La prima cosa che mi verrebbe
da dire a proposito di What A Terrible World, What A Beautiful World (ma un
titolo meno banale non c’era?) sia un disco disomogeneo e privo di coerenza, come
se la band non avesse ancora ben capito che direzione imboccare. Lo direi se
questo fosse il disco d’esordio di un gruppo qualsiasi. Invece, trattasi del
settimo full lenght di una band che, non solo amo molto, ma di cui non riesco a
ricordarmi un episodio negativo (anzi il penultimo disco, The King Is Dead, era
talmente bello da poter essere considerato già un classico). Allora, mi viene
da pensare che Colin Meloy e soci avessero in mente di coagulare in un solo
disco tutte le esperienze musicali passate, come se What A Terrible World…fosse
una sorta di best of composto da brani interamente originali. La scaletta,
infatti, spazia parecchio fra i generi, a partire dal trittico iniziale che spiazza
non poco: il sentito omaggio iniziale ai fans contenuto in The Singer Addresses
His Audience, il pop soul dell’elegante Cavalry Captain e il richiamo ai favolosi
’50 con il doo wop di Philomena. E così via, tra melodie un po’ consunte, ma
buone per passaggi radiofonici (il singolo quasi emo di Make You Better), derive
blues che rimandano a The King Is dead (Till The Waters All Long Gone e Easy
Come, Easy Go) e ballate folk che rappresentano, a parere di chi scrive, il
meglio del disco (Carolina Low è una tra le canzoni più belle uscite dalla
penna di Meloy). Tanti diversi generi, si diceva, per una produzione che
risulta egualmente ondivaga: a tratti magniloquente e stucchevole (Anti-Summersong)
in altri estremamente lucida ed equilibrata (la superba The Wrong Year). Alla
fine, il settimo album dei The Decemberistis vive in perfetta simbiosi con il
titolo che porta: alcuni momenti deliziosi, che esprimono compiutamente la
summa del Meloy pensiero, e altri, certamente non terribili, ma relegati allo
status di meri riempitivi. Tanto che viene da pensare a What A Terrible World,
What A Beautiful World come a una sorta di rito di passaggio, con cui la band
guarda al passato e inizia a progettare un futuro.
VOTO: 6,5
Blackswan, sabato 31/01/2015
A me pare una prosecuzione ideale di "The king is dead", in ogni caso la qualità è sempre molto elevata: una delle migliori band degli ultimi dieci anni.
RispondiEliminaSarà che non essendo un loro fan non avevo aspettative esagerate, ma tutto sommato questo disco mi sta convincendo. Non tutto funziona, però alcuni pezzi notevoli ci sono e per me è già abbastanza.
RispondiElimina