblicare un singolo via l’altro, uno strattagemma che
incuriosiva e incoraggiava i fan ad acquistare gli album.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">La canzone è stata interpretata da Peter Frampton nel suo album strumentale <em>Fingerprints</em>
del 2006. Questa curiosa versione non conteneva parti cantate, perché
le liriche furono replicate da Frampton attraverso il talk box collegato
alla chitarra, strumento che simulava l'intonazione della voce, ma non
le parole. Le uniche parole distinguibili (suonate sempre attraverso il
talk box) sono "<em>Black Hole Sun, Won't You Come</em>", che possono essere ascoltate nelle strofe dopo l'assolo. Per la cronaca, <em>Fingerprints</em> vinse il Grammy 2007 come miglior album strumentale pop.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/3mbBbFH9fAg" width="320" youtube-src-id="3mbBbFH9fAg"></iframe></div><br /> <p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: left;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Blackswan, martedì 27/02/2024 <br /></span></p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-41596654719517887202024-02-26T09:00:00.001+01:002024-02-26T09:00:00.145+01:00The Pineapple Thief - It Leads To This (Kscope, 2024)<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhlKs-H0ZFXHUM94t_h4hyphenhyphenj_Ubjy1ex3AfZX83Ni8Qr3mbjL0Duu4LiCs4SUT1vJpm3jTiK2T9x47hd8HHzSBoG74iySiFoTrKSkdOT-FtUJXhp6SG7kHSME4fyd542-S5_clZFaYhQrK1ku_AiEHao6h_aA7sH6IBKu2bebdva-buTXRJ9rk3pOjDjt38/s1000/the%20pineapple%20tree-it-leads-to-this-2024.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="1000" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhlKs-H0ZFXHUM94t_h4hyphenhyphenj_Ubjy1ex3AfZX83Ni8Qr3mbjL0Duu4LiCs4SUT1vJpm3jTiK2T9x47hd8HHzSBoG74iySiFoTrKSkdOT-FtUJXhp6SG7kHSME4fyd542-S5_clZFaYhQrK1ku_AiEHao6h_aA7sH6IBKu2bebdva-buTXRJ9rk3pOjDjt38/s320/the%20pineapple%20tree-it-leads-to-this-2024.jpeg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Quindici
album in studio e venticinque anni di carriera, sono un traguardo
straordinario, ancora più ragguardevole se si pensa che i Pineapple
Thief, nonostante (o forse grazie a) diversi cambi di line up, hanno
sempre mantenuto un livello artistico di spessore. Difficile, dunque,
trovare un disco inascoltabile rilasciato dalla band britannica, che,
dopo l’arrivo della leggenda Gavin Harrison dietro le pelli, ha
ulteriormente ridefinito e perfezionato il proprio alt (art)-rock dalle
inflessioni prog in qualcosa di ancora più suggestivo e affascinante.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">L'ultima uscita dei Pineapple Thief, <em>It Leads to This</em>
contiene otto canzoni relativamente concise per il target della band, a
cui non manca certo la consueta urgenza ed efficacia emotiva dei lavori
migliori, e, in un certo senso, questo nuovo album è una sintesi
perfetta di tutti quegli elementi che fanno funzionare così bene la
proposta del gruppo britannico da un quarto di secolo a questa parte.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Ovviamente,
un musicista sensibile come Bruce Soord ha ben presente la dura e
sconcertante realtà della vita degli ultimi anni, e, quindi, è
inevitabile che un senso di profonda malinconia incomba su ognuna delle
canzoni in scaletta, gettando uno sguardo penetrante sul mondo, con
risultati toccanti e poetici. C’è disincanto, delusione, tristezza,
tutti elementi che si insinuano nelle melodie e nelle liriche desolate,
ma irresistibili, create dalla penna del leader.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Da
un punto di vista squisitamente musicale, è quasi inevitabile
sottolineare l’importanza e il valore di Gavin Harrison, già venerato
come uno dei migliori batteristi del mondo grazie alla sua militanza nei
Porcupine Tree e nei King Crimson: le sue eccezionali capacità di
batterista e il suo approccio innovativo al ritmo hanno contribuito a
elevare ulteriormente di livello la musica di The Pineapple Thief, e il
suo drumming è stato fondamentale nel plasmare il suono della band,
aggiungendo strati di complessità e profondità alle composizioni.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Se le fondamenta espressive sono ormai consolidate da tempo, <em>It Leads to This</em>
mostra un suono ancor più raffinato e maturo, e dalle avvolgenti
melodie alle ritmiche intricate, ogni canzone dell'album è definita
meticolosamente, mettendo in mostra tanto le qualità tecniche del
quartetto quanto la profondità emotiva del songwriting. Formidabili,
poi, anche le digressioni strumentali, che trovano spesso un perfetto
equilibrio fra prog vecchia e nuova scuola, aggiungendo un tocco di
virtuosismo a una scaletta di per sé impeccabile e straordinariamente
coerente nello sviluppo.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Tante ottime canzoni, a partire dall’iniziale <em>Put It Right</em>, incentrata sul pianoforte e la voce desolata di Soord, dalla splendida <em>Rubicon</em>,
trainata dai groove fluidi e inarrestabili di Harrison, che mette in
mostra una band coesa, che azzarda a metà canzone una deviazione dal
sapore jammistico, e dalla <em>title track</em> che enuclea melodramma e pathos da un labirinto di art rock agile e muscoloso.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Una
tripletta iniziale di altissimo livello che introduce un disco senza
cedimenti, elegante e intenso, arrangiato in modo sublime, coeso in ogni
suo parte, e in cui la scrittura ispirata di Soord si sviluppa in trame
avvincenti, eseguite magistralmente da una band che non sbaglia un
colpo. Ennesima riconferma di grande qualità.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">VOTO: 8</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">GENERE: Progressive, Alternative Rock</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/lbTx2GzAKkc" width="320" youtube-src-id="lbTx2GzAKkc"></iframe></div><br /> <p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: left;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Blackswan, lunedì 26/02/2024 <br /></span></p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-45823296752747602442024-02-22T09:00:00.010+01:002024-02-22T09:00:00.152+01:00GREEN DAY - SAVIORS (Reprise, 2024)<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgxHAMNn_f2C1kgRlSX9ogypNMboj1wFhB3CveWyGrjCL83xM94UecaveMp92Sh4quKEmoD1T1f6Ev1PBqpn2J5R8qMPneIxCV9nkwClrNF7hyphenhyphenBI3dv0qnSZLePP7UyeyVOjEaKNWy5WGRdqSM9AS3nKtBcwx7LZrURjmELVsKIKqleImd8Gs1WSOJqJlU/s375/green%20day%20saviors.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="375" data-original-width="375" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgxHAMNn_f2C1kgRlSX9ogypNMboj1wFhB3CveWyGrjCL83xM94UecaveMp92Sh4quKEmoD1T1f6Ev1PBqpn2J5R8qMPneIxCV9nkwClrNF7hyphenhyphenBI3dv0qnSZLePP7UyeyVOjEaKNWy5WGRdqSM9AS3nKtBcwx7LZrURjmELVsKIKqleImd8Gs1WSOJqJlU/s320/green%20day%20saviors.jpg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">In
trentasette anni di carriera, vissuta tra alti e bassi, tra dischi
leggendari e altri decisamente meno appetibili, piaccia o meno, i Green
Day restano ancora oggi una delle band più amate del pianeta. Ogni loro
uscita, caratterizzata da quel suono immediatamente distintivo, è
destinata inevitabilmente a sollevare un polverone mediatico, a maggior
ragione quest’anno, che probabilmente rappresenta uno dei momenti più
importanti della loro storia. Oltre a questo nuovo <em>Saviors</em>, infatti, i Green Day celebreranno il trentesimo anniversario di <em>Dookie</em>, e poi, a settembre, arriverà il ventesimo anniversario della loro disco più celebre, <em>American Idiot</em>. <br /></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Un
disco, quello, fortemente politico, in cui il trio convogliava la
propria rabbia nei confronti dell’amministrazione Bush per quella folle
guerra in Iraq che provocò un grave scontro culturale, dividendo il
paese tra pacifisti e interventisti. Vent’anni dopo, sembra non essere
cambiato nulla, e con <em>Saviors</em>, una sorta di fratello minore di <em>American Idiot</em>, i Green Day prendono nuovamente posizione, facendo loro il motto che rimanere in silenzio equivale a essere complici.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Il
disco, dunque, rispecchia, inevitabilmente, ciò che gli Stati Uniti
sono diventati nell’ultimo ventennio, e affronta questioni cruciali come
le sparatorie di massa, il razzismo, l’epidemia di oppioidi, la crisi
dei senzatetto, l’imperialismo degli Stati Uniti e persino la
disconnessione intergenerazionale.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Nonostante
l’aura scanzonata da eterni cazzoni, la band capitanata da Billie Joe
Armstrong, facciamocene una ragione, è una band connotata politicamente,
che non ha certo remore a esprimere ciò che pensa e a farlo in modo
diretto. In tal senso, <em>Saviors</em>, a prescindere dal suo tiro
sferzante e festaiolo, è uno dei dischi più impegnati di questo indomito
trio, che riesce dire cose serie, senza, tuttavia, mai prendersi,
musicalmente parlando, troppo sul serio.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Impossibile,
quindi, non interpretare il singolo che apre il disco, "The American
Dream is Killing Me", come una dichiarazione d’intenti sui contenuti
della scaletta, né evidenziare come il brano mostri una stretta
parentela con "American Idiot", che ne è una sorta di fratello maggiore.
Come detto, però, l’impegno non si ferma al travolgente incipit, ma
prosegue anche in altre canzoni come la vibrante "Coma City", che sembra
sfottere la folle corsa verso lo spazio promossa da Elon Musk,
l’irresistibile "Strange Days Are Here To Stay", che mette in luce,
citando David Bowie (“<em>Strange days are here to stay ever since Bowie died</em>”),
una società in cui dilagano il razzismo, la piaga del Fentanyl e una
profonda disconnessione generazionale, o "Living in the 20's", che cita
l’incendio di Cameron Peak (in Colorado), causato da piromani, e una
sparatoria avvenuta in un supermercato, stigmatizzando così la follia di
una società da troppo tempo alla deriva.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">E non c’è poi da meravigliarsi che, in questo quadro tutt’altro che ottimista, attraverso la title track, Armstrong si chieda: “<em>Qualcuno ci salverà stasera?</em>”, perché in questo mondo, ormai "<em>tutti dormono ma nessuno sogna</em>".</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Nonostante
il vibrante impegno politico, tuttavia, non manca nel disco anche il
divertito disimpegno di canzoni come "Look Ma No Brains" e "Bobby Sox",
oltre ad alcune coinvolgenti ballate, come l’intensa "Father To Son",
una sorta di continuazione di "Wake Me Up When September Ends", in cui
Armstrong da ragazzino che ha perso il padre è diventato un papà che ama
ogni singolo momento vissuto con i suoi figli.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Se
in passato i Green Day avevano palesato una certa stanchezza
compositiva, mostrando la corda di un’ispirazione ai minimi termini (<em>Revolution Radio</em>) o procedendo con il pilota automatico inserito (<em>Father Of All…</em>),
oggi, il terzetto guidato da Armstrong sembra aver ritrovato l’antico
furore, e pur restando lontano dai capolavori citati a inizio articolo, <em>Saviors</em> risulta un disco attraversato da una freschezza che sembrava perduta. Divertente, divertito, militante.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">VOTO: 7</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">GENERE: Pop, Punk</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/t1TDvy7djJg" width="320" youtube-src-id="t1TDvy7djJg"></iframe></div><br /> <p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: left;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Blackswan, giovedì 22/02/2024 <br /></span></p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-16149326855829548932024-02-20T09:00:00.001+01:002024-02-20T09:00:00.144+01:00CLAIRE KEEGAN - PICCOLE COSE DA NULLA (Einaudi, 2022)<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEirLbBZMJzalKt7TRzhgamNMSeAkjmIvB2w3AOdIXGEfRrCMnFZ2_CXotPTgH6Hx-Aexz75jjtMFFRXq05nPn9uYHVcRlXK91mjNrysJjB3Zw2YAvfEDRCIFcOEFsogrReuqkHJjVUpQG32y_l9cteyaR6C1yeMVCzAqyridUalSpLzPoT5Zb0eigQuY28/s829/claire%20keegan%20piccole%20cose%20da%20nulla.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="829" data-original-width="536" height="394" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEirLbBZMJzalKt7TRzhgamNMSeAkjmIvB2w3AOdIXGEfRrCMnFZ2_CXotPTgH6Hx-Aexz75jjtMFFRXq05nPn9uYHVcRlXK91mjNrysJjB3Zw2YAvfEDRCIFcOEFsogrReuqkHJjVUpQG32y_l9cteyaR6C1yeMVCzAqyridUalSpLzPoT5Zb0eigQuY28/w300-h394/claire%20keegan%20piccole%20cose%20da%20nulla.jpg" width="300" /></a></div><br /><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><em>Sono
giorni che Bill Furlong gira per fattorie e villaggi con il camion
carico di legna, torba e carbone. Nessuno vuole restare al freddo la
settimana di Natale. Sotto la neve che continua a scendere, tutto va
come sempre in quel pezzo d'Irlanda. Poi, nel cortile silenzioso di un
convento, Bill fa un incontro che smuove la sua anima e i suoi ricordi.
