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lunedì 29 giugno 2015

IL MEGLIO DEL PEGGIO





Riceviamo dalla nostra freelance Cleopatra e integralmente pubblichiamo.

"Chiunque nel 2015 è contro la tortura, ma la legge sul reato di tortura è sbagliata e pericolosa. Espone i poliziotti e i carabinieri al ricatto dei delinquenti...Le forze di polizia devono avere libertà di azione assoluta...se poi un delinquente lo devo prendere per il collo e si sbuccia il ginocchio...cazzi suoi"  (Matteo Salvini) .

"Questo è un reato di tortura creato ad hoc per dover sanzionare le forze dell'ordine e per non farle operare" (Roberto Maroni).

Il "Prezzemolino" Salvini non le manda a dire. Gli piacciono le maniere forti, la ruspa e il linguaggio spiccio. Da quando il centrodestra è diventato una terra di nessuno, l'uomo di ghisa è incontenibile. Parla a ruota libera, lancia strali persino contro il Papa. 
Dopo gli anatemi contro rom e immigrati, un giorno si scaglia contro le sanzioni alla Russia, un altro lo vedi discettare sul reato di tortura. Onnipresente come un complemento d'arredo nei salotti televisivi (manca solo di vederlo da Maria de Filippi nella giuria di Amici), questa nuova star mediatica nella logorrea che lo contraddistingue, dimostra di avere la memoria un tantino corta. 
Peccato, però, che qualcuno non dimentica e ricorda agli smemorati come lui, che anche la Lega si è sbucciata un ginocchio. Correva l'anno 1996 e quel 'barbaro sognante' di Bobo Maroni, durante una perquisizione in Via Bellerio nell'ambito di un'inchiesta sulla Guardia Padana, in un parapiglia con le forze dell'ordine, tentò di mordere la caviglia a un agente di polizia. Non ha forse limitato la libertà di azione alle forze dell'ordine? Suvvia, all'epoca portava i calzoni corti, il Bobo. E se l'increscioso episodio gli costò una condanna definitiva a 4 mesi e 20 giorni di reclusione per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale finita a tarallucci, non meravigliamoci.
E' l'Italia, bellezza. Il paese dove, spesso, la giustizia funziona implacabilmente su chi ruba una mela e si mostra mite e garantista con i politici e i corrotti. Dove chi ha la fedina penale non proprio intonsa, se ne sta comodamente seduto in Parlamento o in qualche consiglio regionale. Loro potranno anche dimenticare o far finta di niente. Noi no.   

Kiko Arguello, fondatore dei neocatecumeni al Family Day: "Se un uomo si vede abbandonato dalla moglie, sperimenta l'inferno e il primo moto che sente è ucciderla".

Daniela Santanchè sull'Islam: "I distinguo tra integralismo e Islam tradizionale non reggono, poichè per sua natura l'Islam non è affatto una religione pacifica. Ogni musulmano desidera un altro olocausto per l'Occidente".

Matteo Renzi, in visita all'Expo: "Io ho bevuto latte di cavalla. E mi dicono che il latte di cavalla abbia particolari valori proteici. La prossima volta, lo prendo prima del Consiglio Europeo".

Cleopatra, lunedì 29 giugno 2015

YES: THE FISH IS GONE

Chris Squire: 4 marzo 1948 - 28 giugno 2015






Blackswan, lunedì 29/06/2015

sabato 27 giugno 2015

CASSANDRA WILSON – COMING FORTH by DAY



Coming Forth by Day celebra l’incontro fra due regine: Billie Holiday, una delle voci più belle e tormentate del blues al femminile e Cassandra Wilson, sessantenne cantante originaria del Mississippi, che mette mano al repertorio di Lady Day per celebrarne degnamente il centenario della nascita. Prodotto da Nick Launay (già con Nick Cave), nobilitato dalla presenza di T Bone Burnett alla chitarra e Van Dike Parks in veste di arrangiatore, il disco si compone di undici riletture e un brano originale, Last Song (For Lester), in cui la Wilson prova dare forma di note al pigmalione, artistico e affettivo, fra la cantante di Baltimora e Lester Young (fu Young a inventare il soprannome di Lady Day). Le altre sono canzoni più o meno note tratte dal repertorio della Holiday: dall’iniziale Don’t Explain, ironica presa d’atto dei continui tradimenti del marito, alla celeberrima Strange Fruits, la canzone scritta da Abel Meeropol in difesa dei diritti degli afro-americani e che la Holiday era solita cantare al Cafè Society di New York, a fine live act, e con la sala illuminata da un solo faro diretto sul suo volto. Disco raffinato ed elegantissimo, ma niente affatto scontato nel percorso filologico, dal momento che la Wilson evita scappatoie agiografiche o didascaliche, e riesce invece a trasmetterci, facendolo suo, il tormento  di una donna sopraffatta dal peso del dolore (la fine del matrimonio, la morte della madre) e in preda a un’esiziale dipendenza da alcolici ed eroina (All Of Me, Good Morning Heartache). Aiuta in tal senso la puntuale produzione di Nick Launay, che si tiene ben distante di ogni possibile affettazione jazz, per mettere a nudo invece un suono che talvolta nasce in una morbida e fumosa penombra, e più spesso si tinteggia invece di cupe malinconie notturne (Strange Fruits è nera come la pece). Coming Forth by Day è un ottimo disco, che suona classico ma non troppo, e che permette all’ascoltatore di mettere a confronto lo stile e la voce di due artiste che, ciascuna a proprio modo, hanno scritto pagine decisive della musica nera statunitense.

