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mercoledì 30 settembre 2015

KEITH RICHARDS - CROSSEYED HEART



Detrattore: "Oh no, Keith Richards, che palle ! Già i Rolling Stones sono un'esposizione di vecchie cariatidi in deficit creativo da almeno dieci anni...adesso pure l'album solista? Non c'è veramente limite al peggio!" 

Superfan: " Fantastico ! Il nuovo disco solista di Keith Richards, il più grande chitarrista in circolazione! Era da tredici anni che lo aspettavo, da Main Offernder del '92. Che peraltro era un gran disco. E poi, insomma: aria di Rolling Stones, aria di casa".

Immagino che di fronte all'uscita di Crosseyed Heart, terzo disco solista a firma Keith Richards, gli ascoltatori potrebbero dividersi proprio così, tra quelli che non vedono l'ora e quelli che non la vedranno mai. In fin dei conti, a priori, potrebbero aver ragione entrambi. Richards, infatti, a seconda della prospettiva, può essere considerato un'istituzione o un mausoleo. Certo, ha inventato un suono, ha graffiato per buona parte della carriera e sta ancora sul palco con inusitata energia. Eppure, a ben vedere, la cosa migliore che ha fatto nell'ultimo decennio è stata pubblicare Life, una delle più eccitanti autobiografie rilasciata da una rock star. Per il resto ha vivacchiato, sotto una pioggia di dollaroni, all'ombra del tempio dorato Rolling Stones. Che cosa aspettarsi, dunque, da Crosseyed Heart? Probabilmente, se voleste dare una risposta seria a questa domanda, dovreste fare un piccolo sforzo di immaginazione, chiudere gli occhi e pensare che il tempo non sia trascorso e che Keith Richards non sia l'icona che è, ma solo un ragazzino alle prime armi, con tanta voglia di offrirvi la propria passione e i suoni con cui si è formato. Perchè, in fin dei conti, il buon Keith ci sta prendendo in giro, eludendo le aspettative sia dei detrattori che dei fans, e apparecchiandoci un album di favolosi cazzi suoi. In cui ci sono i Rolling Stones, ma nemmeno poi così tanto; in cui ci sono i riff a cui siamo abituati da almeno cinquant'anni, ma fino a un certo punto; in cui c'è il passo sornione del califfo, ma anche il ringhio di chi è affamato di musica. Un duetto con Norah Jones (Illusion), perchè non si dica che non è alla pari coi tempi, il rockaccio sporco e stradaiolo (Trouble), l'antico amore per il reggae (Love Overdue) e quello per il country (Goodnight Irene), il funk (Substantial Damage), il blues che non smette di essere inesauribile fonte di ispirazione (la title track e Blues In The Morning), sono alcune delle cose che troverete in Crosseyed Heart. Un album che, se non fosse a firma Keith Richards, ma di un ragazzino di vent'anni, piacerebbe tantissimo ai detrattori e un pò meno ai fans dei Rolling Stones. A volte, infatti, basta un nome altisonante e una grande storia alle spalle per dividere, per creare fallaci aspettative, per impedirci di capire, per rendere strabico il nostro cuore musicale. A prescindere da chi lo ha scritto e da quanti anni si porta sul groppone, Crosseyed Heart è semplicemente un signor disco di rock: cazzaro, genuino, ben suonato e per nulla compiacente. Per quale motivo non si può fare buona musica a settant'anni suonati?