Lasciar correre, girarsi dall'altra parte, sarebbe la scelta più
semplice, di certo la più comoda. Ma forse, per Bill Furlong, è arrivato
il momento di ascoltare il proprio cuore. «Mentre proseguivano e
incontravano altre persone che conosceva e non conosceva, si ritrovò a
domandarsi che senso aveva essere vivi se non ci si aiutava l'uno con
l'altro. Era possibile tirare avanti per anni, decenni, una vita intera
senza avere per una volta il coraggio di andare contro le cose com'erano
e continuare a dirsi cristiani, a guardarsi allo specchio?».</em></span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Su queste pagine abbiamo già raccontato <em>Un’estate</em>,
romanzo breve a firma Claire Keegan, un autentico gioiello di stile,
sensibilità e introspezione, che ha acceso in chi scrive il desiderio di
conoscere quanto più possibile pubblicato dalla cinquantaseienne
autrice irlandese. Era inevitabile, quindi, approcciarsi a questo <em>Piccole Cose Da Nulla</em>,
secondo romanzo pubblicato in Italia da Einaudi nel 2022 (l’opera è
dell’anno precedente), e opera che ha ravvivato ulteriormente quello
che, per il sottoscritto, è ormai devozione conclamata.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Un’inutile
prolusione, questa, e me ne scuso, solo per dire che davvero ci
troviamo di fronte a uno dei casi editoriali più interessanti degli
ultimi anni, e che, se avete amato il romanzo precedente, perderete la
testa anche per queste novanta pagine, a dir poco perfette. <em>Less is more</em>,
direbbero gli inglesi, e mai come in questo caso avrebbero ragione,
perché la Keegan ha l’indubbia capacità di condensare in poche righe un
intero mondo, di essere profonda, usando un linguaggio semplice,
diretto, quello fatto di parole, per parafrasare Hemingway, che valgono
solo un centesimo, e di scandagliare l’animo umano attraverso immagine
talmente vivide, da trasformare il lettore in un muto spettatore del
dipanarsi della trama. Hic et nunc.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Anche questo <em>Piccole Cose Da Nulla</em>
è ambientato nella provincia irlandese e negli anni ’80, in un mondo
antico solo sfiorato dalla civiltà capitalista, in cui artigiani,
contadini e piccoli imprenditori sono il motore economico della società,
in cui pochi privilegiati si muovono in un contesto di sussistenza,
mentre la povertà è pronto a bussare alla porta di chi sgobba per
mantenere la propria famiglia, e il baratto e l’aiuto caritatevole fanno
la differenza tra l’abisso e la sopravvivenza.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Bill
Furlong è un uomo semplice e timorato di Dio, figlio illegittimo di una
cameriera e cresciuto grazie alla bontà di una donna ricca, che l’ha
accolto nella propria casa, nutrendolo ed educandolo. Vende carbone,
Furlong, e lavora come un somaro per mantenere la sua numerosa famiglia.
Un giorno, un giorno come tanti, mentre porta un carico di carbone al
convento della cittadina in cui vive, scopre una giovane ragazza
rinchiusa nella carbonaia. E il suo piccolo mondo, fatto di casa, chiesa
e lavoro, inizia a vacillare. Perché quella ragazza, sporca e
infreddolita, gli apre gli occhi sull’orrore delle <em>Magdalene Laundry</em>, apparentemente istituti per il recupero di giovani donne “<em>difficili</em>”,
in realtà, veri e propri luoghi di segregazione e sfruttamento del
lavoro, nei quali, si scoprirà successivamente, si attuò una sistematica
carneficina, il cui computo dei morti, ragazze e neonati, non si è
ancora oggi concluso.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Inizia,
così, per Furlong un percorso di consapevolezza, che lo porterà, a
dispetto delle conseguenze, a fare la scelta giusta. Una decisione
difficile, che avrà inevitabili ripercussioni e che lo sottoporrà al
giudizio di una società ipocrita, bigotta, in cui la fede in Dio prende
spesso le sembianze di un do ut des con l’istituzione ecclesiastica.
Così, Furlong, da uomo remissivo e tranquillo, diventa un piccolo grande
eroe, che antepone al proprio tornaconto la pietas, che è sincera
fratellanza e amore per il prossimo. Viene in mente, a tal proposito,
quella meravigliosa poesia del grande poeta greco, Costantino Kavafis:</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Arriva per taluni un giorno, un’ora</span><br /><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> in cui devono dire il grande Sì</span><br /><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> o il grande No. Subito appare chi</span><br /><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> ha pronto il Sì: lo dice e sale ancora</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">nella propria certezza e nella stima.</span><br /><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> Chi negò non si pente. Ancora No,</span><br /><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> se richiesto, direbbe. Eppure il No,</span><br /><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> il giusto No, per sempre lo rovina.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Ci
vogliono molta forza e molto coraggio per saper dire di no, quando gli
altri forse si aspetterebbero diversamente, quando la società ci vuole
piccoli ingranaggi in un meccanismo ben oliato, quando il buon senso ci
imporrebbe di tenere la testa bassa, e tacere, complici per convenienza.
Furlong, però, non ci sta, ascolta la sua voce interiore e si ribella.
La Keegan lo prende per mano e lo accompagna in questo percorso di
redenzione, lo stesso che, seppur accidentato, percorrono tutte quelle
persone che, quotidianamente, rinunciano a qualcosa di se stesse, per
non rinunciare alla propria anima. E hanno il coraggio di dire, di
gridare: no! Contro ogni logica.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Blackswan, martedì 20/02/2024 <br /></span></p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-90849825721554788492024-02-19T09:00:00.004+01:002024-02-19T09:00:00.141+01:00MADDER MORTEM - OLD EYES, NEW HEART (Dark Essence Records, 2024)<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYSwwRWfIR10_k3Z4GUi1kPt-APg0prr4HUYgAeEpgL0vaaoSj0LoVRU6qZr4n7Rh77MqCA7ieyanN8qVbZStUc_kcwWnVsfHdQ-U0KE7HgMvPsLSE00CStq6IKWFlNJN4AIYgFrpmJcnzQO3aLEwe5l6fNXmx-APBWQMNZw-fH6q4lMxr5f_eMXu34SI/s1200/madder-mortem.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYSwwRWfIR10_k3Z4GUi1kPt-APg0prr4HUYgAeEpgL0vaaoSj0LoVRU6qZr4n7Rh77MqCA7ieyanN8qVbZStUc_kcwWnVsfHdQ-U0KE7HgMvPsLSE00CStq6IKWFlNJN4AIYgFrpmJcnzQO3aLEwe5l6fNXmx-APBWQMNZw-fH6q4lMxr5f_eMXu34SI/s320/madder-mortem.jpg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Nata
nel 1993 con il nome di Mistery Tribe (poi cambiato in Madder Mortem
nel 1997) la band norvegese, composta da Agnete M.Kirkevaag (voce), BP
M. Kirkevaag (chitarra e voce), Anders Langberg (chitarra), Tormod L.
Moseng (basso) e Mads Solås (batteria), ha mantenuto in questi
trent’anni un livello davvero alto d’ispirazione. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Otto album all’attivo, l’ultimo dei quali è questo <em>Old Eyes New Heart</em>,
in cui il gruppo ha sviluppato un’espressività creativa assoluta,
uscendo spesso e volentieri dallo steccato del genere metal, per
esplorare, sperimentare, e mescolare attitudini diverse. Post metal o
progressive metal poco importa; ciò che conta è che i Madder Mortem
abbiano dato sempre pochi punti di riferimento all’ascoltatore, e
plasmato la materia con un approccio tecnico ed eclettico che, nel corso
degli anni, ha prodotto un suono meno inquietante e cupo degli esordi,
in favore di una maggior accessibilità (da non confondersi con
normalizzazione).</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Cinque anni dopo il precedente <em>Marrow</em>
(2018), la band torna con un nuovo album composto da dieci canzoni,
ancora una volta non catalogabili in un unico genere, ancora una volta
in grado di alzare l’asticella di un suono progressivo e sperimentale.
Anche se c’è una grande varietà nell’album, però, <em>Old Eyes, New Heart</em>
suona comunque totalmente coeso, i momenti più duri, quando la band
alza il tiro elettrico delle composizioni, non oscurano alcuno degli
intricati arrangiamenti, la produzione scintillante mette ben in risalto
quegli scarti dalla normalità che rendono avvincente la narrazione, e
le ballate sottolineano, invece, il lato più fragile e intimo della
band, grazie anche al timbro versatile e poliedrico della Kirkevaag, la
cui voce sa graffiare, percuotere e dolcemente accarezzare. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Tutte
vivide sensazioni che nascono dal mood doloroso che permea l’album,
composto dopo la morte del padre della cantante e del chitarrista
(ricordato nelle note di copertina), trasformandolo in un condensato di
disarmante sincerità e di emozioni vivide e intense.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">La
prima cosa che si nota, già con la canzone di apertura, "Coming From
the Dark" (probabilmente, il brano più progressive in scaletta), è la
presenza di un maggior numero di dinamiche e momenti imprevedibili rispetto
al precedente <em>Marrow</em>. Un inizio che la dice lunga sul livello
d’ispirazione che permea la scaletta, punteggiata di grandi canzoni,
quali la grintosa e aggressiva "The Head That Wears the Crown", la
lunatica e cupa "Cold Hard Rain" e il singolo "Towers", in cui la band
trae ispirazione dal grunge, dal post-metal (Tool) e dal rock degli anni
'70. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">"<em>È stata una strada lunga e lenta, ma finalmente siamo a casa. Sono stati alcuni anni difficili, ma ora ne siamo fuori</em>". Con questo messaggio di speranza, contenuto nell’emozionante e conclusiva <em>Long Road</em>,
termina l’ennesimo disco di livello di una band, a cui il tempo ha
concesso in dono un’identità che, per quanto immediatamente
riconoscibile (la voce della Kirkevaag è un marchio di fabbrica), sfugge
a facili etichettature ed è capace di rinnovarsi, album dopo album,
senza perdere un briciolo del proprio misterioso fascino. Esattamente
come suggerisce il titolo del disco.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">VOTO: 7,5</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">GENERE: Prog Metal, Post Metal </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><br /></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/mzf7cvrk3jU" width="320" youtube-src-id="mzf7cvrk3jU"></iframe></div><br /><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"></span><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><br /></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: left;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Blackswan, lunedì 19/02/2024<br /></span></p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-44122355711046636772024-02-15T09:00:00.007+01:002024-02-15T09:00:00.148+01:00LUCIFER - V (Nuclear Blast, 2024)<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhaNTX3bRME84-NcsB5r1VdrJvU51vlxBKBlwEz-SVMfGwvQ-7YHJDPrRMoq5VfHL-7h6qjQ1ezkGg63nSEoVp0gqnweKItefMK3zZevkTuRR_WExO5tNjQLwUp5RQDuxBlATYwd5ifGPqiTVaoLlrjg2dY-KdAGpStvUv36wjsoW5oO5YfcGM0w-vqOCI/s300/lucifer%20V.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="300" data-original-width="300" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhaNTX3bRME84-NcsB5r1VdrJvU51vlxBKBlwEz-SVMfGwvQ-7YHJDPrRMoq5VfHL-7h6qjQ1ezkGg63nSEoVp0gqnweKItefMK3zZevkTuRR_WExO5tNjQLwUp5RQDuxBlATYwd5ifGPqiTVaoLlrjg2dY-KdAGpStvUv36wjsoW5oO5YfcGM0w-vqOCI/s1600/lucifer%20V.jpeg" width="300" /></a></div><br /><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Un
nome inquietante dai richiami satanisti, i continui ammiccamenti alla
morte, i rimandi all’occultismo e una mise en place tenebrosa,
potrebbero far pensare che quello degli svedesi Lucifer sia un rock dai
forti connotati gotici. In realtà, a parte un album d’esordio virato
verso il doom, la band capitanata da Johanna Sadonis possiede un
approccio molto meno oscuro di quanto si possa pensare, e il nuovo
disco, come quelli che lo hanno preceduto, è semmai un lavoro
indirizzato a far rivivere la golden age dell’hard rock, quegli anni
’70, cioè, che vedevano protagonisti della scena gruppi leggendari quali
Black Sabbath, Led Zeppelin, Deep Purple e Blue Oyster Cult.
