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giovedì 29 maggio 2014

SHARON VAN ETTEN - ARE WE THERE


Non è un caso che Sharon Van Etten sia cresciuta musicalmente sotto l'ala protettrice dei The National, combo newyorkese che è stato determinante nel consolidare il percorso artistico della giovane cantante proveniente dal New Jersey (Tramp, il precedente full lenght, datato 2012, era stato registrato interamente nello studio garage di Aaron Dessner). Così, fin dalla (bellissima) copertina di questo nuovo Are We There e fin dalle prime note del disco (Afraid Of Nothing) che indugiano, sospese a mezz'aria, per ondeggiare poi in un dolcissimo valzer, si intuisce il mood di una scaletta che svaria fra molteplici soundscapes generati dalla malinconia e dall'introspezione. Un susseguirsi di emozioni che scavano nel profondo dei nostri pensieri, attraverso un songwriting lineare dalla prima all'ultima canzone, eppure in grado di susseguenti scarti stilistici che, pur nell'omogeneità comunicativa, rendono l'ascolto quanto mai vario e diversificato. Ecco allora che tanto Taking Changes quanto Your Love Is Killing Me (sei minuti praticamente perfetti) puntano sulla seduzione emotiva, ma lo fanno sviluppando linguaggi diversi: la prima rievocando certa new wave anni '80 e puntando tutto sul ricordo che nasce dalla contemplazione; la seconda, invece, costruendo un pathos quasi post rock che richiama, soprattutto nel cantato, Tim Buckley e Patti Smith, ed eccitando l'animo come il vento lo schianto delle onde. Suonato meravigliosamente, in un dialogo quasi sommesso fra gli strumenti, che non disdegna però momenti di elegante coralità (Break Me, Every Time The Sun Comes Up) e altri di soliloquio intimista (il lirismo pop per piano e voce di I Know ricorda le cose migliori della migliore Regina Spektor), Are We There è un sontuoso affresco di alternative folk-rock senza velleità da classifica, ma volto semmai a compiacere gli struggimenti interiori, grazie a una scrittura tanto sincera quanto controllata e a una voce che raggiunge vertici di cristallina tristezza. Meno chitarristico del predecessore e più incentrato sull'uso delle tastiere, questo nuovo full lenght dimostra che Sharon Van Etten non solo è una delle realtà più convincenti della scena alternativa statunitense ma possiede anche un talento melodico che l'avvicina al meglio del songwriting di genere. Come una PJ Harvey che ha consumato la rabbia nel pianto e oggi sa ricordare il dolore trascorso senza risentimento alcuno.

VOTO: 7,5





Blackswan, giovedì 29/05/2014

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