Rockettari
 di tutto il mondo, unitevi! Dalla Spagna è in arrivo uno di quei dischi
 che intaserà il vostro lettore cd per parecchi giorni a venire. Prima 
di addentrarci nella recensione vera e propria, facciamo subito le 
dovute presentazioni. Gli Imperial Jade sono un combo formatosi nel 2012
 a Barcellona, composto da cinque ragazzi con una passionaccia per il 
rock targato anni ’70.
Francesc
 López (batteria), Alex Pañero (chitarra), Arnau Ventura (voce), Hugo 
Nubiola (chitarra e tastiere) e Ricard Turró (basso) hanno pubblicato 
nel novembre del 2015 un primo album, Please Welcome Imperial Jade,
 che ha riscosso parecchi consensi in patria, tanto che nel tour di 
promozione del disco, la band catalana ha aperto per gente del calibro 
di Rival Sons, Europe e Ten Years After.
Le
 registrazioni di questo nuovo album sono iniziate nel 2017, quando gli 
Imperial Jade si sono trasferiti negli States e sono stati affiancati da
 John Netti, già ingegnere del suono per Rival Sons, Europe, Black Stone
 Cherry e Bon Jovi. Il risultato di un anno di lavoro, intervallato da 
numerosi concerti, è On The Rise, sophomore brillantissimo, in 
cui la materia un po' frusta del classic rock viene, invece, 
rielaborata, non solo con entusiasmo e convinzione, ma anche con idee e 
intuizione che rendono queste dieci canzoni qualcosa di diverso da un 
mero esercizio di stile.
Se,
 infatti, le fonti di ispirazioni provengono da quel decennio, gli anni 
’70, in cui la lingua del rock era l’idioma più conosciuto, gli Imperial
 Jade spostano gli accenti, evitano l’ovvio, e innervano le canzoni di 
fremiti funky, di blues con matrice sudista e di improvvise deviazioni 
rispetto ai moduli standardizzati del suono. Non c’è un filler, e questa
 è già una notizia, visto che siamo al cospetto di una giovane band che 
antepone l’istinto al mestiere (che c’è, ma è secondario); ma, 
soprattutto, le canzoni sono davvero efficaci, e crescono, ascolto dopo 
ascolto, testimoniando anche un gran lavoro in fase di produzione, che 
però nulla toglie all’immediatezza della proposta.
Il groove funky rock di You Ain’t Seen Nothing Yet apre le danze con un tiro pazzesco e spalanca le porte al resto del disco, che con la successiva Dance cita i Led Zeppelin (la matrice è Custard Pie),
 numi tutelari di un filotto di brani che però non dà mai l’impressione 
di adagiarsi supinamente su ovvi deja vù. Ecco, allora, Sad For No Reason,
 bluesaccio tutto slide e resofonica, che derapa sgommando con 
un’accelerazione improvvisa, o il r’n’b travestito da hard rock della 
pulsante Heat Wave, oppure l’uragano wah wah che sferza la rocciosa Rough Seas.
Sono
 molte, insomma, le frecce all’arco degli Imperial Jade, e ci si 
potrebbe soffermare su ogni canzone in scaletta raccontando i pregi di 
una band che si eleva di una spanna sulla media di band similari.
Certo,
 inutile girarci intorno: On the Rise è un disco che non fa mistero di 
ispirarsi alla premiata ditta Plant/Page, e che rivisita, con devozione,
 anche filologica, gli anni d’oro dell’hard rock britannico. La 
proposta, tuttavia, è viva, vibrante e appassionata, tanto che, se 
volessimo paragonare gli Imperial Jade a una band (i Greta Van Fleet) 
che ha riempito le pagine dei rotocalchi musicali con fiumi di 
inchiostro, questi cinque ragazzi spagnoli vincerebbero il confronto a 
mani basse.
VOTO: 7,5
Blackswan, martedì 15/01/2019 

Niente male!
RispondiEliminaSoprattutto, come giustamente rilevavi, è apprezzabile il tentativo di non essere una tribute band dei Led Zeppelin.
E poi un gruppo hard rock spagnolo mi rimanda per forza agli anni 80 dei Baron Rojo e degli Heroes del Silencio.
Come eravamo sbarbati...
Heroes Del Silencio! Mamma mia, quanti ricordi!
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