Un’evoluzione, questa, che ha reso più accessibile la proposta di una
band evidentemente alla ricerca di un bacino sempre più ampio di
consensi.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">In tal senso, il nuovo <em>V</em>,
pur in una veste formale che ammicca all’horror (la copertina, i titoli
delle canzoni, i rimandi cimiteriali) è un disco brillante,
piacevolissimo anche per orecchie non abituate ai suoni più estremi, e
soprattutto attraversato da un’inclinazione melodica di facilissima
presa, in cui il sole illumina più di quanto ghermiscano le spire della
notte.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Il
disco si apre con la classicissima "Fallen Angel", ritmica galoppante,
riff che paga debito ai Black Sabbath, brano che aggancia l’ascoltatore
con assoli brevi ma incisivi e la voce splendida della Sadonis, che
forgia con grinta un ritornello dall’immediato appeal melodico. "At The
Mortuary" testimonia l’abilità della band svedese di giocare con una
materia antica, resa però appetibile da uno slancio moderno e idee
intriganti. La partenza è evidentemente l’ennesimo omaggio ai Black
Sabbath, l’atmosfera è doom, catacombale, ma poi il brano si sviluppa
tra rock classico e pop, il suono delle chitarre è vintage che più
vintage non si può, e i vapori sulfurei che emergono nella parte
centrale trovano il perfetto contrappunto in un ritornello dalla melodia
irresistibile.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Se
"Rider Reaper" omaggia fin dal titolo i Blue Oyster Cult, quelli più
lineari e melodici, "Slow Dance In A Crypt" è una ballata bluesy a
volute discendenti, un brano ammantato da oscuro romanticismo e segnato
da un bel interplay tra chitarre e qualche nota sgocciolante di piano. A
seguire, "A Coffin Has No Silver Lining" torna ad accelerare e sprizza
energia hard rock attraverso un ritornello che cita gli Scorpions di "No
One Like You", mentre l’arpeggio acustico con cui si apre "Maculate
Heart" introduce un rock diretto e orecchiabile, dal retrogusto anni ’60
(il tiro ricorda vagamente i Jefferson Airplane più scatenati) e
strattonato da un assolo infuocato che cattura l’aura di un epoca in cui
questa musica usciva quotidianamente dalle radio di mezzo mondo.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Il
disco fila verso la conclusione attraverso le maglie del rock blues
rugginoso di "The Dead Don’t Speak" e le accelerazioni di "Strange
Sister", brano intervallato brevemente da un rallentamento doom e
scartavetrato da una graffiante prova vocale della Sidonis. Chiude la
scaletta "Nothing Left To Lose But My Life", una ballata oscura che
avvampa in uno splendido assolo blues a lenta combustione. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Sarebbe semplicistico e riduttivo parlare di <em>V</em>
come di un semplice album derivativo, perché sebbene sia evidente il
patrimonio genetico ereditato da queste nove canzoni, l’approccio
compositivo della band è scintillante, soprattutto nella capacità di
amalgamare tanti ingredienti conosciuti con una forza espressiva
appassionata e stimolante. Niente di nuovo, certo, ma nemmeno la solita
zuppa vintage, tutta nostalgia e frusta riproposizione di abusati
clichè. Se, quindi, i vostri vecchi dischi di hard rock si stanno
consumando a furia di ascoltarli, dategli una spolverata e rimetteteli
al loro posto: i Lucifer sapranno farvi godere nello stesso modo.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">VOTO: 8</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">GENERE: Classic Rock </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><br /></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/uOIA6RONj5k" width="320" youtube-src-id="uOIA6RONj5k"></iframe></div><br /><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"></span><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><br /></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: left;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Blackswan, giovedì 15/02/2024<br /></span></p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-79565557389158843662024-02-13T09:00:00.001+01:002024-02-13T09:00:00.130+01:00ANTHONY DOERR - TUTTA LA LUCE CHE NON VEDIAMO (Rizzoli, 2017)<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiAR44kh8lBSeVS6b2G066-w1GvCLUWadJYvTPgaVgkdctG1crh-Pk0aBKVS4I-9l7nxvOmHie3NhIc5yQIYTnocQSFn32z9afqmtrshcUBU9gnXWps1ySI6XH35wSl9xazwEkaWY_AUMPStqUdPuZ1lERNhGBy2rOehTPkYTI6MJHbkYnimsCrK7ntMfc/s411/tutta-la-luce-che-non-vediamo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="411" data-original-width="285" height="358" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiAR44kh8lBSeVS6b2G066-w1GvCLUWadJYvTPgaVgkdctG1crh-Pk0aBKVS4I-9l7nxvOmHie3NhIc5yQIYTnocQSFn32z9afqmtrshcUBU9gnXWps1ySI6XH35wSl9xazwEkaWY_AUMPStqUdPuZ1lERNhGBy2rOehTPkYTI6MJHbkYnimsCrK7ntMfc/w273-h358/tutta-la-luce-che-non-vediamo.jpg" width="273" /></a></div><br /> <p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><em>È
il 1934, a Parigi, quando a Marie-Laure, una bambina di sei anni con i
capelli rossi e il viso pieno di lentiggini, viene diagnosticata una
malattia degenerativa: sarà cieca per il resto della vita. Ne ha dodici
quando i nazisti occupano la città, costringendo lei e il padre a
trovare rifugio tra le mura di Saint-Malo, nella casa vicino al mare del
prozio. Attraverso le imposte azzurre sempre chiuse, perché così impone
la guerra, le arriva fragorosa l'eco delle onde che sbattono contro i
bastioni. Qui, Marie-Laure dovrà imparare a sopravvivere a un nuovo tipo
di buio. In quello stesso anno, in un orfanotrofio della Germania
nazista vive Werner, un ragazzino con i capelli candidi come la neve e
una curiosità esuberante per il mondo. Quando per caso mette le mani su
una vecchia radio, scopre di avere un talento naturale per costruire e
riparare questi strumenti di fondamentale importanza per le tattiche di
guerra, un dono che si trasformerà nel suo lasciapassare per accedere
all'accademia della Gioventù hitleriana, e poi partire in missione per
localizzare i partigiani. Sempre più conscio del costo in vite umane del
suo operato, Werner si addentra nel cuore del conflitto. Due mesi dopo
il D-Day che ha liberato la Francia, ma non ancora la cittadina
fortificata di Saint-Malo, i destini opposti di Werner e Marie-Laure
convergono e si sfiorano in una limpida bolla di luce.</em></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"> </p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Ci
sono libri che hanno il potere di riportare il lettore agli anni
dell’adolescenza, a quelle letture rubate al sonno, ai romanzi letti nel
cuore della notte, sotto le coperte, la luce di una piccola pila a
illuminare un mondo. Letture formative, avvincenti, indispensabili, che
forgiavano l’immaginazione, che creavano un immaginario di sentimenti,
un habitus etico, nutrendo la fantasia dell’astrazione e la profondità
del ragionamento. Questi romanzi li chiamiamo classici, e sono quei
libri di cui Italo Calvino diceva che “<em>non hanno mai finito di dire quel che hanno da dire</em>”.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><em>Tutta La Luce Che Non Vediamo</em>
assolve nel migliore dei modi a questa funzione, è un piccolo classico,
un’emozionante storia di formazione, capace di appassionare un adulto
e, al contempo, di toccare l’anima di un giovane lettore, che verrà
rapito da una trama ammaliante, e si troverà a confrontarsi con temi
decisivi per il suo cammino verso la maturità.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Doerr,
che per questo romanzo ha vinto il premio Pulitzer per la letteratura
nel 2015, sorprende per la sua prosa dal sapore antico, quasi
ottocentesco, che si tiene però lontana da paludamenti aulici,
scegliendo, invece, la strada di un’esposizione snella e di un ritmo
che, pur senza esasperazione, mantiene desta l’attenzione per tutte le
oltre cinquecento pagine di durata del libro. Una scrittura che, pur
nella sua immediatezza, si presenta, comunque, sempre densa e
avvolgente, aprendo a vari piani di lettura: dal più subitaneo e
palpitante, quello, cioè di due drammatiche traiettorie esistenziali che
il destino porterà a incrociarsi, a quello più sotterraneo e più
riflessivo, che affronta temi complessi, senza banalizzazioni, ma con
lucida profondità.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">E’
questa stratificazione, questo scandagliare l’animo umano di fronte
alle avversità della vita, questo raccontare una tragedia, tanto
universale quanto personale, a rendere il romanzo di Doerr un istant
classic, una lettura emotiva ed emozionante, un vademecum etico ad ampio
raggio, attualissimo nell’esporre la stretta connessione tra l’uomo di
oggi e quello di ottant’anni fa, tra l’insensata follia della guerra e
l’altrettanto insensata deriva etica degli anni terribili che stiamo
vivendo.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">La
storia non ha insegnato nulla, facciamocene una ragione. La guerra, il
nazismo, la persecuzione delle minoranze, sono il duro pane quotidiano
delle nostre esistenze, oggi come allora. E se il tema dell’efferatezza
della guerra, dell’indottrinamento ideologico, della prevaricazione nei
confronti dei più deboli, occupa pagine dolorose e di cruda violenza,
Doerr dimostra, in egual modo, straordinaria sensibilità nel raccontare i
raggi di sole di un’umanità che, pur messa alle strette, è ancora
capace di atti di coraggio e di compassione.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Ecco
allora, il papà di Marie-Laure che si prende amorevole cura della
figlia non vedente, creando un mondo alternativo alla disabilità, in cui
è il tatto a generare emozioni, la fantasia e la lettura il grimaldello
per scardinare la porta di una vita imprigionata nel buio, e la
consapevolezza di sé il carburante nobile per sopravvivere alle
avversità e alla malvagità altrui. Ecco, Etienne, lo zio di Marie –
Laurie, un fantasma che si nasconde al mondo, vittima degli incubi
vissuti durante il primo conflitto mondiale, che grazie alla nipote,
trova nuovamente la forza di lottare e il coraggio di fare ciò che è
giusto. E poi, Werner, la cui anima, prima piegata dall’indottrinamento
nazista, trova la forza di ribellarsi, dopo un percorso di dolorosa
comprensione, ricongiungendosi alla pietas e all’amore.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">L’amore
per noi stessi e per il prossimo. E’ questa tutta la luce che non
vediamo, la sola luce che conta, quella che è sempre presente a
illuminare il cammino, a farci scegliere il bene e combattere il male. E
c’è anche un’altra luce, non meno importante, che Doerr omaggia con
pagine di straordinaria bellezza: quella che nasce dal potere evocativo
della radio, uno strumento che anche oggi non ha perso un grammo del suo
misterioso fascino, e che è capace di far volare l’immaginazione,
esattamente come quei romanzi di Jules Verne che Marie-Laurie legge, con
vorace e appassionato trasporto. Pennellate di colore che liberano
l’anima dal gioco alienante dell’oscurità.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Dal
libro è stata tratta una miniserie Tv, che potrete guardare su Netflix,
e che vanta un cast d’eccezione, visto che tra gli interpreti ci sono
Mark Ruffalo e John Laurie. Una visione piacevole, ma ben lontana
dall’intensità e dalla profondità del libro, la cui trama è stravolta
dall’adattamento cinematografico e da una sceneggiatura che tende a
semplificare il testo e ad aggiungere personaggi, arrivando persino a
modificare il finale.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Blackswan, martedì 13/02/2024 <br /></span></p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-56559075921956039382024-02-12T09:00:00.001+01:002024-02-12T09:00:00.138+01:00THE GEMS - PHOENIX (Napalm Records, 2024)<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhlKJ4MKAT-6As3F2h7XI7aujl76a6QptGnIcQkaXK6WA3pKbw8sa0n8voWvNBT1g60cDA4Q4jzSV9vVegGcS51HyH8O4gv4SKpIv2Z-R81Mz7lfZzmhWY3bq1jNxALNDqab99E2fDEw_E1juGTeq-j9HPTd0AgXEvW6vAw1lHpmVAPBK5P_WNds_7cF1s/s1200/the%20gems.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhlKJ4MKAT-6As3F2h7XI7aujl76a6QptGnIcQkaXK6WA3pKbw8sa0n8voWvNBT1g60cDA4Q4jzSV9vVegGcS51HyH8O4gv4SKpIv2Z-R81Mz7lfZzmhWY3bq1jNxALNDqab99E2fDEw_E1juGTeq-j9HPTd0AgXEvW6vAw1lHpmVAPBK5P_WNds_7cF1s/s320/the%20gems.jpeg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Un
tempo erano un quartetto e si chiamavano Thundermother. Poi, dissapori
interni, hanno portato a una vera e propria diaspora, che ha visto tre
quarti della line up, la cantante Guernica Mancini, la batterista Emlee
Johansson e la chitarrista/bassista Mona Lindgren, mollare la fondatrice
Filippa Nässil, per proseguire la carriera con un altro progetto.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Nascono
così le Gems, power trio la cui proposta resta assolutamente in linea
con quella della precedente band: dare lustro al classic rock che
affonda le proprie radici negli anni ’70 e ’80. <em>Phoenix</em>, titolo
quanto mai azzeccato, che evoca la resurrezione dalle ceneri e un nuovo
esaltante inizio, è un disco decisamente derivativo, che plasma il
suono di quei gloriosi decenni senza inventare nulla di nuovo. Eppure,
la scaletta è varia e coinvolgente, trasuda passione ed energia, e gli
arrangiamenti, efficacissimi, invece di inasprirlo, levigano il suono,
dandogli un taglio mainstream, e a tratti piacevolmente radiofonico.
