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lunedì 1 luglio 2013

THE DEL LORDS - ELVIS CLUB



" I Del Lords... qualcosa mi dicono ma non mi ricordo bene cosa". Immagino che più o meno possa essere questa la prima cosa che viene in mente leggendo il nome della band newyorkese. Non è semplice richiamare alla memoria questo gruppo, occorre spolverare la soffitta dei nostri ricordi musicali e fare un viaggio a ritroso nel tempo fino a metà degli anni '80, quando i Del Lords debuttavano con un disco forse un pò ingenuo ma sicuramente sincero e vibrante, Frontier Days (1984). Eric Ambel alla chitarra e Scott Kempner (voce e chitarra) erano una coppia di musicisti onnivori, votati a una filosofia rock'n'roll che rimasticava le radici americane con un occhio alla citazione e uno puntato ai suoni ruvidi del garage punk. Testi impegnati e rabbiosi, disillusi e malinconici, sempre dalla parte dei perdenti e dei diseredati, e una musica che mescolava varie influenze, dal blues al country, dal rock springsteeniano allo swamp e al power pop, i Del Lords diedero vita a una gagliarda, quanto breve stagione, in cui videro la luce quattro album (assolutamente imperdibile Johnny Comes Marching Home del 1986) e che terminò nel 1990, relegando il quartetto nell'archivio delle band di culto. Oggi, a distanza di ventritrè anni dal loro canto del cigno, Lovers Who Wander (1990), i Del Lords sono tornati a noi in formazione quasi completa (manca il bassista Manny Caiati sostituito nell'occasione da Michael Duclos) e con un disco nuovo di pacca. 




L'impressione, fin dal primo ascolto, è sorprendente : se il tempo trascorso solitamente immalinconisce spirito e fisico, l'effetto sortito sui quattro ex-ragazzi di New York è diametralmente opposto. Nè polvere nè ruggine : Elvis Club ha lo stesso suono grintoso e pimpante che avevano i loro album due decenni fa. Smaliziata abilità strumentale, melodie scintillanti e chitarre assassine per un rock operaio e metropolitano, che non disdegna tuttavia momenti più morbidi, come nella bellissima All Of My Life, reminiscenze anni '50 (Damaged), e coloratissima bigiotteria roots screziata di pop (Flying). Se la giocano così i Del Lords, come hanno sempre fatto : piedi ben saldi per terra, suoni spigolosi ma puliti, ritmica ruspante, il basso profilo e l'umiltà del mediano che fatica a centrocampo, salvo poi inventarsi la giocata meraviglia che fa spellare le mani dagli applausi. Così, dopo 11 canzoni che ci hanno fatto ballare, cantare e sudare, la conclusione del disco è affidata a una superba (e arrembante) Southern Pacific, cover di un'anonima canzone di Neil Young, presente in uno dei dischi meno riusciti del chitarrista canadese (Reactor del 1981). Nelle mani dei Del Lords quel brano si trasforma, esce dall'oblio e torna a ruggire come un vecchio leone ferito che assesta la zampata decisiva. Degna conclusione di un album in cui tutto è azzeccato, perfino il titolo : le radici, Memphis e Elvis sempre nel cuore, e quell' inesausta e verace attitudine a salire sul palco per darci dentro con un sudatissimo rock'n'roll.

VOTO : 7,5




Blackswan, lunedì 01/07/2013

4 commenti:

  1. Uhm... questo Flying mi ha davvero riportata indietro di venticinque anni :)

    Ci voleva.

    Bella colonna sonora per un viaggio. *_*

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  2. Se le reminiscenze sono di classe come con loro, tutto é O.K.!

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  3. Stesso pensiero di The Mist,musica per un viaggio
    Ciao Black :)

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  4. Perfetta l'etichetta Music for the killer: questi sono proprio i tuoi territori:-)
    E poi, come si ripete da sempre, quando la musica è buona e fatta bene, non servono novità.

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