Pagine

lunedì 21 febbraio 2011

DEFINIRE PATRIA

Come è ormai noto, tra poco verrà celebrato il 150 della nostra bella nazione fatta di sole, mare, brava gente pizza e pallone.
La circostanza ci viene ricordata in continuazione dallo psicodramma collettivo delle coccarde tricolori.
Chi le vuole usare per curarsi le emorroidi, previo inserimento in loco, chi ritiene che se non le si indossa si diviene per ciò solo traditori della patria, e via discorrendo.
Mi chiedevo quindi che cosa significhi, per ciascuno di noi, il concetto di patria ed in quale misura possa avere un effettivo rilievo nella nostra quotidianità.
Premessa: quando ne parlano i politici di professione, la considerazione che ho del concetto di patria è pari a zero esattamente come quella che ho per il concetto di religione.
Tranne pochi esaltati che ne parlano in modo tragicamente serio, si tratta quasi sempre di citazioni strumentali.
Ciò detto, la mia personalissima opinione è che una patria sia soprattutto un nucleo di storia e di sentimento comune, possibilmente con radici nel tempo.
Se è così, molto di noi si spiega da sè.
L'Italia è un paese giovane.
Di quasi un secolo più giovane degli Stati Uniti, dei quali si dice sempre (e con ragione) che sono un paese giovanissimo.
Noi abbiamo radici millenarie, ma non nazionali.
Il sistema di riferimento ancora oggi più sentito è quello locale, chiaro retaggio dell'Italia medievale e del Rinascimento.
La Signoria, i liberi comuni e via discorrendo.
Complice anche il calcio (che non sembra ma c'entra parecchio), milanesi e romani si stanno fieramente sulle balle a vicenda, così come milanesi e torinesi.
Torinesi e veneti probabilmente sanno a stento della reciproca esistenza.
Per carità, il mondo per fortuna evolve a dispetto di tutto e di tutti, e quindi oggi siamo più mobili e necessariamente più aperti dei nostri padri e nonni.
Ma non dimentichiamo che quando mio nonno è partito per la guerra (1915 - 18), la sua più grande curiosità era vedere i meridionali, che nella sua zucca di vicentino di provincia equivalevano agli ottentotti o agli esquimesi.
E si parla di poco più di 90 anni fa, mica di altre ere geologiche.
Inutile dire che dopo avere diviso con siculi e calabresi la fame, il freddo ed una fottuta paura di non tornare a casa, questi alieni sono diventati i suoi fratelli.
Nella Torino degli anni '60 "non si affitta a meridionali", come recitavano i cartelli affissi all'esterno di molte case.
E ancora oggi, quando un nordico legge le cronache della mala politica meridionale, lo fa alzando un sopracciglio di ironico compiacimento.
Come dire; "cosa vuoi aspettarti di diverso da quelli lì?"
Senza sapere, o meglio fingendo di non sapere, che il mercanteggiamento dei diritti, la crapula della cosa pubblica, la sopraffazione, sono le medesime anche qui da noi, solo con meno fragore di esplosivi (sempre che non si vadano a pestare i piedi sbagliati, perchè in quel caso anche dalle nostre parti booom).
Poi succede che si vada all'estero, qualcuno per lavoro, la maggior parte di noi per brevi vacanze, e allora si fa comunella con i compatrioti.
Al villaggio turistico francese o greco si pretende di entrare nelle cucine e fare il caffè, "perchè questi qui non sono capaci".
Scatta il torneo di calcetto e lì altro che Garibaldi e Mazzini.
Sentito con le mie orecchie in un villaggio, da parte di un simpatico bolognese che organizzava la squadretta: "Italy, tri volts vord cempions!"
Tri perchè eravamo ante 2006.
Ma sono tutti episodi estemporanei, magari anche sinceri lì per lì, però di breve respiro.
Tutto questo per arrivare a dire che , personalmente, mi sento molto milanese (a Milano sono nato, crescuito e vivo) e molto veneto (lì sono le radici, come emerge dal mio nick, così magari qualcuno si incuriosirà su chi fosse Ezzelino).
Ma non posso dire di sentirmi un granchè italiano.
La più parte di quello che ci connota attualmente mi fa, sinceramente, piuttosto schifo.
La poca dignità individuale e collettiva, il relativismo etico, il cinismo a poco prezzo, l'ignoranza diffusa, grazie ma ne faccio a meno.
E se i ministri della Lega sbertucciano il tricolore, e Berlusconi ci procura figure di legno ai quattro angoli del globo, la cosa mi disturba non perchè mi leda nella mia italianità ma perchè mi darebbe fastidio comunque.
Quando sento quei vecchi arnesi della politica locale americana dire che i neri dovrebbero ancora oggi stare in piedi sul'autobus, li prenderei a calci nel culo anche se non sono americano nè nero.
Allora, celebriamo pure il 150°, con un po' di amor proprio va bene ma senza esagerare che non è il caso, e cerchiamo di diventare grandi.
In ambito internazionale l'Italia è percepita spesso come un fanciullino, grazioso, simpatico, inoffensivo e quindi gradevole.
Che è meglio che essere considerati noiosi, ed è molto meglio che essere ritenuti pericolosi.
Ma a un certo punto della loro vita, i fanciullini si trovano davanti ad un bivio: o crescono, o diventano patetici.
Siccome sono convinto che si possa crescere bene restando brillanti e leggeri (nel senso buono del termine), è il caso di darsi da fare.
Milano, 21 febbraio 2011