Ciò, però, non toglie nulla all’impatto di quindici brani, più una bonus
track acustica, che filano prevalentemente a velocità supersonica, tra
riff grintosi e ritornelli acchiapponi, vera e propria goduria per tutti
gli appassionati del genere.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">L’iniziale <em>"</em>Aurora
– Interlude" è uno specchietto per le allodole, che apre il disco con
un minuto e mezzo di cadenzato folk blues, che non avrebbe sfigurato in
un disco della prima Adele. E’ un inganno, però, perché appena finito di
apprezzare la bella linea vocale della Mancini, parte serratissimo il
riff di <em>Queens</em>, che fa pensare immediatamente a "Tie Your
Mother Down", guarda caso, proprio dei Queen. Da questo momento in poi, a
parte un episodio e qualche breve intermezzo, il tiro del disco si fa
indemoniato, e la successiva "Send Me To The Wolves", che cita
spudoratamente i Led Zeppelin, mette ben in chiaro quali siano le frecce
migliori all’arco del trio: aggressività e melodia, assoli rapidi e
inseriti con gusto in un contesto spesso innodico, grazie a ritornelli
che entrano in testa fin dal primo ascolto.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Le
tre ragazze svedesi ci sanno fare benissimo anche quando rallentano il
tiro, come accade nel cuore dell’album, con il breve strumentale per
archi "Maria’s Song – Interlude" che introduce "Ease Your Pain", una
ballata da pelle d’oca, avvolta nelle spire calde di un malinconico
blues, che mette in mostra il versatile timbro vocale della Mancini.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Le
altre canzoni, come si diceva, per quanto rifinite da una produzione
scintillante, sono fucilate ad alzo zero. Difficile, quindi, non
abbandonarsi all’headbanging quando parte in sgommata "Running", brano
il cui riff richiama i primi Iron Maiden, o quando l’assalto all’arma
bianca di <em>Like A Phoenix</em> (fantastico il ritornello) palesa la
propria consanguineità con l’heavy dei Motorhead, tanto che viene da
chiedersi perché non ci sia Lemmy a cantare. Non c’è tempo, però, per
tirare il fiato, perché la successiva "P.S.Y.C.H.O." è una fiammata
contigua al punk, in cui le Gems danno prova di una sguaiata spavalderia
da riot grrrl, mentre "Force Of Nature", se possibile, spinge ancora
più decisamente il piede sull’acceleratore di un’hard rock di matrice
settantiana.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">La peculiarità di <em>Phoenix</em>
è racchiusa in pochi, ma perfettamente amalgamati ingredienti: il
grande amore per il rock degli anni d’oro, riletto però senza
soggezione, ma con disinibita freschezza, e suonato con tecnica da
veterane del genere. Il risultato è un disco diretto, gioioso,
selvaggio, svincolato da inutili fronzoli, e per questo estremamente
semplice da assorbire. Una nuova partenza per tre musiciste che hanno
quel talento e quella personalità necessarie per fare molta strada verso
un futuro di successi.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">VOTO: 8</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">GENERE: Classic Rock, Hard Rock</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/lG5yz8yA0pc" width="320" youtube-src-id="lG5yz8yA0pc"></iframe></div><br /> <p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: left;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Blackswan, lunedì 12/02/2024 <br /></span></p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-71067560643621893882024-02-09T09:00:00.004+01:002024-02-09T09:00:00.136+01:00YES, ANASTASIA - TORI AMOS (Atlantic, 1994)<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjjI8-WQnv1hOACGVq_mlon7IgZhEJ1JN2bBdhj1C6eIkM2Lq7olPL17Rw3A6swMsYqBj_lO046Z1lys9b4GaNo2vAX46zSn-RtFU2sXui_kIftsPwCZffC5b4ouOcL5WtYaGMNACepZ9fwtWH83s00G4HXwJB81RMGrjCCH_PxUq69rxVpNxsw8rAJhnA/s619/tori%20amos.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="320" data-original-width="619" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjjI8-WQnv1hOACGVq_mlon7IgZhEJ1JN2bBdhj1C6eIkM2Lq7olPL17Rw3A6swMsYqBj_lO046Z1lys9b4GaNo2vAX46zSn-RtFU2sXui_kIftsPwCZffC5b4ouOcL5WtYaGMNACepZ9fwtWH83s00G4HXwJB81RMGrjCCH_PxUq69rxVpNxsw8rAJhnA/w351-h200/tori%20amos.jpg" width="351" /></a></div><br /><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Epici e drammatici, i nove minuti e mezzo di <em>Yes, Anastasia</em>, ultima traccia da <em>Under The Pink</em>,
secondo album solista di Tori Amos, sono stati ispirati da Anastasia
Romanov, la figlia più giovane dello zar Nicola II di Russia, e da Anna
Anderson, la donna che si spacciò per la diciassettenne granduchessa,
che per lungo tempo si ritenne l’unica sopravvissuta al massacro della
famiglia reale.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Questi,
in soldoni, i fatti. Nel 1918, Anastasia e la sua famiglia furono
giustiziati dai rivoluzionari bolscevichi, ma circolarono insistenti
voci secondo cui Anastasia e suo fratello Aleksey fossero sopravvissuti
al massacro. Pochi anni dopo, una donna di nome Anna Anderson affermò di
essere la granduchessa scomparsa da tempo. Per decenni, la Anderson ha
combattuto una battaglia legale, poi persa, per dimostrare la sua “vera”
identità, fino a quando morì di polmonite nel 1984, continuando a
sostenere di essere Anastasia. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Secondo
Amos, l'idea per la canzone è venuta direttamente dal fantasma di
Anderson/Anastasia, che la visitò durante una notte, mentre si trovava a
letto, sofferente per un’intossicazione alimentare presa durante una
tappa del tour in Virginia, dove, peraltro, la Anderson viveva quando
morì. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">La cantante raccontò che, durante il delirante dormiveglia,
dialogò con il fantasma che le suggerì il verso "<em>Vedremo quanto sei coraggiosa</em>",
una frase, questa, che compare nel testo della canzone, ma che fu anche
sprone di creatività per la composizione delle canzoni di <em>Under The Pink</em>. Quel verso per la Amos significava più o meno “<em>se vuoi davvero una sfida, affronta te stesso</em>", un pungolo che la spinse ad azzardare in fase creativa, tanto che la prima parte di <em>Yes, Anastasia</em>,
fu scritta di getto, come un unico flusso di libera ispirazione, così
sperimentale che, una volta registrata la canzone, la Amos impiegò ben
sei settimane per imparare a memoria quanto aveva composto.
Inizialmente, poi, la pianista si scontrò con la casa discografica che
voleva sulla canzone un arrangiamento d’archi (come, poi, fu). La Amos
non era assolutamente d’accordo perché il brano era ispirato a un
terribile fatto di sangue e riteneva che l’utilizzo degli archi creasse
un disallineamento con la brutalità degli eventi che avevano influenzato
la composizione. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Questa è la genesi di una delle più intense canzoni scritte da Tori Amos, che contribuì a portare <em>Under The Pink</em>
a vendere due milioni di copie solo negli Stati Uniti, ottenere una
candidatura ai Grammy come miglior album alternativo e a conquistare la
prima piazza delle classifiche inglesi. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Resta un solo aspetto da
chiarire: la Anderson era davvero Anastasia? All'inizio degli anni '90,
il blocco sovietico iniziò a sgretolarsi e furono così rivelate
informazioni su dove si trovava la famiglia reale massacrata. I loro
corpi furono riesumati da una fossa comune e le loro identità furono
confermate attraverso il test del DNA: erano lo zar Nicola, la zarina
Alessandra e le figlie Olga, Tatiana e Maria. Nel 1994, venne, quindi,
estratto un campione dai resti della Anderson, deceduta qualche anno
dopo e si scoprì che la donna era in realtà Franziska Schanzkowska,
un'operaia polacca che soffriva di malattie mentali. In seguito, nel
2007, furono ritrovati i corpi dei due bambini scomparsi, Anastasia e
Aleksey e il rinvenimento dei resti mise fine a ogni ulteriore
speculazione sull’esistenza in vita di Anastasia.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/JMhdLspttjE" width="320" youtube-src-id="JMhdLspttjE"></iframe></div><br /> <p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: left;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Blackswan, venerdì 09/02/2024 <br /></span></p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-89658325501178290822024-02-07T09:00:00.001+01:002024-02-07T09:00:00.146+01:00JEREMY - PEARL JAM (Epic, 1991)<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi07OkKji_UTq3qXsKy-XL6VPvDynQ1GNX4KVy7J-u-04NpLXOv65UVhjR1tQWLqjt-6zT4n8RdcqB8IiW9Ex0U-3T1LX3R25w420_h3sxumQeT8xmGjleNoM1E0eaT7LeOx-du332lgTYTo7gPFUjF0856nh2QixQIrIITSjhzr26uFRDrcIxF1hMErKI/s960/jeremy.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="540" data-original-width="960" height="206" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi07OkKji_UTq3qXsKy-XL6VPvDynQ1GNX4KVy7J-u-04NpLXOv65UVhjR1tQWLqjt-6zT4n8RdcqB8IiW9Ex0U-3T1LX3R25w420_h3sxumQeT8xmGjleNoM1E0eaT7LeOx-du332lgTYTo7gPFUjF0856nh2QixQIrIITSjhzr26uFRDrcIxF1hMErKI/w355-h206/jeremy.jpg" width="355" /></a></div><br /><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">E’
la mattina dell’8 gennaio del 1991, una giornata come tante, alla
Richardson High School di Richardson, in Texas. I cancelli della scuola
si aprono, gli studenti entrano e sciamano schiamazzando verso le
rispettive classi. Il quindicenne Jeremy Delle, però, arriva con un’ora
di ritardo, e l’insegnate d’inglese che si è appena seduta alla
cattedra, lo invita ad andare in presidenza per giustificarsi e farsi
dare l’autorizzazione a proseguire le lezioni. Jeremy esce dall’aula e
rientra quasi subito. In mano impugna una pistola. Guarda la classe
sorridendo, poi si gira verso l’insegnante e le dice: “<em>Signorina, ho ottenuto quello che volevo davvero</em>.” Subito dopo, alza la pistola, se la infila in bocca e fa fuoco.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Jeremy
non era uno psicopatico, ma un ragazzo solare, simpatico, gentile. Era
tormentato, questo sì, perchè non sopportava più di essere preso in giro
dai compagni, di essere considerato lo zimbello della classe.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Eddie
Vedder apprende del suicidio leggendo il Dallas Morning News e resta
profondamente turbato dalla tragedia. Anche lui da ragazzo ha pensato
spesso al suicidio, a farla finita con la sua giovane vita.
