3) COUNTING CROWS – ECHOES OF
THE OUTLAW ROADSHOW
A non conoscere la caratura artistica dei Counting
Crows e a essere un pò maliziosi, si potrebbe anche pensare che la band
capitanata da Adam Duritz sia al raschio del barile. Dal 2002, cioè dai tempi
di Hard Candy, i Corvi hanno rilasciato un solo disco di canzoni
originali (Saturday Nights & Sunday Mornings del 2008, peraltro composto di
materiale datato). Per il resto, è stato un susseguirsi di album live
(New Amsterdam e August And Everything After : Live At Town Hall ),
di best of (Films About Ghosts) e da ultimo di una raccolta, ancorchè
prestigiosa, di cover di brani altrui (Underwater Sunshine). Oggi, i Counting
Crows tornano sulle scene e, un pò a sorpresa, lo fanno con l'ennesimo
disco live, composto di canzoni registrate durante il loro tour americano del
2012. Verrebbe quindi da storcere il naso e soprassedere dall'acquisto di un
disco che probabilmente, appare quasi scontato, nulla aggiunge a quanto
già di buono conosciamo della band americana. Eppure, chi ha sempre seguito i
Counting Crows, sa benissimo che la dimensione live è quella in cui il gruppo
si esprime al meglio e soprattutto sa, dopo aver ascoltato l'ultimo lavoro in
studio uscito lo scorso anno, che ci troviamo di fronte a una band che vive il
suo stato di grazia, a prescindere da una certa carenza creativa. Per questo,
nonostante tutti i legittimi dubbi della vigilia, Echoes Of The Outlaw Roadshow
si rivela invece un gran bel disco, suonato al meglio da sette
musicisti, perfettamente a loro agio nel gestire l'alternanza fra suono elettrico
e acustico, e nel dosare in parti eguali cuore e tecnica. Anche la
scaletta è ben studiata ed evita con cura i luoghi comuni del greatest hits
live. Round Here c'è e non potrebbe essere altrimenti : non è solo la
magnifica canzone che tutti conosciamo, ma è soprattutto una sorta di condivisa
catarsi musicale, un rituale imprescindibile che lega i Counting Crows ai
propri fans fin dalla notte dei tempi. A renderla magica, non è solo la
strabiliante melodia, ma il modo sempre diverso con cui Duritz la propone,
cambiando gli accenti al cantato, dilatandone i tempi, intridendola di
soul oppure, come nel caso specifico, sporcandola di rock. L'unica altra
canzone tratta da August and Everything After è Rain King, mentre il resto
della scaletta pesca da tutti gli altri album più o meno in egual misura.
Citazione a parte merita la cover di Girl From The North Country di Bob
Dylan con cui il disco ha inizio e che Duritz reinterpreta con rara e ispirata
commozione. Da brividi.
2) NICK CAVE & THE BAD
SEEDS – LIVE FROM KCRW
Abbandonate (o solo accantonate) le
asprezze noise targate Grinderman, il nuovo Nick Cave ha dato alla luce, a
inizio anno, a un disco, Push The Sky Away, dall’andamento sommesso, composto di canzoni che si
muovono con passo felpato attraverso atmosfere spesso rarefatte, celando la
propria crepuscolare bellezza nell'ipnotica omogeneità di suoni distanti dal
consueto repertorio dell’ultimo re inchiostro. Insomma, un ritorno alla
ballata, al pianoforte, ad atmosfere tristi e malinconiche, a una scelta
stilistica figlia delle derive cinematografiche vissute da Cave a fianco del
fedele Warren Ellis. Questo Live From KCRW ricalca in toto, con l’eccezione
della conclusiva, scalciante, Jack The Ripper tratta da Henry’s Dream del 1992,
le sonorità di Push The Sky Away ed è costituito da una scaletta di canzoni
suonate in modo intimista, in un contesto raccolto, innanzi ad un pubblico di
centoottanta fortunati invitati per l’occasione. Registrato presso gli studi
californiani della KCRW e mixato magistralmente da un santone come Bob
Clearmountain (Rolling Stones, Bruce Springsteen, Tears For Fears, Tori Amos,
tra gli altri), il concerto si sviluppa attraverso ballate in cui a farla da
padrone è la voce profonda e tormentata di Cave, sorretta ottimamente da
organo, pianoforte, basso, chitarra e batteria, utilizzati sempre in chiave
elettro-acustica. Un disco suonato con precisione dai Bad Seeds, in cui però la
perizia tecnica non fa mai venir meno la tensione emotiva che pervade di
febbrile lirismo le dieci tracce dell’album (dodici nella versione in vinile,
in cui compaiono pure Into My Arms e God Is In The House). Una performance così
tanto convincente da farci sbilanciare affermando che questo è il miglior disco
dal vivo di Cave, migliore di Live Seeds (1993) e perfino del già notevole The
Abbatoir Blues Tour (2007). E' davvero difficile trovare il meglio in un
filotto di canzoni tutte egualmente appassionate. Ma l’iniziale Higgs Boson
Blues, uno dei brani più riusciti di Push The Sky Away insieme a Jubilee Street
(purtroppo qui assente) e la disperata The Mercy Seat, eseguita per pianoforte,
violino e voce, valgono da sole il prezzo del biglietto. Un disco dannatamente
bello, anzi bellissimo.