VOTO: 7





Blackswan, mercoledì 30/09/2015

martedì 29 settembre 2015

WARREN HAYNES featuring Railroad Earth - ASHES & DUST



Al pari di Joe Bonamassa, Warren Haynes è una sorta di prezzemolino del rock blues a stelle e strisce, soprattutto quando si tratta di dischi dal vivo. Quest'anno, infatti, sono già uscite due pubblicazioni ufficiali a nome Gov't Mule (The Dark Side Of The Mule e lo spettacolare Sco-Mule), oltre ad alcuni bootleg facilmente reperibili in rete, e un'ottima comparsata in One More For The Fans, live celebrativo a firma Lynyrd Skynyrd. Si trattasse di qualcun altro, saremmo sorpresi: ma Haynes è uno di quei musicisti che ha costruito la propria carriera in tour, suonando nei The Dead, nella Almann Brothers Band, con Dave Matthews e ovviamente con la casa madre dei Mules. Insomma, Warren ha bisogno del palco come dell'aria che respira. E non è un caso che la sua carriera solista, sviluppatasi nell'arco di tempo di ventidue anni, sia composta da tre dischi dal vivo e tre dischi in studio. Insomma, solo tre full lenght nell'arco di un ventennio sono così pochi che si potrebbe sospettare che Haynes, lontano dal palco e dai Gov't Mule, resti spesso a corto di idee. Fortunatamente, poi, ci sono le canzoni a dimostrarci che il chitarrista originario della North Carolina sta sul pezzo, e alla grande, anche quando viaggia in solitaria. Ashes & Dust è la conferma di una creatività che anche in studio non cede il passo alla noia, e che anzi ha trovato il suo habitat naturale nella collaborazione coi Railroad Earth, spettacolare progressive bluegrass band, proveniente dal New Jersy, e qui presente in veste di accompagnamento in tutti i brani in scaletta. Il disco, ci porta a conoscere un Haynes meno elettrico e meno blues: le tredici canzoni in scaletta, infatti, si muovono maggiormente in territori acustici e folk, con qualche apertura jazzy di gran suggestione. Ashes & Dust è poi un disco prevalentemente suonato, con brani che durano a volte ben oltre i cinque minuti e con digressioni e  code strumentali che esaltano la propensione jam del chitarrista e della band che lo accompagna. Forse, a volerne trovare uno, il difetto del disco sta nella sua lunghezza, che supera di poco l'ora (personalmente, avrei asciugato la scaletta di due o tre pezzi); ciò nonostante, il disco è arrangiato e suonato magnificamente, e alcune canzoni (Is It Me Or You, Coal Tatoo, Wanderlust, e una cover splendida di Gold Dust Woman dei Fleetwood Mac in duetto con Grace Potter) sono davvero di ottimo livello. La versione bonus dell'album contiene un secondo cd con dei demo e una versione dal vivo di Halleluja Boulevard.

VOTO: 7,5





Blackswan, martedì 29/09/2015

lunedì 28 settembre 2015

IL MEGLIO DEL PEGGIO







Riceviamo dalla nostra frelance Cleopatra e integralmente pubblichiamo

"Anche 'sto Varoufakis se lo semo levati". Non sono parole di Bombolo, ma è il nostro Matteo a tirare in ballo quel cattivone tenebroso dell'ex Ministro delle Finanze greco, in occasione della direzione del Pd. Un modo per lanciare un messaggio, nemmeno troppo velato, a quella sparuta e inetta minoranza di calimeri senza orgoglio. Spavaldo più del solito, per Il Riformatore compulsivo sono stati giorni carichi di tensione. Eppure, si presenta alla platea con il solito fare da gigione non rinunciando a inanellare una sequela di sortite al vetriolo. Bersani e la Premiata Ditta, sono avvertiti.
"Chi di scissione ferisce, di elezioni perisce", avverte chi fosse ancora duro di comprendonio. Il riferimento è alla Grecia e alla ritrovata convergenza di vedute con il leader di Syriza. L'endorsement a Tsipras è dunque servito. Già perchè, pare che il nostro beneamato Premier, ultimamente, si sia scoperto essere un sostenitore del suo omologo greco. Chi l'avrebbe mai detto? Archiviato il tempo in cui il premier ellenico veniva bollato un "furbo" che non rispetta le regole, ora sembra essere assurto a modello esemplare. Quando si dice la coerenza.
Non le manda a dire a Jeremy Corbyn, neo vincitore alle primarie del partito Labour nel Regno Unito, apostrofando la vittoria come una ricetta per la sconfitta alle prossime elezioni. Il solito sproloquio petulante. 
Non risparmia invettive a Pietro Grasso, l'indomito Presidente del Senato, reo di ostacolare il cammino della riforma del Senato. Il nodo è sull'esclusione dell'elezione diretta dei senatori, tema incandescente su cui Renzi pare non voler negoziare, minacciando una riunione congiunta di Camera e Senato. Risultato? Dibattito rimandato a ottobre. "Inedito, se Grasso riapre su eleggibilità", attacca con la consueta tracotanza. Inedito, semmai, è il tono di sfida con cui il Premier affronta ogni questione. Ormai, parla da uomo solo al comando, il che, per certi aspetti, riabiliterebbe (e lo dico mordendomi la lingua) nonno Silvietto. Almeno, l'Italia scendeva in piazza.
Anche i talk show sono impallinati dal livoroso Matteo. "I talk show del martedì fanno meno share della replica 107 di Rambo".
Oh bella! Li ha usati e abusati (mancava solo di vederlo servire messa alla domenica mattina in tv) e ora il Prezzemolino "pentito" sputa nel piatto in cui ha mangiato. E mentre tutto si consuma con il silenzio- assenso della stampa, mi chiedo dove sia finita l'indignazione popolare.