Identificarsi con Jeremy è inevitabile, tanto che alla premiazione per
la clip della canzone, premiata per il miglior video dell’anno, il
cantante dei Pearl Jam afferma:” <em>Se non fosse stato per la musica,
penso che mi sarei sparato davanti alla classe. È davvero ciò che mi ha
tenuto in vita, quindi questo premio chiude un cerchio</em>”. I ricordi
degli anni scolastici, però, si affastellano nella mente di Vedder, che
ripensa anche a un suo compagno con le stesse inclinazioni di Jeremy.
Quel ragazzo, di cui il cantante aveva scordato il nome, era
completamente fuori di testa, tanto che un giorno si presentò in classe
con una pistola e si mise a sparare a un acquario.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Nacque
così l’idea di scrivere una canzone che si soffermasse sul disagio dei
giovani, sul bullismo, sull’indifferenza dei genitori, troppo occupati
dai problemi della vita, per rendersi conto del dolore che affligge i
propri figli, una canzone che puntasse il dito su un sistema scolastico
troppo rigido e severo, incapace di accogliere davvero le istanze dei
più fragili.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Jeremy,
fin dal suo concepimento, era un brano destinato a creare polemiche, e,
infatti, attirò sulla band parecchie critiche. Anche da coloro che
quella tragedia l’avevano vissuta in prima persona. La prima a puntare
il dito contro i Pearl Jam fu Brittany King, una compagna di classe di
Jeremy, presente quando il ragazzo premette il grilletto: “<em>Quando ascoltai la canzone, mi arrabbiai molto con Vedder. Ho pensato: non lo sai. Non eri lì. Questo racconto non è accurato</em>”. Più tardi, a esprimersi contro le liriche di Vedder fu Wanda Crane, la madre della giovane vittima:”<em>Sebbene
Jeremy si sia sparato davanti alla sua classe, non era il ragazzo
silenzioso e asociale ritratto nella canzone. Quel giorno in cui è morto
non ha definito la sua vita (questa è la frase che trovate sul sito
dedicato a Jeremy). Era un figlio, un fratello, un nipote, un cugino.
Era un amico. Aveva talento."</em></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Nel
1993, il video di "Jeremy" vinse quattro MTV Video Music Awards: video
dell'anno, miglior video di gruppo, miglior video metal/hard rock e
miglior regista. Quest’ultimo era Mark Pellington, noto anche per aver
diretto il video di Alice in Chains per <em>Rooster</em>, il film <em>Arlington Road</em> e diversi episodi della serie TV <em>Cold Case</em>. <br /></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Quando
Pellington ricevette il nastro della canzone, il brano gli piacque
poco, e inizialmente si rifiutò di lavorarci, perché non sentiva le
vibrazioni necessarie. Poi, convinto dal suo produttore e dallo stesso
Vedder, che gli spiegò che quella cantata in <em>Jeremy</em> era una storia vera, si rimise all’ascolto e rimase conquistato.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Anche
il video, girato a Londra, causò qualche problema alla band, che ancora
una volta si trovò al centro di polemiche. Alla fine della clip,
infatti, si vede <em>Jeremy</em> entrare, a torso nudo, nella sua
classe, lanciare una mela all'insegnante e fare un gesto come se
estraesse qualcosa dalla tasca. Successivamente vediamo i suoi compagni
di classe scioccati e spruzzati di sangue, il che farebbe pensare che
Jeremy abbia sparato verso di loro. In origine, invece, questa parte del
video mostrava esplicitamente il ragazzo infilarsi in bocca la pistola,
ma MTV ne ordinò la rimozione. Ciò creò una grande confusione, perché
sembrava che il protagonista avesse portato la pistola per colpire i
suoi compagni di classe. Un cortocircuito che fece sì che l’opinione
pubblica americana spesso, erroneamente, associò la canzone alle tante
successive sparatorie avvenute nelle scuole. Un esempio? Nel 1996, Barry
Loukaitis, uno studente di scuola media dello Stato di Washington,
sparò e uccise due studenti e un insegnante mentre andava a scuola. La
difesa sostenne, durante il processo, che il giovane assassino era stato
condizionato dalla visione del video dei Pearl Jam, che fu esibito in
aula come prova a discarico. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Oggi, il video è riproposto su youtube
nella sua veste originale, ma le parolacce sono censurate e prima di
guardarlo dovete confermare di essere adulti.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">La
clip fu oggetto di ulteriori strali da parte della censura. Se si fa
molta attenzione, al minuto 3:30 del video, si può notare un rapido
cambio d’inquadratura: i bambini in piedi con le mani sul cuore per il
giuramento di fedeltà, si trasformano per qualche secondo in ragazzi che
fanno il saluto nazista. Apriti cielo. La band fu, quindi, anche
accusata di avere simpatie di estrema destra, quando invece l’intento
era semplicemente quello di mettere al berlina il sistema scolastico
americano.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Il
protagonista del video era un aspirante attore, Trevor Wilson, che
aveva 12 anni quando la clip fu girata. Wilson ottenne la parte battendo
la concorrenza di altri 200 ragazzini, perché girò il provino mentre
era malato di influenza, e quindi aveva un aspetto emaciato, che lo
faceva apparire dissociato, e che ben si adattava allo stato psichico del
protagonista della canzone. Il video attirò molta attenzione sul
giovane attore, che, però, si ritirò immediatamente dalla ribalta e
smise di recitare, per diventare in età matura un funzionario delle
Nazioni Unite.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Wilson è morto nel 2016, all’età di trentasei anni, annegato nelle acque di Porto Rico.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/MS91knuzoOA" width="320" youtube-src-id="MS91knuzoOA"></iframe></div><br /> <p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: left;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Blackswan, mercoledì 07/02/2024 <br /></span></p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-47119218139553480642024-02-05T09:00:00.001+01:002024-02-05T09:00:00.483+01:00EARTHSIDE - LET THE TRUTH SPEAK (Mascot Records, 2023)<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPDByxnMrUjVteh3NbYCeCvWSflxRz5-QJku3SSuGG9DZcd9mImL-9fq5OpIHBoGC8XkgN4I0OORrVB7Hem-NsnJrcLMtEr1DVwS5QB7tjQFmfeiY4pAXpz6_MwK5QxPK2CqSydO8LvMNexBFEm82W7QBJ-Kg3TSr32rY4sFe8xGRVPUT9_4Q3exrwGYQ/s700/earthside.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPDByxnMrUjVteh3NbYCeCvWSflxRz5-QJku3SSuGG9DZcd9mImL-9fq5OpIHBoGC8XkgN4I0OORrVB7Hem-NsnJrcLMtEr1DVwS5QB7tjQFmfeiY4pAXpz6_MwK5QxPK2CqSydO8LvMNexBFEm82W7QBJ-Kg3TSr32rY4sFe8xGRVPUT9_4Q3exrwGYQ/s320/earthside.jpg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Quella degli Earthside, band proveniente dal New England, sarebbe stata una storia perfetta per <em>Chi L’ha Visto?,</em> storico programma televisivo in onda su Rai3. Quando, infatti, la band americana pubblicò il suo album di debutto, <em>A Dream In Static</em>
(2015), sembrava l'inizio di una carriera travolgente, di quelle
accompagnate da rulli di tamburo e squilli di tromba. Quel disco,
infatti, offriva all’ascoltatore una raffica diabolicamente complessa,
ma anche estremamente accessibile, di canzoni che frullavano con
eleganza prog metal moderno, post-djent e digressioni atmosferiche,
catturando l’attenzione di pubblico e critica, che unanimemente vedevano
nella band la next big thing del prog. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Nessuno
mai avrebbe pensato che ci sarebbero voluti ben otto anni, solo in
parte a causa della pandemia e del lockdown, perché gli Earthside
tornassero a far parlare di sè, con un seguito di quell’acclamato primo
album. Tanto tempo, certo, ma speso benissimo, per affinare il loro
suono e limare un filotto di canzoni a dir poco strepitoso.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Se <em>A Dream In Static</em>
fu un fulmine a ciel sereno, potremmo definire questo nuovo lavoro un
arcobaleno, i cui splendidi colori sono declinati attraverso una visione
ambiziosa, aperta alla contaminazione tanto da essere quasi
omnicomprensiva, ricca di suggestioni opulente, equilibrata nel fondere
perfettamente atmosfere cinematografiche e la potenza del metal.
Arricchito da una scintillante line-up internazionale di guest star,
quali il frontman dei Tesseract, Daniel Tompkins, e Larry Braggs,
cantante dei leggendari Tower Of Power, solo per citare i più noti, <em>Let The Truth Speak</em>
è uno di quei dischi che trascende i più ovvi riferimenti stilistici e
si distingue, invece, per la ricerca di una creatività sfacciata e una
tensione “progressista” svincolata dai tropi di genere. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Ispirato dai tempi bui e dai cambiamenti che negli ultimi anni hanno coinvolto l’umanità intera, <em>Let The Truth Speak</em>
è un lavoro profondamente emozionante, attraversato da onde di dolorosa
malinconia. E’ un disco, anche, meticolosamente arrangiato e riccamente
stratificato, composto da una scaletta di canzoni sontuose e
clamorosamente melodiche, ognuna delle quali offre all’ascoltatore un
microcosmo musicale autonomo, in cui nulla si sviluppa mai in modo
convenzionale. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Chi
è appassionato al genere, che nell’anno appena trascorso ha visto la
pubblicazione di autentici gioielli (Haken, Ne Obliviscaris, Tesseract,
Prophecy), finirà per soccombere anche al fascino di questo incredibile
sophomore. Che si tratti di chitarre ribassate, di incursioni nel post
rock o di digressioni atmosferiche, gli Earthside, infatti, hanno
puntato alla perfezione, creando un universo vorticoso e multiforme che
rapisce a ripetuti ascolti.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">La
delicatezza della traccia di apertura, "But What if We are Wrong",
scivola dolcemente su un reflusso di marimba (opera degli ospiti Sandbox
Percussion), prima che nel brano si insinuino oscure correnti
sotterranee di chitarra e batteria, che si accumulano lentamente verso
un crescendo avvolgente e maestoso. Il rullo ossessivo della batteria e
aspri riff di chitarra spingono tensione nell’urgenza struggente
dell’epica "We Who Lament", mentre la voce Keturah (ospite come lead
singer), si posiziona a metà strada tra rabbia e struggimento
malinconico, accompagnando il brano in una seconda parte decisamente
post rock. In questo uno due iniziale si comprende immediatamente che le
frecce migliori all’arco degli Earthside sono l’audacia e la
complessità espositiva, quantunque, poi, ogni singola nota è
assolutamente fruibile, anche da chi è refrattario ai momenti più
contigui al metal. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">E’
quello che succede, ad esempio, in "Tirrany" (alla voce c’è Pritam
Adhikary della band metalcore degli Aarlon), una ballata monumentale e
grandiosa, che scivola dolcemente, attraverso lusinghe pop, in un
scintillante territorio post-rock, prima di cambiare nuovamente strada
attraverso una straordinaria rete di riff, ritmica in controtempo e
melodie oblique, mentre archi celestiali perforano la facciata
fragorosa, aggiungendo un tocco di inquieto romanticismo.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Coinvolgere
diversi cantanti come ospiti nelle tracce ha consentito alla band di
concentrarsi solo sulla musica, e questo conferisce individualità alle
canzoni, aggiungendo una varietà che non sarebbe stata possibile
ottenere se avessero utilizzato sempre lo stesso singer. Ciò è evidente
in svariati episodi, come quando AJ Channer dei Fire From The Gods
presta le sue corde vocali per "Pattern of Rebirth", portando un timbro
più caldo mentre riff rapidi e infuocati spingono verso territori più
contigui al metal, o quando Larry Braggs appare nell’incredibile "The
Lesser Evil", un sorprendente crossover fra soul e funk, prog e metal,
strutturato inizialmente su dinamiche impalpabili e poi su una serie
vorticosi di crescendo, in cui compaiono scintillanti e vigorosi ottoni e
un drumming agile e sincopato come nella miglior tradizione del funk
anni '70. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Difficile
oggi trovare in giro qualcosa di più originale e eccitante, tanto che,
quando nella seconda parte della canzone compaiono il flauto e il sax in
una sospensione quasi jazzata prima che il brano torni a mostrare i
muscoli, è quasi istintivo riascoltare la traccia ancora, ancora, e
ancora. Puro genio.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">E