VOTO: 7,5 





Blackswan, sabato 27/06/2015

giovedì 25 giugno 2015

STEVE VON TILL – THE LIFE UNTO ITSELF



Ascoltare Steve Von Till è un po’ come cercare di scalare una montagna in infradito: molti si stancheranno alla prima pendenza e lasceranno perdere; gli altri, quelli risoluti a non mollare, quando arriveranno in cima, saranno appagati da tanto sforzo e si troveranno innanzi a uno spettacolo mozzafiato. La musica del cantante, chitarrista e songwriter statunitense, inutile girarci intorno, è ostica da morire. Lo è quando milita con i Neurosis, visionari dello sludge metal più doom, e lo è, a maggior ragione, quando cambiando habitus mentale e formale, Von Till segue il percorso di canzoni che sembrano provenire da una realtà parallela. The Life Into Itself (al netto, non dimentichiamocelo, del progetto Harvestman) è il quarto capitolo di una discografia solista, senza una pecca e granitica per rigore artistico, che ha raggiunto il suo apice con If I Should Fall To The Field del 2002, apice, ora forse superato, da questo ultimo, bellissimo lavoro (solo la prospettiva del tempo ce lo saprà dire). Niente metal, niente doom, niente noise: il Von Till solista è un eremita del fingerpicking che, lontano da tutti, estraneo al mondo che lo circonda, dalle mode e dai suoni consueti, coltiva la sua concezione di americana in bilico fra esoterismo, psichedelia e visione. Accostarsi alle sette canzoni che compongono la scaletta del disco è un po’ come immergersi nel Lete, dimenticare il passato e le certezze, abbandonarsi al fluire obnubilante della musica, per risvegliarsi in un altrove di immense praterie e pece nerissima. Sette brani che ipnotizzano e la cui struttura melodica si compone di patterns acustici che, ripetuti all’infinito, celano trame disturbate di chitarra elettrica ed esaltano la voce cavernosa e ascetica di Von Till. Si parte con In Your Wings e la coltre è attraversata da brevi barbagli di luce. Poi, inizia un lungo piano sequenza di strazianti malinconie, che svaniscono in una maestosa caligine morriconiana (Known But Not Name), si sciolgono in lacrime nel funerale celtico di A Language Of Blood o si perdono negli spazi e nei silenzi della title track, un brano che dilata all’inverosimile quel suono “americano” che attraversa tutto il disco. A prescindere da ogni tentativo di spiegare cosa si celi in questi quarantacinque minuti di musica, ciò che resta alla fine dell’ascolto è l’appagante sensazione di aver vissuto un’esperienza extrasensoriale, consapevoli della propria finitezza fisica, presenti alle nostre malinconie, ma spettatori fluttuanti sopra il mondo senziente. Come arrivare in cima, e perdere la nostra piccola anima nell’infinita maestosità dell’orizzonte. Intimismo per spazi aperti.

VOTO: 9





Blackswan, giovedì 25/06/2015

mercoledì 24 giugno 2015

LA FANTASTICA STORIA DELL'OTTANTUNENNE INVESTITO DAL CAMIONCINO DEL LATTE - J. B. MORRISON



Frank, neo-ottantunenne, abita con il gatto Bibì in una tipica cittadina inglese; colleziona dvd, sperpera i suoi pochi denari alle fiere parrocchiali e tenta disperatamente di evitare gli scocciatori che bussano alla sua porta. Prima era abbastanza in gamba per riempire decorosamente le sue giornate, ma ora con un braccio e un piede fratturati, la vita gli appare decisamente grigia. Fino a quando non fa irruzione nel suo tran-tran Kelly Natale, professione assistente a domicilio. Con la sua utilitaria azzurra, un parcheggio da far rizzare i capelli in testa, una serena tenacia e la risata pronta, Kelly trasforma la vita di Frank. E gli ricorda che fuori dei muri di casa c'è un mondo avventuroso per chiunque, anche per chi ha ottantun anni. 

