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domenica 29 novembre 2015

GENTLEMANS PISTOLS – HUSTLERS ROW



A uso e consumo di chi incontra per la prima volta il nome dei Gentlemans Pistols, un paio di coordinate bisogna darle. Formatisi a Leeds nel 2003, la band capitanata da James Atkinson ha faticato non poco a trovare un line up stabile: i continui cambi di formazione sono cessati solo nel 2009, quando fra le file della band è entrato a far parte Bill Steer, che molti probabilmente ricorderanno per la sua militanza nei mitici Carcass. Ciò ha comportato scarsa visibilità e una produzione artistica balbettante, coagulatasi intorno a un paio di Ep e a un album d’esordio passato praticamente sotto silenzio. Hustlers Row è quindi la prima prova importante di un gruppo che, al di là delle precedenti militanze dei propri componenti (Atkinson proviene dall’ hardcore, Dubbins, il batterista, dallo zombiecore), ha deciso di puntare decisamente su un suono molto vintage, camera con vista sugli anni ’70 ((la copertina del disco e la grafica del booklet sono in tal senso assai esplicite) e su tutto quell’armamentario hard rock che, ai tempi, generò grandi band e album assai interessanti. Non ci vuole molto, una volta messo il disco sul piatto, per cogliere la sovrabbondanza di riferimenti storici a cui si ispira la musica dei Gentlemans Pistols: se l’iniziale The Searcher strizza l’occhiolino a certe accelerazioni di sabbathiana memoria, il resto dell’album pesca a piene mani dal repertorio di Ufo, Free e Thin Lizzy. Il risultato, come succede spesso in questi casi è, a dir la verità, abbastanza deludente. Se è fuor di dubbio che la band riesce a sfornare un sound solido, compatto e privo di sbavature, per converso ci troviamo però di fronte a una scaletta, il cui il tasso di fantasia e creatività è al minimo sindacale. Nessuna impennata d’orgoglio, niente che si faccia ricordare, ma solo una replica ben suonata di un hard rock blues che conosciamo già a menadito. E’ molto probabile che i Gentlemans Pistols troveranno molti estimatori, soprattutto fra quegli ascoltatori che si sentono orfani di amplificatori valvolari e riffoni tagliati con l’accetta. Chi invece cerca nella musica anche un minimo di originalità è avvertito: meglio recuperare e ascoltare i dischi di papà.

VOTO: 6






Blackswan, domenica 29/11/2015

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