non è finita, perché c’è ancora tanta carne al fuoco. "Denial’s Aria"
vede il ritorno della voce meravigliosa e seducente di Keturah, che in
coppia con Vikke duetta in questa mestissima ballata, in cui le arpe
suonate del Duo Scorpio (Katie Andrews e Kristi Shade) aggiungono un
tocco etereo all'armonizzazione delicata e struggente. Vikke si cimenta
anche in "Vespers", insieme al cantante russo Gennady Tkachenko-Papizh,
creando una traccia oscura e ambient, e usando le voci come strumenti
per un risultato surreale e ipnotizzante. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">E
se Daniel Tompkins (Tesseract) offre una magistrale performance vocale
nella title track, un brano totalmente folle nella sua costruzione
ansiogena e multiforme, il disco si chiude con l’epica coda strumentale
di "All We Knew and Ever Loved", un finale claustrofobico e gravido di
pathos che sfuma in un silenzio palpabile e smarrito.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Difficile
rimanere insensibili di fronte a questo ascolto, un’opera colossale
(quasi settanta minuti di durata), in cui non si apprezza solo la
genialità delle composizioni o la caratura tecnica di una band davvero
fuori dalla norma, ma anche, e soprattutto, la straordinaria tensione
che permea ogni nota del disco. Una tensione che è capace di farsi
furore, struggimento, estasi mistica, contemplazione malinconica e
vibrante romanticismo. Un album talmente emozionante, che saremmo
disposti ad attendere altri otto anni per poter provare lo stesso,
intenso piacere. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">VOTO: 9</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">GENERE: Progressive Metal</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><br /></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/9TGRByXBjPg" width="320" youtube-src-id="9TGRByXBjPg"></iframe></div><br /><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"></span><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><br /></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: left;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Blackswan, lunedì 05/02/2024<br /></span></p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-21584521658094024842024-02-01T09:00:00.005+01:002024-02-01T09:00:00.414+01:00RUFUS WAINWRIGHT - FOLKOCRACY (BMG, 2023)<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4XWSZoefKHju9QFeDn53iTwTteQazw-L8UcvtpekHucP104BIObPK5Jmw7v6C7_yUxpAzGjKnHCZodFy9rzbzCYUkrmUSy2SePyZUQn2-w7HYWru3Xp1GTTkNwlBPfkKl8lNaaloaXa2J1_WMUZ4xPozMyzBaz_oxrjzbg9ajZnnMtZj1qThCReF8Hc8/s500/rufus%20wainwright%20folkocracy.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="500" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4XWSZoefKHju9QFeDn53iTwTteQazw-L8UcvtpekHucP104BIObPK5Jmw7v6C7_yUxpAzGjKnHCZodFy9rzbzCYUkrmUSy2SePyZUQn2-w7HYWru3Xp1GTTkNwlBPfkKl8lNaaloaXa2J1_WMUZ4xPozMyzBaz_oxrjzbg9ajZnnMtZj1qThCReF8Hc8/s320/rufus%20wainwright%20folkocracy.jpg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Artista
estroverso, coraggioso e sperimentatore, Rufus Wainwright, partendo da
un coloratissimo background art pop, ha esplorato, nella sua lunga
carriera, svariati generi, accostandosi con egual ispirazione al
musical, alla classica, e plasmando, con appassionato trasporto, financo
un dolente, e riuscito, connubio fra musica e letteratura, attraverso
l’inconsueto <em>Songs For Lulù</em>, album in cui rileggeva al pianoforte i sonetti di Shakespeare. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Giunto
al traguardo dei cinquant’anni, il musicista canadese ha deciso di
festeggiare regalandosi un album tributo alla musica folk, quel genere
che lo ha plasmato e con cui è cresciuto fin da bambino (suo papà è
Loudon Wainwright III, mentre sua mamma era Kate Mc Karrigle). <br /></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Nel
rispetto dello spirito della tradizione, Wainwright ha riunito i membri
della sua famiglia, le sorelle Martha Wainwright e Lucy Wainwright
Roche, la zia Anna McGarrigle, la cugina Lily Lanken, oltre ad amici di
lunga data, tra cui Madison Cunningham, Brandi Carlile, Susanna Hoffs,
Chris Stills, Andrew Bird e Van Dyke Parks, a citarne solo alcuni, per
affrontare, con la complicità di questo variopinto parterre, alcuni
grandi classici folk, oltre a una rilettura di della sua "Going To A
Town" e a un’aria di Schubert.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">L'ambientazione
di molte delle canzoni dell'album è sobria, minimale, priva di inutili
orpelli, seppur punteggiata da quel tocco vagamente melodrammatico che è
da sempre una delle caratteristiche peculiari della musica di
Wainwright. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">In
scaletta, svariati traditional, veri e propri pilastri della tradizione
folk americana, tra cui la ninna nanna "Hush Little Baby", interpretata
insieme alle sue due sorelle, Martha e Lucy, e "Wild Mountain Thyme",
anche questa un affare di famiglia (oltre alle sorelle c’è anche la zia
Anna McGarricle alla fisarmonica), a ben rappresentare quella
“folkocrazia” che il cinquantenne canadese ha scelto di celebrare. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Wainwright,
però, non si limita a fare un viaggio nella memoria, ed evita
pedisseque riproposizioni, vestendo di originalità, ad esempio, un
classico del folk sudista come "Cotton Eyed Joy", trasformata in una
ballata soul con il contributo di Chaka Khan, e dando vita a un duetto
emozionante in "Heading for Home" (la canzone originale è di Peggy
Seeger, la sorella di Pete), scambiando le linee vocali con John Legend,
sopra un tappeto di banjo e orchestra.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">L'album
si apre con "Alone", una vecchia e mesta canzone folk scozzese, scritta
da Ewan McColl, interpretata insieme alla cantante e chitarrista
americana Madison Cunningham, che suona la chitarra anche in altre
canzoni della scaletta. La murder ballad "Down in the Willow Garden" è
cantata nel modo più dolce possibile in duetto Brandi Carlile, e le
splendide armonie riescono a far dimenticare il mood oscuro della
canzone. "High on a Rocky Ledge" è una canzone originale di un musicista
di strada cieco di New York, chiamato Louis Hardin, alias Moondog, ed è
qui riletta con la complicità di David Byrne. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Ci
sono un paio di cenni intelligenti anche ai movimenti folk pop e rock
della fine degli anni '60 e dei primi anni '70, davvero degni di nota:
una scarna e bellissima versione di "Harvest" di Neil Young, presentata
in condominio con Andrew Bird, che suona anche il violino, e Chris
Stills, nientemeno che il figlio di Stephen, e "Twelve-Thirty (Young
Girls Are Coming to the Canyon)" dei Mama's & The Papa's, con
Susanna Hoffs e Sheryl Crow, un brano, questo, che cattura la gioia e
l’innocenza dell’epoca Laurel Canyon.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Poi,
per ricordare a tutti quale immenso musicista sia, Wainwright rilegge
insieme ad Anohni, una delle sue composizioni più intense, "Going to a
Town", progressione armonica spettacolare e liriche dal contenuto
politico e sociale. Il musicista canadese raggiunge anche i confini più
remoti dell'America, e regala ai nativi delle Isole Hawaii, dove ora
vive, "Kaulana Na Pua", in cui è fiancheggiato da un'altra nativa,
Nicole Scherzinger, che è anche la cantante delle Pussycat Dolls. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Nei
brani rimanenti Wainwright propone classici come "Shenandoah" e "Arthur
McBride", e poi in qualche modo riesce a canticchiare una sua versione
di Nacht und Traume di Schubert, mentre "Black Gold" riceve il contributo
di Van Dyke Parks, con un suggestivo arrangiamento orchestrale.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Non
c'è dubbio che Rufus Wainwright, in questo appassionato omaggio, faccia
molto di più che pagare il suo debito al mondo musicale e culturale che
lo ha indirizzato sulla strada che percorre ormai da venticinque anni;
ciò che ha fatto in <em>Folkocracy</em>, in realtà, è sviluppare ed
espandere la formula tradizionale della musica roots, dimostrando che
non ha solo un valore come ricordo romantico di ciò che una volta era,
ma che, rimodellata, può trovare il modo per continuare a essere vitale e
rilevante anche oggi. Grande disco.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">VOTO: 8</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">GENERE: Folk</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/nSkscJ3tsFo" width="320" youtube-src-id="nSkscJ3tsFo"></iframe></div><br /> <p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><br /></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: left;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Blackswan, giovedì 01/02/2024<br /></span></p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-44136730860328181572024-01-30T09:00:00.002+01:002024-01-30T09:00:00.140+01:00PASTIME PARADISE - STEVIE WONDER (Motown, 1976)<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhbUz4scscI_LWxHFA7eqx-skgRTs5DuaoCA0FpVqnBF9XRqAqhgDNWek6ZMqZB3ro3Hg8D9xybV3Od-r9x_-cWPOv9cvvPc21TUy7C3fl4B8UOjsjkacmfHgl93WDvoM9XpFnJwZZNOMOAeMghTzU9PTBhcId_jfTnWTaMaBGOYUo3gNmyhkDdC_Wfma8/s1200/pastime%20paradise.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="675" data-original-width="1200" height="217" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhbUz4scscI_LWxHFA7eqx-skgRTs5DuaoCA0FpVqnBF9XRqAqhgDNWek6ZMqZB3ro3Hg8D9xybV3Od-r9x_-cWPOv9cvvPc21TUy7C3fl4B8UOjsjkacmfHgl93WDvoM9XpFnJwZZNOMOAeMghTzU9PTBhcId_jfTnWTaMaBGOYUo3gNmyhkDdC_Wfma8/w349-h217/pastime%20paradise.jpg" width="349" /></a></div><br /><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Per parlare di quel capolavoro che porta il nome di <em>Songs In The key Of Life</em>
non basterebbe un intero libro e, ovviamente non è questa la sede.
Basti però pensare che il diciottesimo album di Stevie Wonder,
pubblicato nel 1976 sotto l’egida Motown, è universalmente considerato
una pietra miliare, un disco così rigoglioso di idee e di splendide
canzoni da far dire a una leggenda come Elton John che <em>Songs In The Key Of Life</em> è in assoluto il miglior disco mai realizzato. <br /></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">In
scaletta diciassette canzoni perfette, alcune diventate grandi classici
del repertorio del sognwriter originario del Michigan, tra cui <em>As</em>, <em>Sir Duke</em>, <em>I Wish</em>, <em>Isn’t She Lovely</em> e <em>Pastime Paradise</em>.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Quest’ultima
si distingue dal resto dell'opera di Stevie Wonder in termini di
atmosfera e di messaggio. Quando si pensa a Wonder, infatti, "<em>gioia</em>" è la parola chiave, ma in "<em>Pastime Paradise</em>"
gli archi del sintetizzatore - uno dei primi tentativi di utilizzare
questo tipo di suono in una canzone - creano un'atmosfera tagliente,
inquieta, traboccante di ansia, accompagnata da un testo che ha un tono
insistentemente negativo, almeno fino alla strofa finale. In questo
brano, Wonder affronta una combinazione di questioni (razzismo,
religione, malessere sociale) alludendo alle tematiche attraverso
l’utilizzo di una serie di parole recitate, inserite nel testo come una
sorta di mantra, senza alcuna spiegazione (“<em>Dissipazione Dei
rapporti razziali, Consolazione, Segregazione, Dispensa, Isolamento,
Sfruttamento, Mutilazione, Mutazione, Malcreazione, Conferma ai mali del
mondo</em>”).</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Tuttavia,
è evidente che queste parole, ascoltate nel 1976, proprio a ridosso
della fine del movimento Black Power (che si sciolse nel 1975), avessero
una esplicita connotazione politica e sociale, come se Wonder, in
definitiva, volesse testimoniare che la battaglia per i diritti degli
afroamericani non era ancora finita. In tal senso, il finale della
canzone è assai esplicito: "<em>Cominciamo a vivere le nostre vite, vivendo per il futuro paradiso</em>".
Basta vivere in un passato infelice o in un futuro illusorio per
sfuggire alla quotidianità dei problemi, bisogna, invece, vivere
intensamente, affrontare ogni questione con coraggio, perché solo così è
possibile costruire un futuro migliore. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><em>Pastime Paradise</em>,
giova ricordarlo, non fu pubblicata come singolo e, ai tempi, fu
sottovalutata rispetto al resto di un disco davvero straordinario.