Ezzelino da Romano

1 commento:

  1. Caro Ezzelino, il tuo pezzo mi ha divertito ma anche fatto riflettere.
    Il provincialismo e' normale ed esiste in tutti i paesi, nonostante la globalizzazione e l'estrema facilita' di comunicazione ed informazione che le tecnologie moderne consentono. Mi fa ricordare Guzzanti all'inizio dell'era dei cellulari ed internet: "mo che posso chatta' coll'abboriggeno in Australia....che cazzo glie dico???"
    I campanilismi sono ovunque. Anche in Irlanda, nella stessa Dublino, quelli della parte nord (povera) odiano quelli della parte sud (ricca). Oppure in Spagna, i catalani che si insultano dicendosi: "sei uno spagnolo". O in USA , quelli del New Jersey, considerati da tutto il paese (non solo dalla vicina cosmopolita NY) come rozzi ed ignoranti.
    Per quanto riguarda l'italiano all'estero che si riconosce per le partite a pallone (io aggiungo il jollyinvicta). Molto vero e fa sorridere. Ma cosa c'e' di meglio per socializzare all'estero se non il pallone, parlarne o giocarci? Sarebbe peggio se gli italiani si riconoscessero perche' rubano e stuprano.... Ma a chi non sente italianita' e senso di patria, dico solamente di andare a vivere (non vacanza...vivere e lavorare) in un paese estero per un periodo maggiore di 12 mesi. Fatelo, e poi mi dite se i luoghi comuni (pizza e mandolino), il quasi razzismo (italia = mafia), in generale le critiche non sempre giustificate (anche se con B ultimamente e' impossibile difendersi), non vi avvicinino di piu' al tricolore. Insomma non mi sento e mi sento, italiano alla Gaber, diciamo. Per fortuna o purtroppo lo sono. Come Gaber, a chi mi dice spaghetti e mandolino "gli sbatto in faccia il rinascimento". O senza scomodare l'arte ed i vari Leonardo, Michelangelo e Raffaello, penso solamente a Falcone e Borsellino per sentirmi fiero e poter dire, per fortuna, lo sono.

    Ultima piccola nota personale. Avro' un figlio/a che nascera' a Madrid, con madre spagnola, sara' automaticamente cittadino/a spagnolo. Bello e giusto. Ma mi ha dato sollievo e buon umore il sapere che potro' fargli avere anche il passaporto italiano. E lo faro'. Con la soddisfazione che spero possa capire e provare anche mio figlio/a in futuro.

    Viva l'Italia . L'Italia liberata (si spera presto) e l'Italia del caffe'.
    E soprattutto, viva l'Italia che resiste.

    Offhegoes 22/02/11

    RispondiElimina