1) RY COODER & CORRIDOS
FAMOSOS – LIVE IN SAN FRANCISCO
Sembrava
incredibile che uno dei più grandi musicisti e compositori del secolo
scorso, in attività fin dal lontano 1965, si fosse limitato a un solo live
in più di quarant'anni di carriera. L'unica testimonianza di Cooder on stage,
infatti, si intitola Show Time, è stato pubblicato nel lontano 1977,
e contiene registrazioni tratte da due live act tenutisi al Great American
Music Hall di San Francisco, le notti del 14 e 15 dicembre del 1976. Oggi, a
distanza di ben 36 anni, l'immenso chitarrista di Santa Monica torna finalmente
con un nuovo disco dal vivo e, guarda caso, registrato ancora a San
Francisco e ancora nello stesso teatro, questa volta però il 31 agosto e il 1
settembre del 2011. Della line up di quel lontano show del '77 ci sono
nuovamente Flaco Jimenez (alla fisarmonica) e Terry Evans (ai cori), che nello
specifico vanno a integrare un numerosissimo parterre de roi, composto dai
Corridos Famosos (tra cui anche Joachim Cooder alla batteria e
Robert Francis al basso) e La Banda Juvenil, big band messicana di dieci
elementi che aveva già acconpagnato Cooder nella registrazione dell'ottimo Pull
Up Some Dust And Sit Down (2011). In scaletta, alcuni classici già presenti nel
disco del 1977 (Volver,Volver, School Is Out, The Dark End Of The Street),
brani più recenti (il reggae'n'gospel sincopato e tarantolato di Lord Tell Me
Why) e alcune cover, tra cui la celeberrima Goodnight Irene, traditional
portato al successo da Leadbelly, e uan rilettura in chiave elettrica di
Vigilante Man di Woody Guthrie, con la chitarra di Ry davvero sugli scudi.
Tuttavia, non è solo un filotto di canzoni strepitose, che fondono in un
abbraccio indissolubile rock, americana, blues e folk mariachi, a rapirci tanto
il cuore quanto le orecchie. Ciò che davvero incanta di questo live denso,
umorale, e variegatissimo, è la caratura tecnica dei musicisti all'opera e
l'inaudita qualità dell'esecuzione. In queste dodici tracce infatti ci sono
proprio tutti gli elementi che rende leggendaria una performance live: un suono
calibrato e impetuoso, la perfetta coesione e interazione fra tutti i
componenti della band, una tecnica mostruosa (d'altra parte, stiamo parlando di
gente che suona con Ry Cooder, mica pizza e fichi), e soprattutto un
trasporto e un'intensità tali, da trasformare in momenti di gioioso ascolto
anche le pause fra un brano e l'altro, quando Ry presenta le canzoni e scherza
col pubblico. Live in San Francisco contiene numerosi episodi davvero indimenticabili
(tra gli altri, The Dark End Of The Street, Wooly Bully e la graffiante Crazy
'bout an Automobile), tanto che, se volessimo abbandonarci al compiacimento
dell'iperbole, verrebbe da dire che questo è uno dei dischi live più belli del
nuovo millennio. Dal momento invece che voglio mantenere un profilo decisamnete
più basso, chioso la recensione parafrasando una fulminante battuta usata
da Carlo Verdone in una mitica scena del film Io e Mia Sorella: "n'artro
pianeta!". Le canzoni, Ry Cooder e questo disco.
Blackswan, martedì 31/12/2013
Grandioso il numero 1! Sono d'accordo con te : Ry Cooder è un artista eccezionale.
RispondiEliminaImmagino che gli altri due album siano sicuramente da ascoltare (Nick Cave e i Counting sono una garanzia.
Intanto auguri per un felice 2014!!
Rock dannatamente bello, per noi "vecchietti". Ma che non parla piu' ai giovani. Per come la vedo, sarà dura la sua strada per la soppravvivenza. Molto dura. Un abbraccio e buon anno, a te e ai tuoi lettori.
RispondiEliminaApprofitto de "Il meglio" per augurartelo in questo nuovo anno che sta per arrivare...nei prossimi giorni, mollo la Belva al papi e recupero un po' di ascolti...quanto alle letture, ci vediamo sicuramente il 24: prepara la penna che voglio autografo con dedica.
RispondiEliminaBaci & Auguri a te e tutti
PS Giovanni lo sa già...ma se Bartolo e lui vengono a presentare il loro libro all'Orablú, devono preparare la penna anche loro !!
tra le cose più memorabili che sin qui ho fatto nella mia vita, di certo vedere dal vivo i Counting Crows l'estate scorsa a New York entra nella Top Ten. Ok, come sai caro Blackswan, io sono un fan, ma anche con il distacco imposto non posso che dire di aver presenziato ad un concerto unico, che solo i CC possono proporre. I Counting di oggi sono una band a 360°, che sanno fare rock e folk allo stesso tempo con una maestria unica. Da musicista, mi chiedo come sia possibile una simile versione di Round Here: è provata prima? E' improvvisazione? Come riescono ad assecondare il talento di Adam e le sue impennate? Tutti e sette sono meravigliosi musicisti, compreso l'ultimo fantastico acquisto alla batteria: superlativo. Ho pianto ed ho cantato, con mia moglie in viaggio di nozze. davanti a me, i Counting Crows
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