Tuttavia, come, talvolta, accade, il brano visse una seconda giovinezza,
quando, nel 1995, venne reinterpretata dal rapper Coolio, che la
ripropose, scambiando ingegnosamente la parola del titolo "<em>Pastime</em>" con "<em>Gangsta's</em>". </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">"<em>Gangsta's Paradise</em>"
(pubblicata sull'album omonimo di Coolio nel 1995) campiona la musica
di Wonder nella sua interezza ma cambia il testo per renderlo più
attinente all’argomento trattato dal film <em>Pensieri Pericolosi</em>
(interpretato da Michel Pfeiffer), della cui colonna sonora il brano del
rapper era la canzone di punta. La pellicola tratta, infatti, di alcuni
ragazzi che lottano per trovare la propria strada in una scuola
traboccante di criminalità e abbandono. Nella canzone, quindi, il tema
sociale è più amplificato e impellente, e il mood ancora più oscuro,
visto che l’intento di Coolio era quello di evidenziare come la società
del tempo marginalizzasse nei quartieri più poveri le persone che ci
vivono, costringendole a muoversi in ambienti degradati, e di
conseguenza spingendoli a vivere situazioni pericolose, inducendoli,
cioè, a una vita da criminali.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">La prima versione di "<em>Gangsta's Paradise</em>" non incontrò l'approvazione di Stevie Wonder, poiché conteneva parecchie parolacce. Pertanto, Coolio fu costretto a “<em>ripulire</em>”
il testo, e quando sottopose a Wonder la versione definitiva della sua
cover, quest’ultimo ne fu entusiasta, tanto da unirsi al rapper per
eseguire una versione di <em>Pastime Paradase</em> ai Billboard Music Awards del 1995.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">A
parte l'interpretazione di Coolio, questa canzone è stata campionata
così tante volte e in una tale gamma di contesti musicali che si è
rivelata una fonte di ispirazione quasi inesauribile per i musicisti,
sin dal suo concepimento. Campionamenti degni di nota sono inclusi in "<em>Time</em>" di Mary J. Blige, in cui la melodia è stata completamente rielaborata, in "<em>Drama</em>" di Erykah Badu, in cui parte del testo viene brevemente citato, e in "<em>Crack</em>" del rapper Scarface, che tentò un’operazione come quella di Coolio, ma ottenendo molto meno successo.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/b0S4SiLxt1s" width="320" youtube-src-id="b0S4SiLxt1s"></iframe></div><br /> <p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: left;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Blackswan, martedì 30/01/2024 <br /></span></p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-63894609739275762252024-01-29T09:00:00.009+01:002024-01-29T10:09:26.913+01:00SPIRIT ADRIFT - GHOST AT THE GALLOWS (Century Media, 2023)<div><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgtFQVx4Q_lFrxmhD6Vg_wynowY9e7zMuuknhNr47AlYxSRJoGbWc1FC41WkUHDpnoZHn9C6_6O6ap6kzKg0kPqfI4NntPBpKzs67yDsw7dR-uD9MYV1MxZLhvpGN4RrGpeS9kTiveRQq7hBZ8L3Pmki5MRm_JlgUXF0kl0W84lfaTGS6Qbg5Ql0fSnkY4/s1000/spirit%20adrift.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="1000" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgtFQVx4Q_lFrxmhD6Vg_wynowY9e7zMuuknhNr47AlYxSRJoGbWc1FC41WkUHDpnoZHn9C6_6O6ap6kzKg0kPqfI4NntPBpKzs67yDsw7dR-uD9MYV1MxZLhvpGN4RrGpeS9kTiveRQq7hBZ8L3Pmki5MRm_JlgUXF0kl0W84lfaTGS6Qbg5Ql0fSnkY4/s320/spirit%20adrift.jpg" width="320" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: small;">Ci
sono band che invecchiando migliorano, acquisiscono consapevolezza e
struttura, affinano il suono e lo stile. E’ il caso, ad esempio, dei
texani Spirit Adrift, band capitanata dall’irrequieto Nate Garrett, che
ormai da un decennio circa sgomita per acquisire lo status di uno dei
migliori gruppi heavy metal del pianeta. Dopo l'epica tempesta elettrica
del debutto del 2016 intitolato <i>Chained To Oblivion</i>, Garrett
ha progressivamente sgrezzato il suo approccio e ampliato la visione,
trasformando la proposta in qualcosa di sempre più distintivo e
affascinante.</span></div><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Attraverso tre album acclamati dalla critica e dal pubblico (<i>Curse Of Conception</i> del 2017, <i>Divided By Darkness</i> del 2019 e <i>Enlightened In Eternity</i>
del 2020) i texani hanno dato vita ad atmosfere potenti ispirate ai
giorni gloriosi dell’heavy vecchia scuola. Un percorso lineare ma in
crescendo, che ha visto il songwriting di Garrett crescere passo dopo
passo, anche grazie a indispensabili assestamenti di formazione,
l’ultima delle quali annovera la presenza di Tom Draper, ex
chitarrista della backing band dei Carcass.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">In questo nuovo <i>Ghost At The Gallows</i>
si trova tutto ciò che rende emozionante un disco di heavy metal:
epica, grinta e passione da vendere, un perfetto equilibrio fra riff
tritatutto e ganci melodici, una scrittura che guarda al passato ma, ciò
nonostante, estremamente brillante.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">La
prima traccia della scaletta, "Give Her To The River", rappresenta un
riuscito connubio fra metal targato anni ottanta e il tiro impetuoso
dell’hard rock anni settanta, anche se la somma delle parti non è né
nostalgica né derivativa: intro carezzevole, riff dal suono classico ma
tecnicamente ingegnosi, la voce carica di epos di Garrett, assoli
rapidissimi, accelerazioni e stop and go, per una struttura che fluisce e
rifluisce attraverso sette gloriosi minuti, nei quali si intravede
l’influenza degli Iron Maiden. Un’apertura straordinaria, un brano
magicamente senza tempo, che suona altrettanto bene oggi di come avrebbe
fatto quarant’anni fa. E che i Maiden anni ottanta siano uno dei tanti
punti di riferimento della band, lo si coglie anche nell’intro della
successiva "Barn Burner", che si sviluppa poi attraverso intelligenti
armonie vocali, un grande ritornello e un riff centrale che paga debito
al thrash. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Con
la terza traccia, "Hanged Man's Revenge", Garrett sceglie di pigiare il
piede sull’acceleratore, sfornando un’adrenalinica performance speed
metal, salvo poi virare verso il doom e strattonare la canzone
attraverso assoli che arrivano come fucilate da tutte le angolazioni.
"These Two Hands" si muove attraverso una delicata introduzione
acustica, quasi folk, prima di gonfiarsi di rock blues e di dare vita a
splendide armonie attraverso l’interplay delle due chitarre soliste. Al
contrario, "Death Won't Stop Me" è un brano più rozzo, diretto,
scartavetrato da un riff thrash ed esaltato da un ritornello
orecchiabile e da uno straordinario lavoro alle armonie da parte di
Draper, mentre "I Shall Return" paga evidente debito, almeno nell’intro,
a Ozzy, per poi svilupparsi come ibrido tra metal e rock di settantiana
memoria, e sfoggiare un ritornello che è un incanto melodico. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Se
"Siren Of The South" è melodicamente oscura nelle sue trame che
riportano alla luce antiche scorie grunge (Alice In Chains), la chiusura
affidata alla title track conferma la portata delle ambizioni di
Garrett, attraverso otto minuti dall’impianto quasi progressive e
sovraccarico di riff, che si apre, poi, in una stasi centrale,
ambientale, cinematografica, in cui chitarre spettrali avvolgono di
mestizia il cantato di Garrett fino all’ennesima, devastante esplosione
elettrica.</span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Ancora
una volta, gli Spirit Adrift hanno tirato fuori grande originalità
dagli ingredienti più famigliari possibili, plasmando un disco vario e
ricco di dettagli e passione, consapevole del passato ma in nessun modo
vincolato a esso. <i>Ghost At The Gallows</i> è un lavoro brillante e intenso, decisamente il capitolo più riuscito della band texana.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">VOTO: 7,5</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">GENERE: Metal</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/pMPPMhRHtag" width="320" youtube-src-id="pMPPMhRHtag"></iframe></div><br /> <p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: left;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Blackswan, lunedì 29/01/2024 <br /></span></p><p> </p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-11135619660194582202024-01-25T09:00:00.001+01:002024-01-25T09:00:00.131+01:00CITY OF STARS - RYAN GOSLING & EMMA STONE (Interscope, 2016)<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2c8DF4gmOPijxV4AOZ504-94buKa0Z-PPBa8c2b1XXa5ybBcaVf3wmH6xOuYb6omYe7p9WzxQ4x3vOb56moeEQt60QP5y9TNFicjlw10ndaJ9oj3RP5wmEk7v2LsDVlC_aMRhC-0Te6nepXcFjvVw7WxmhwgE0W0WNjXoinD3qklayWT7FjkqZ1suwDE/s1280/la-la-land.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="1280" height="228" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2c8DF4gmOPijxV4AOZ504-94buKa0Z-PPBa8c2b1XXa5ybBcaVf3wmH6xOuYb6omYe7p9WzxQ4x3vOb56moeEQt60QP5y9TNFicjlw10ndaJ9oj3RP5wmEk7v2LsDVlC_aMRhC-0Te6nepXcFjvVw7WxmhwgE0W0WNjXoinD3qklayWT7FjkqZ1suwDE/w364-h228/la-la-land.jpg" width="364" /></a></div><br /><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">L’avete visto <em>La La Land</em>?
Beh, se non l’avete ancora fatto, il consiglio è di recuperarlo, perché
il film, datato 2016, è decisamente bello. Preparate i fazzoletti,
però: quella che viene raccontata da Damien Chazelle è la storia agro
dolce dell’amore fra un’aspirante attrice, Mia, interpretata da Emma
Stone, e un musicista jazz, Sebastian, interpretato da Ryan Gosling, che
s’incontrano per caso a Los Angeles e s’innamorano. Non vi raccontiamo
il finale, tranquilli, ma sappiate che la pellicola, che omaggia i
musical anni ’50 e ’60, è recitata benissimo, si avvale di una regia che
non disdegna momenti di funambolismo tecnico (l’iniziale sequenza in
autostrada) ed è attraversata da una colonna sonora che non può certo
lasciare indifferenti.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Tra le tante belle canzoni, la parte del leone la fa <em>City Of Stars</em>,
che agli Oscar del 2017, ha vinto la statuette per la miglior canzone
originale. Il brano fu composto e orchestrato da Justin Hurwitz che
nusicò il testo scritto da Benj Pasek e Justin Paul.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Hurwitz,
incaricato della colonna sonora dallo stesso Chazelle, compose il brano
al pianoforte, suonando e risuonando la stessa melodia, fino a quanto
la medesima non era così perfettamente levigata, che ne mandò una demo al
regista. L’approccio fu esclusivamente emozionale, ciò che importava al
musicista era solo riuscire a trovare una sequenza di note che si
adattasse perfettamente a una storia d’amore altalenante, che vive
momenti di felicità e altri decisamente più dolorosi. Il mood è, quindi,
ambivalente, sempre in bilico fra speranza e malinconia, risultato,
questo, che Hurwitz raggiunse alternando accordi in maggiore ad altri in
minore, in modo da rendere perfettamente tutte le sfaccettature del
rapporto fra Mia e Sebastian, e aggiungendovi sfumate inflessioni jazz,
che ben si adattassero alla passione musicale del personaggio interpretato
da Gosling.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">La
canzone compare per ben tre volte nel film: la prima è cantata come
solista da Sebastian, la seconda è un toccante duetto fra i due
innamorati, e la terza volta, nel finale, la melodia è canticchiata da
Emma Stone. La scelta è ovviamente voluta, e deriva dalla suggestione di
voler trasmettere all’ascoltatore l’emozione della stessa melodia,
interpretata, però, attraverso sensibilità diverse fra loro. Comunque
sia, il groppo in gola è assicurato.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Tra
l’altro, sia la Stone che Gosling rifiutarono di registrare la loro
prova vocale in studio, evitando così di falsare l’interpretazione con
artifici che avrebbero potuto attenuare il pathos del momento, e
scelsero, coraggiosamente, di cantare le loro parti vocali direttamente
sul set, sincronizzandosi attraverso gli sguardi. Con l’unica eccezione,
però, delle parti fischiettate: Gosling, infatti, non è capace di
fischiare, e quindi dell’incombenza si fece carico lo stesso Hurwitz.