Qualcuno si ricorderà che J.B. Morrison, cinquantacinquenne londinese, prima di cimentarsi come autore di romanzi, era una rockstar. Durante gli anni 90, a capo dei Carter the Unstoppable Sex Machine, aveva infatti riscritto le coordinate dell'alternative rock, inventando un'originale miscela in cui confluivano punk, pop, samples, drum machine e potenti linee di basso. Una formula che resse molto bene per un lustro e che consegnò alla storia almeno un album imperdibile, 1992 - The Love Album (1992), che raggiunse il primo podio delle charts inglesi e piazzò in classifica la bellezza di quattro singoli. Chiusa l'avventura coi Carter USM, Morrison intraprese una brillante carriera solista, per poi dedicarsi, sul finire del decennio scorso, alla letteratura. La fantastica storia dell'ottantunenne investito dal camioncino del latte è la sua quarta uscita editoriale e terzo romanzo (il quarto libro è l'autobiografia della sua militanza nei Carter USM). Non posso fare paragoni e tracciare il percorso letterario di Morrison, perchè non ho letto le tre precedenti opere; quindi, mi concentrerò esclusivamente su questo libro, nel quale il passato di musicista dell'autore torna in qualche modo a fare capolino nelle frequenti citazioni alla musica punk, ai Sex Pistols e a una generale attenzione per la musica che emerge dalle pagine del romanzo. Ma questo, a dire il vero, è un aspetto del tutto marginale, funzionale a tinteggiare un certo atteggiamento del protagonista della storia, l'ottantunenne Frank, nei confronti del prossimo e delle convenzioni. Il romanzo, in realtà, si muove in ben altri territori, quello, cioè della vecchiaia e della solitudine. Argomenti importanti, che Morrison ha il merito di trattare con distacco ironico, tenendosi lontano da banalità assortite e spingendoci alla riflessione con il sorriso sulle labbra. La tristezza e la nostalgia sono lasciati dunque ai margini del racconto, in cui prevalgono semmai lo humor tipicamente british, un tocco di surreale e qualche momento  (felicemente)grottesco. E questo è senz'altro il meglio di un romanzo che, per altri versi, palesa evidenti limiti, sia nell'intreccio narrativo (la trama è esile come il tanga di Belen) che nella prosa, non particolarmente avvincente nè tanto meno ricca sotto il profilo lessicale. Il finale, peraltro, è abbastanza scontato e i personaggi di contorno sono sfumati e privi di carattere. Tuttavia, Frank è ben tratteggiato attraverso tutta una serie di piccole manie e di assortiti decadimenti (fisici e mentali) e soprattutto dai modi poco urbani con cui affronta le dinamiche sociali, tanto da risultare, a conti fatti, quasi una sorta di Sid Vicious strafatto di Gerovital. Niente che trasformi La fantastica storia dell'ottantunenne investito dal camioncino del latte in un grande libro, ma quanto basta però a trascorrere qualche giorno in piacevole compagnia.

martedì 23 giugno 2015

CHRIS STAPLETON - TRAVELLER



Chris Stapleton, songwriter trentasettenne, originario del Kentuky, ma ormai di stanza a Nashville, ha regalato le proprie canzoni un po’ a tutti. A Brad Paisley, ad Adele e a Kenny Chesney, tanto per citare i più famosi. E non pago di tanta generosità, ha anche messo la propria penna al servizio di stelle di prima grandezza, quali Sheryl Crow e Peter Frampton. Poi, quasi alla soglia dei quarant’anni, ha preso il coraggio a due mani e ha deciso di esordire con un full lenght tutto suo. Questo Traveller non è dunque l'esordio di una giovane promessa, bensì di un autore navigato, che conosce a menadito i segreti del songwriting e quelli di un genere che ormai mastica da tempo e con grandi, anche se indirette, soddisfazioni (la sua Never Wanting Nothing More, interpretata da Kenny Chesney, è stata per cinque settimane in testa alle charts statunitensi). Non è un caso quindi che si sia fatto produrre da Dave Cobb, una sorta di Re Mida dell'Americana, che ha messo mano all'ultimo di disco di Sturgill Simpson (Metamodern Sound In Country Music, balzato in vetta alle classifiche country dello scorso anno) e soprattutto a Southeastern, capolavoro di Jason Isbell, pubblicato un paio di anni fa. Traveller, merito anche di Cobb, è un disco pressoché perfetto negli equilibri, grazie proprio a una produzione che cerca, raggiungendola, omogeneità e pienezza di suoni. Non si tratta però di un album che si sviluppa in modo uniforme: la scrittura di Stapleton è volubile, molto legata alla tradizione country, ma capace anche di sconfinare nel southern (Might As Well Get Stoned), di graffiare col rock (Parachute), di corteggiare il soul nella superba rilettura di Tennesse Whiskey, già portata al successo da George Jones. Per più di un'ora, si susseguono tutte quelle suggestioni che chi sogna l'America a occhi aperti ben conosce. Si viaggia in libertà, capelli al vento, su una decapottabile in fuga su qualche statale circondata dal nulla (la title track); o si sorseggia una birra ghiacciata, seduti in veranda, al tramonto, innanzi a una distesa di grano (l'evocativa Daddy Doesn't Pray Anymore). E' l'America più vera, quella che guarda alle radici, che ci stringe la gola con sconfinate malinconie, che ci gonfia il petto di epica e ruvidi sentimenti, che ci riscalda il cuore con la fiamma di un bourbon tracannato in un sorso (Whiskey And You). Un disco di emozioni, prima che di grande musica, un itinerario attraverso gli States, che suggerisce il ricordo a chi quella terra già la conosce, ma che farà sognare anche quelli che preferiscono viaggiare comodamente seduti sul divano di casa. 

VOTO: 8





Blackswan, martedì 23/06/2015