Se si dovesse giudicare un disco solo dalla cover, il
nuovo album dei Black Stone Cherry con molta probabilità non si meriterebbe
nemmeno un voto, finendo di filato nel truciolato degli scarti
inclassificabili. Non che i quattro ragazzi provenienti da Edmonton, Kentucky,
abbiano mai avuto fiuto in fatto di copertine, visto che nemmeno quelle che
contenevano i tre precedenti full lenght brillavano per sobrietà, ma di
sicuro questo Magic Mountain non poteva avere peggior confezione, tanto che, a
non conoscere storia e discografia della band, ci si terrebbe a debita distanza
dal disco. E sarebbe un piccolo peccato (piccolo, non esageriamo), perchè i
BSC, tutto sommato, sono un'onesta band di mestieranti che tiene alto il
volume degli amplificatori e talvolta azzecca anche qualche buona canzone. Lo stick
impresso sulla custodia del cd (ma così anche le indicazioni date da buona
parte della critica a stelle e strisce) parla, un pò genericamente, di
southern rock, tanto che spesso si sprecano paragoni con grandi band del
passato quali i Lynyrd Skynyrd e i Black Crowes. Tuttavia è sufficiente
dare anche un fugace ascolto al disco, per rendersi conto che i Black Stone
Cherry hanno ben poco a che vedere con quelle sonorità, nate dalla
fusione del blues, del country e del rock, tanto in voga negli anni '70. Il
combo capitanato dal cantante e chitarrista Chris Robertson, infatti, tiene il
piede pigiato sull'acceleratore, punta a un hard rock spiccio e muscolare, alza
il volume al massimo e imposta i brani su riffoni di chitarra ruvidi e
pesantissimi. In realtà però è quasi sempre uno specchietto per le allodole,
visto che anche le canzoni che partono più rumorose si sciolgono
poi, quasi sempre, in aperture melodiche dal grande appeal
radiofonico. In fin dei conti, più che ai mitici gruppi citati poc'anzi, i
Black Stone Cherry guardano semmai ai Nickelback (con cui hanno diviso il palco
durante un tour del 2009) e agli Alter Bridge, che richiamano soprattutto
in quei momenti perfettamente riusciti di heavy metal nerboruto ma orecchiabile
(Holding On...To Letting Go). Magic Mountain guarda ben poco alla tradizione
sudista e non presenta momenti di stupefacente originalità; tuttavia, è un
disco che tira via coerente per la sua strada, ben suonato, con alcune buone
intuizioni compositive soprattutto nella prima parte, e divertente quanto basta
per farsi riascoltare ancora. Niente di che, ma ha volume esagerato fa il suo
bel effetto.
VOTO: 6,5
Blackswan, venerdì 30/05/2014
mi impressionò il debutto, poi tutte delusioni e la rincorsa a quei gruppi che hai citato bene tu...peccato
RispondiEliminauh mamma, che orrore!
RispondiEliminaEccazzo però, la copertina nun se pò vede.
RispondiEliminaT'abbraccio !