Inoltre, l’attore, si impuntò per utilizzare un tono bassissimo per il
suo cantato, mettendo in difficoltà il compositore che, seppur
brontolando, decise alla fine di affidarsi all’istinto dell’attore. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Che
ebbe ragione: la canzone, come detto, vinse sia l’Oscar che il Golden
Globe. Hurwitz, dal canto suo si portò a casa la statuetta per la
miglior colonna sonora. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><br /></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/GTWqwSNQCcg" width="320" youtube-src-id="GTWqwSNQCcg"></iframe></div><br /><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"></span><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><br /></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: left;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Blackswan, giovedì 25/01/2024<br /></span></p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-56537796297797201762024-01-23T09:00:00.005+01:002024-01-23T09:00:00.156+01:00CLAIRE KEEGAN - UN'ESTATE (Einaudi, 2023)<p data-mce-style="text-align: right;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><em></em></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><em><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyiiTDuUFvyEma9Gwmfh146hkoea3_cTp3U61L2tdrfrLCfjCQXxTDc5UukomYKzO2dGiHa78HMACJbdgIxSVc6hpQvw-pjgWl1vdZgOACF7SbzJWe3p-tZW3WxakTH-x9YCQ0TBUoGJYLrr3Gf3R4e2_7P4Xhq_2L432Wo3YGJpy5WbHHqE5JGX5dGbU/s829/un'estate.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="829" data-original-width="536" height="399" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyiiTDuUFvyEma9Gwmfh146hkoea3_cTp3U61L2tdrfrLCfjCQXxTDc5UukomYKzO2dGiHa78HMACJbdgIxSVc6hpQvw-pjgWl1vdZgOACF7SbzJWe3p-tZW3WxakTH-x9YCQ0TBUoGJYLrr3Gf3R4e2_7P4Xhq_2L432Wo3YGJpy5WbHHqE5JGX5dGbU/w283-h399/un'estate.jpg" width="283" /></a></em></div><em> </em><p></p><p data-mce-style="text-align: right;" style="text-align: right;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><em> </em></span></p><p data-mce-style="text-align: right;" style="text-align: right;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><em>«Poi
attraversiamo il tepore della cucina e lei mi dice di sedermi, di fare
come se fossi a casa mia. Sotto il profumo di qualcosa che cuoce nel
forno c’è una punta di disinfettante, candeggina forse. Toglie dal forno
una crostata di rabarbaro e la mette a raffreddare sul piano della
cucina: sciroppo bollente sul punto di traboccare, foglie sottili di
pastafrolla saldate alla crosta. Dalla porta entra una corrente fresca
ma qui è caldo, immobile, pulito»</em></span></p><p><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><em> </em></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><em>Una
fattoria nella campagna irlandese, una bambina silenziosa, un padre e
una madre non suoi. Claire Keegan tratteggia un lessico sentimentale
dell’accoglienza e dell’amore genitoriale, in un racconto di sommessa e
struggente bellezza.</em></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Mettetevi
comodi sul divano, assaporate il tepore della casa mentre fuori l’aria è
gelida, versatevi un bicchiere di vino rosso, di quelli che vengono
chiamati “da meditazione”, e regalate a voi stessi un’ora, solo un’ora.
Che è il tempo necessario per leggere le settantatre pagine di <em>Un’estate</em>, romanzo breve a firma Claire Keegan, risalente al 2010, ma pubblicato da Einaudi lo scorso anno.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Siamo
in Irlanda, forse sono gli anni ’80, il contesto è bucolico, quasi
sospeso, eppure si respira l’odore agro di una vita difficile, ai limiti
della povertà, in cui gli affanni sono il duro pane quotidiano,
nutrimento di un’umanità con troppi figli da sfamare, di piatti di
patate e di pinte di birra, di quell’arte di arrangiarsi che fa la
differenza fra sopravvivere o cadere nel baratro della tragedia
(inevitabile che il pensiero corra a <em>Le Ceneri Di Angela</em> di Frank Mc Court).</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Una
famiglia indigente affida una delle proprie figlie a una coppia più
abbiente, per sgravarsi di un peso economico, per attenuare le fatiche
di un’esistenza ai margini, per affrontare la nascita di una nuova vita,
che porterà più problemi che gioia, più tormenti che speranza.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Una
trama esile, quasi insignificante, se non fosse per l’abilità della
Keegan di costruirci intorno un mondo intero. Di sentimenti, di
emozioni, di palpiti. La prosa è lineare, scarna, semplicissima, ogni
riga è immediata e immediatamente comprensibile, nessun artificio,
nessuna finezza lessicale. Eppure, ogni pagina è pura magia, che
conquista, che strattona il lettore al centro della storia, come se
fosse presente, osservatore muto di una geografia di sentimenti
indispensabile nel suo francescano lirismo.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">La
voce della Keegan è sommessa, aggraziata, la narrazione un sussurro
dolcissimo in cui è l’immagine a essere protagonista (la veglia funebre,
la passeggiata sulla spiaggia, il pozzo, i profumi inebrianti di una
cucina). Un viaggio a ritroso nel tempo, in un mondo antico in cui la
grazia dei luoghi e l’evocazione delle tradizioni si scontrano con una
realtà agreste, la cui bellezza trova il suo contrappunto in tragedie
taciute, nel dolore che arriva dal passato, in un presente fragile, in
cui la felicità profuma di torte, di corse a perdifiato, di acqua fresca
e lenitiva. Un mondo in cui tutto, però, è caduco, temporaneo. Tranne
l’amore, vero protagonista di una storia capace di scavare nel profondo
dell’anima, senza strepiti, senza clamore, creando un flusso di dolcezza
che infonde speranza, che ipotizza un futuro anche per un sentimento
che, per quanto trattenuto, non potrà che esplodere in tutta la sua
abbagliante intensità.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Una
lettura per adulti e per ragazzi, per genitori e figli, i cui intenti
restano ad altezza cuore per tutta la durata del romanzo, e il cui
finale, agrodolce e liberatorio, racconta una verità tanto ovvia quanto
ineffabile: l’amore genera amore. E quando il lettore chiuderà l’ultima
pagina del libro, con la stessa nostalgia di quando finiscono le
promesse dell’estate, mentre il traboccare della gioia si scontrerà con
il tepore salato di una lacrima, il suo unico desiderio sarà quello di
uscire di casa, correre dai propri genitori e abbracciarli in una
stretta che toglie il fiato. Abbracciare la vita.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"> </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Blackswan, martedì 23/01/2024 <br /></span></p><p> </p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2981920876574986577.post-22961918445793536482024-01-22T09:00:00.002+01:002024-01-22T09:00:00.139+01:00DOM MARTIN - BURIED IN THE HAIL (Forty Below Records, 2023)<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjGAv9Q583O0NFnr2dqNPil0FnlpeYG96GlN66RsBcePOodV6VFO16SCbuJ3-A7lUKqvd5GdgQndVSeNUzB-G20RheKHFgfvuNXHYlhJSw8nN9UTaz8u9zaYD3AOfHIAPXd-rX5meHQ_FdeG4Lb8mMupIEkX12lyVkfgXKIam1VzrlxjXMfwakfB5Tu6i4/s1000/dom%20martin.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="1000" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjGAv9Q583O0NFnr2dqNPil0FnlpeYG96GlN66RsBcePOodV6VFO16SCbuJ3-A7lUKqvd5GdgQndVSeNUzB-G20RheKHFgfvuNXHYlhJSw8nN9UTaz8u9zaYD3AOfHIAPXd-rX5meHQ_FdeG4Lb8mMupIEkX12lyVkfgXKIam1VzrlxjXMfwakfB5Tu6i4/s320/dom%20martin.jpg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Un
nome che da qualche anno circola con insistenza fra gli appassionati di
blues è quello di Dom Martin, chitarrista originario di Belfast,
Irlanda, giunto con questo <em>Buried In The Hail</em> al suo quarto
album. La sua è stata una carriera rapida e in costante ascesa: l’album
d’esordio del 2019 lo ha portato a essere nominato miglior artista
solista acustico agli European Blues Awards dello stesso anno, nel 2022 è
stato il rappresentante del Regno Unito all'International Blues
Challenge di Memphis, dove si è classificato secondo, e il suo secondo
album in studio, <em>A Savage Life</em> (2022), gli è valso cinque
nomination agli UK Blues Awards del 2023. Il suo approccio alla chitarra
è stato inevitabilmente accostato a quello del leggendario Rory
Gallagher, e la sua voce è stata spesso paragonata a quella di John
Martyn e Van Morrison. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Accompagnato
da Ben Graham al basso e contrabbasso e Jonny McIlroy alla batteria,
Martin ha attirato l’attenzione per la sua bravura alla chitarra
acustica, ma si distingue anche per tecnica e fantasia all’elettrica e
per essere un paroliere di prim’ordine. Le sue sono basi blues
solidissime, ma il suo songwriting risulta anche contaminato da sonorità
folk e rock, che rendono questo nuovo <em>Buried In The Hail</em> un disco vario e ricco di sfumature. </span> <br /></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">L'album
si apre con la breve e bucolica strumentale "Hello in There", il tono è
rilassato, le languide note di chitarra accompagnano le risate di bimbi
che giocano, il mood è trasognato e dolcissimo. Una carezza
all’ascoltatore, che subito dopo si trova invischiato nel blues
cadenzato e classicissimo di "Daylight I Will Find", chitarra slide, il
pensiero che vola a Gallagher e la voce bollente di Martin che si apre a
una dichiarazione d’intenti: “<em>Non è una questione di soldi, fratello, non ho guadagnato un centesimo</em>".
"Government" è una ballata acustica venata di malinconia in cui il
chitarrista fa il punto sulla situazione politica mondiale, esprimendo
con mestizia tutto il suo disappunto andando dritto al centro della
questione: "<em>È ora di finirla, Lo ammetto, Mi fa venire la nausea</em>". </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Con
"Belfast Blues", Martin torna alla chitarra elettrica, getta uno
sguardo sulla sua vita passata e gli anni difficili della città, il mood
si fa cupo, la batteria di Jonny McIlroy e il basso di Ben Graham
tengono un ritmo frenetico, la voce è profonda, ferita. "Crazy" di
Willie Nelson è l'unica cover dell'album, Martin l’ha scelta perché è da
sempre una delle sue canzoni preferite. Tuttavia, nella sua versione
non c'è nulla di country, il brano ha una veste nuova, la tensione è
palpabile, la voce di Martin evoca Tom Waits, il crescendo è
emozionante. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Lo
spettro espressivo del chitarrista resta vario, è ricco di cambi di
direzione, tiene incollato all’ascolto. "Unhinged" è il brano più duro
del lotto, la chitarra è distorta, il tiro è ruvido, cattivo, il groove
funkeggiante è strattonato da un intenso assolo alla sei corde. Nemmeno
il tempo di detergere il sudore, che parte la splendida "The Fall",
ballata per fingerpicking e silenzio, voce cavernosa e melodia
malinconicissima, elementi che conducono in territori più intimi e
meditabondi. C’è ancora tempo per uno vibrante omaggio a Howlin’ Wolf
("Howlin’"), per l’oscura ed evocativa title track, ferita a sangue da
velenose sciabolate slide, e per l’inquietante e minacciosa "Lefty 2
Guns", incedere e assolo che sembrano omaggiare un altro grande di
Belfast, Gary Moore. L'album termina come era iniziato, con un breve
strumentale acustico, "Laid to Rest", ma questa volta l’atmosfera è
scarna, scricchiolante, quasi fosca.</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Si
chiude così un disco che, anche dopo ripetuti ascolti, non smette di
stupire, e il cui impianto decisamente classico si esprime, però,
attraverso una tavolozza di colori, prevalentemente cupi, che rendono
l’insieme stimolante e ricco di momenti coinvolgenti. Martin sa il fatto
suo, scrive bene e suona anche meglio, e il suo artigianato irlandese è
un ulteriore dimostrazione che, anche in Europa, il blues gode di
ottima salute. </span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">VOTO: 8</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">GENERE: Blues</span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: justify;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><br /></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/T7HR6biJYJk" width="320" youtube-src-id="T7HR6biJYJk"></iframe></div><br /><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"></span><p></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: center;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;"><br /></span></p><p data-mce-style="text-align: justify;" style="text-align: left;"><span data-mce-style="font-size: 14pt;" style="font-size: 14pt;">Blackswan, lunedì 22/01/2024<br /></span></p>Blackswanhttp://www.blogger.com/profile/04952000196677578452noreply@blogger.com0