Vincenzo D'Anna, passato con Verdini, sulla riforma del Senato: "Questa riforma è una fetenzia...però mi turo il naso e mi sa che la voto".

Gianluca Buonanno (Lega Nord), a proposito della tragedia avvenuta alla Mecca: "310 morti per un pellegrinaggio? Cose da pazzi! Sono come animali...più che alla Mecca dovrebbero andare allo zoo!".

Nunzia De Girolamo, da poco ritornata in Forza Italia, scrive su Twitter a Giovanni Toti: "Forza Italia è sempre stata casa mia ( 'Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano').

Cleopatra, lunedì 28/09/2015

domenica 27 settembre 2015

CHRIS CORNELL – HIGHER TRUTH



Mi chiedevo da tempo quale fosse il problema di Chris Cornell, come fosse possibile che l’inarrivabile voce di Hunger Strike e Black Hole Sun potesse essersi ridotto a vivacchiare tra comparsate in colonne sonore e mortificanti episodi solistici (Scream), al solo ricordo dei quali rischio il conato di vomito. Poi, riguardando la discografia dell’ex ragazzo di Seattle, mi sono reso conto che, al netto della militanza Audioslave (buono il primo, un po’ meno gli altri due), l’unico disco decente partorito da Cornell è Songbook (2011), convincente live acustico che ripescava a piene mani dal glorioso passato. Ecco, forse il problema è proprio il passato. Perché è chiaro ormai che “The Voice” non riesce a vivere il presente, a stare al passo coi tempi, ma ha bisogno, perché la sua creatività abbia un senso, di guardarsi allo specchio e ritrovare l’ugola meravigliosa dei lontani fasti grunge. Non è un caso che Higher Truth esca proprio dopo la recente (e rivitalizzante) reunion dei Soundgarden, che a produrre il disco sia Brendan O’brien, padre putativo della produzione anni ’90 e già al mixaggio sulle vette di Superunknown (1994), e che in un paio di pezzi compaia, dietro ai tamburi, Matt Chamberlain che, guarda caso, ha fatto qualche comparsata anche nel Giardino del Suono. Così, in Higher Truth, Cornell convoglia i propri ricordi e una scrittura che affonda le  radici in quegli anni ’90 che furono per lui tanto gloriosi. A rigenerare il suono ci pensa O’Brien, impeccabile dietro la consolle e abile a modernizzare canzoni che potrebbero essere state scritte vent’anni fa. Il risultato è un disco di post grunge elettro acustico, privo di ruvidezze hard e percorso semmai da una vena cantautoriale pop folk, capace di guardare alle classifiche ma anche di suggestionare in chiave nostalgica la generazione che visse in prima persona l’avventura Soundgarden. Non siamo di fronte a un gran disco, sia bene inteso, ma è senz’altro il miglior parto dai tempi di Euphoria Morning (1999): Higher Truth è, in definitiva, un lavoro onestissimo, credibile, maturo e sincero, che ci regala un pugno di canzoni niente affatto prescindibili (Nearly Forgot My Broken Heart, Before We Disappear, Let Your Eyes Wonder). Stona solo il finale di Our Time In The Universe, un pop dozzinale ed elettronico, messo lì a ricordarci che Cornell non ha perso il vizio di pasticciare il presente. A dimostrazione che, nel suo caso, il passatismo non è un vizio di forma ma concreta ispirazione. 

VOTO: 6,5 





Blackswan, domenica 27/09/2015